I danni al patrimonio immobiliare rurale: il caso del terremoto in Emilia (2012)

I danni al patrimonio immobiliare rurale: il caso del terremoto in Emilia (2012)
a Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Economia "Marco Biagi"

Abstract

Il sisma che, nel maggio 2012, ha colpito la Pianura Padana tra Emilia, Lombardia e Veneto, ha interessato un territorio con caratteristiche morfologiche e socio-economiche in parte differenti da quelle che caratterizzano altri territori colpiti da eventi sismici nell’ultimo decennio. Nonostante l’elevata presenza di attività industriali danneggiate, anche il patrimonio abitativo ha pagato, in Emilia, un prezzo elevato a seguito del terremoto. Il presente lavoro intende evidenziare in particolare la vulnerabilità della componente immobiliare delle aree rurali, analizzando i dati puntuali relativi agli interventi di ricostruzione degli edifici residenziali, resi disponibili dalla piattaforma informatica Mude (Modello Unico Digitale per la Edilizia).

Introduzione1

Nel maggio 2012, una potente serie di eventi sismici ha colpito la Pianura Padana centrale, tra la bassa pianura emiliana (da Reggio Emilia fino a Ferrara), il Mantovano e l’Alto Polesine (provincia di Rovigo). Due sono stati gli eventi principali, entrambi con una magnitudine pari a 5,9 Richter (Figura 1). Tale intensità, benché inferiore rispetto a quella registrata a L’Aquila (2009) e in Centro Italia (2016), si è tradotta in un evento sismico di grande portata per l’area. Nonostante un bilancio delle vittime (relativamente) più contenuto, il sisma ha lasciato una ferita molto profonda su un territorio che presenta determinate specificità rispetto ad altri territori colpiti da eventi sismici nel recente passato.
In primo luogo, l’area colpita è, storicamente, poco soggetta ad eventi sismici – ed anzi più usa a fronteggiare eventi di natura alluvionale. Anche nelle classificazioni della pericolosità sismica dei comuni italiani (Protezione Civile, 2015), queste aree risultano ben lontane dai livelli di pericolosità osservati in tante regioni del Centro-Sud (Pagliacci, 2017).
In secondo luogo, si tratta di un’area densamente popolata, caratterizzata dalla diffusa presenza di attività manifatturiere. Anche per questo motivo, l’attenzione di policy maker e accademici è subito andata alla ricostruzione del patrimonio industriale danneggiato. All’interno di un processo di ricostruzione sotto molti aspetti esemplare, priorità assoluta del Governo e della Struttura Commissariale è stata data, oltre che alla riapertura delle scuole entro l’autunno, proprio alla riapertura delle strutture industriali.
Nonostante ciò, oltre alla componente industriale, anche la componente agricola (e rurale) ha pagato un prezzo molto elevato a seguito del terremoto. Nell’area colpita nel 2012, infatti, sono presenti produzioni agro-alimentari di qualità (caratterizzate dalla presenza di marchi di tutela comunitaria) (Brasili e Fanfani, 2012) e anch’esse sono state pesantemente danneggiate: si pensi alle scalere per la maturazione del Parmigiano-Reggiano distrutte e alle migliaia di forme che si sono dovute destinare alla distruzione (Pagliacci e Bertolini, 2016). Ingenti danni hanno infine interessato la componente rurale del patrimonio immobiliare (abitazioni rurali, fattorie e stalle).
Il presente lavoro, dunque, vuole evidenziare la debolezza di tale componente, osservando la distribuzione dei danni agli edifici residenziali e distinguendo tra aree rurali (case sparse) e centri abitati. Tale indagine è resa possibile dai dati puntuali sulla ricostruzione, pubblicati sotto forma di open data all’interno della piattaforma informatica Mude (Modello Unico Digitale per la Edilizia), usata per attuare le ordinanze commissariali relative alla ricostruzione. Il presente lavoro dimostra la maggiore vulnerabilità delle aree rurali rispetto all’evento sismico.

Figura 1 – Area colpita dal sisma del 2012: comuni interessati, per fasce chilometriche di distanza dall’epicentro

Quadrati: epicentri delle scosse principali. Le aree evidenziate includono il territorio comunale, il cui centroide è localizzato nella classe di distanza riportata in legenda
Fonte: Piazzi et al. (2015)

Le caratteristiche dell’area colpita: perché l’attenzione alle aree rurali?

L’Emilia nel confronto con L’Aquila e con il Centro Italia

Il territorio interessato dal sisma del 2012 è, per molti aspetti, differente dai territori colpiti dagli altri grandi terremoti dell’ultimo decennio. La tabella 1 restituisce tali differenze, distinguendo tra terremoto de L’Aquila (2009), dell’Emilia (2012) e del Centro Italia (2016). Per individuare le aree colpite, la tabella 1 fa riferimento a definizioni di carattere ‘istituzionale’: sono cioè considerati i confini individuati dagli interventi normativi che hanno regolato gli interventi per la ricostruzione, nonostante i limiti connessi con tale scelta (Piazzi et al., 2015)2.
Se il terremoto de L’Aquila ha interessato un’area relativamente ristretta (2.000 kmq) e appena 127 mila abitanti, al contrario, il sisma di Norcia-Amatrice (2016) ha investito direttamente quasi 8.000 kmq in quattro diverse regioni. Rispetto a questi due estremi, il terremoto del 2012 ha interessato un’area che, benché pari alla metà di quella del Centro Italia, accoglie tuttavia oltre 800 mila abitanti.
Strettamente legato a questo dato, anche la densità di popolazione risulta particolarmente elevata nei comuni interessati dall’evento del 2012 (circa 200 abitanti/kmq): il dato è superiore a quello osservato negli altri due casi ed è diretta conseguenza dal fatto che il sisma del 2012 ha interessato un’area di pianura e non una regione montana.
Un ulteriore elemento di unicità in Emilia è il fatto che il terremoto ha interessato un territorio con una marcata incidenza di occupazione manifatturiera. In Emilia, quest’ultima era prossima al 45% del totale, a fronte del 30% registrato nei comuni del Centro Italia e del 17,2% osservato nei comuni colpiti dal terremoto de L’Aquila (Istat, 2011b). Inoltre, sempre con riferimento al tessuto produttivo, l’area interessata nel 2012 si caratterizza per la presenza di un’industrializzazione diffusa di carattere distrettuale: questi territori hanno visto svilupparsi i primi distretti industriali già nel corso degli anni ‘70 (Brusco, 1989). Alla luce di tali caratteristiche, per trovare un territorio colpito da un sisma almeno in parte simile a quello emiliano, occorre risalire agli eventi del 1976, che martoriarono il Friuli pedemontano (Chubb, 2002).

Tabella 1 – Caratteristiche delle aree interessate dai tre eventi sismici del 2009, 2012, 2016

Fonte: elaborazione su dati Istat (2011a; 2011b)

Oltre all’industria e alle aree urbane: i danni alle abitazioni nelle aree rurali

I dati richiamati spiegano il motivo per cui tanta attenzione, già all’indomani degli eventi sismici, è stata dedicata alle strutture industriali. Le imprese duramente colpite nel maggio 2012 stavano già attraversando una fase di prolungata recessione economica: tutti i principali settori manifatturieri presenti nell’area (meccanica, tessile, bio-medicale) vivevano il quarto anno consecutivo di crisi economica. All’indomani del sisma, dunque, obiettivo dei policy-maker è stato far ripartire, nel più breve tempo possibile, la macchina industriale e la già rallentata economia locale. Sotto questo aspetto, la ricostruzione in Emilia ha costituito un caso esemplare. In pochi mesi, e nonostante il ricorso a temporanee delocalizzazioni della produzione, l’attività delle imprese è ripartita.
Analogamente, anche le attività agro-alimentari danneggiate sono state supportate dal mondo della cooperazione, dalle politiche comunitarie e dalla solidarietà locale (e non solo). In tal modo, è stato possibile superare le tradizionali debolezze settoriali, esaltate in questo caso dallo shock esogeno (Pagliacci e Bertolini, 2016).
Gli indubbi successi della ricostruzione del tessuto produttivo hanno forse messo in ombra alcune difficoltà che hanno invece contraddistinto la ricostruzione del patrimonio residenziale, sia nei contesti urbani sia soprattutto in quelli rurali. Tale ricostruzione, infatti, ha visto dinamiche differenti: il processo è stato più lento e i risultati più eterogenei, anche a causa di livelli di vulnerabilità non omogenei a livello locale.
Prima ancora del processo di ricostruzione, la stessa distribuzione dei danni alle abitazioni residenziali è risultata assai irregolare (Giovannetti et al., 2015): all’indomani del sisma, entro uno stesso isolato, case perfettamente agibili si affiancavano a edifici interamente distrutti. Il fenomeno è spiegato non sono da elementi imprevedibili (come ad esempio la localizzazione di epicentri e ipocentri o le modalità di propagazione delle onde sismiche): anche alcune caratteristiche note (e prevedibili) hanno di fatto aumentato la vulnerabilità locale. Si pensi alle vulnerabilità strutturali degli edifici (ad esempio l’adozione di tecniche di costruzione non antisismiche) o a quelle economiche e demografiche (invecchiamento della popolazione; abitazioni lasciate vuote; flussi migratori in entrata e fenomeni di segregazione etnica). Tutti questi elementi hanno rallentato la manutenzione degli edifici e dunque il loro miglioramento anti-sismico. In quest’ottica, il sisma ha rappresentato una sorta di "stress test" (Giovannetti et al., 2015), che alcuni tipi di edifici non hanno superato: i) gli edifici rurali, lasciati vuoti negli anni dell’urbanizzazione post-bellica; ii) gli edifici più antichi nei centri storici; iii) gli edifici più recenti, caratterizzati però da tecniche costruttive relativamente povere e spesso non a norma antisismica.
In particolare, il presente lavoro intende concentrarsi sul primo tipo di edifici, osservandone il grado di vulnerabilità.

L’informatizzazione dei dati Mude e la possibilità di geocoding

L’analisi del livello di danni ad una scala sub-comunale è resa possibile dal processo di informatizzazione della gestione delle domande per i contributi. Tutti i dati relativi ai contributi concessi in Emilia-Romagna per la ricostruzione degli edifici danneggiati dal sisma sono infatti stati pubblicati, sotto forma di open data, sul sito www.regione.emilia-romagna.it/terremoto. Con riferimento a tutto il patrimonio edilizio, i danni sono essenzialmente riconducibili a: i) danni ad abitazioni (e relativi locali commerciali); ii) danni al patrimonio industriale; iii) danni a opere pubbliche e beni culturali.
In attuazione delle ordinanze commissariali relative alla ricostruzione, la piattaforma Mude raccoglie i soli dati relativi alla ricostruzione delle abitazioni. È evidente il carattere innovativo di Mude. Per la prima volta nella storia italiana, vengono restituite informazioni di dettaglio circa le caratteristiche del processo di ricostruzione dei singoli edifici (Russo e Silvestri, 2016): oltre al nome del beneficiario, la piattaforma Mude indica l’indirizzo e l'entità dei danno (sulla base delle schede AeDES3); il costo dell'intervento dichiarato dal professionista in seguito alla attività istruttoria comunale e il contributo effettivamente assegnato dal sindaco del Comune (a seguito della prima istruttoria comunale). Inoltre, sono anche riportati dati di dettaglio relativi al processo di ricostruzione, in termini di stato avanzamento lavori e di erogazione dei pagamenti.
Rispetto a questo set informativo e nonostante alcuni elementi di criticità nell’utilizzo dei dati (in merito si rimanda a Ranuzzini et al., 2015), si utilizzano qui i dati aggiornati alla fine di febbraio 2016 che comprendono 6.468 interventi finanziati nel territorio emiliano-romagnolo, per un ammontare pari a 1.949 milioni di euro di costi dichiarati dal professionista in seguito alla attività istruttoria comunale e 1.778 milioni di euro di contributi successivamente assegnati dai sindaci dei rispettivi comuni.
Inoltre, essendo disponibili come open data anche gli indirizzi dei singoli beneficiari, si è proceduto al geocoding degli interventi, trasformando ogni indirizzo in una coppia di coordinate geografiche mediante il plug-in Mmqgis del software Qgis (Qgis Development Team, 2016). Successivamente, sovrapponendo i confini amministrativi delle sezioni di censimento di ciascun comune, è stato possibile ottenere i dati complessivi relativi al numero di interventi e ai costi dichiarati, per sezione di censimento. In questo caso, è stato comunque necessario risolvere manualmente errori di varia natura: nel caso di trascrizioni errate dell’indirizzo, si è proceduto alla modifica manuale della posizione dei punti. Inoltre, controlli aggiuntivi (eseguiti in modo casuale) hanno portato ad aggiornare il 10% circa delle coordinate individuate automaticamente (per ulteriori dettagli si rimanda a Giovannetti e Pagliacci, 2016).

Un’analisi a livello sub-comunale: le tipologie di sezioni di censimento

Muovendo dai dati sui costi dichiarati (riconosciuti), ed elaborati per singola sezione di censimento, è possibile aggregare questi ultimi rispetto alla classificazione delle sezioni di censimento proposta da Istat (2015), che distingue tra:

  1. centri abitati: aggregati di case contigue (o con brevi soluzioni di continuità) dove esistono servizi ed esercizi pubblici (scuole, farmacie, negozi…) che costituiscono una forma autonoma di vita sociale e un luogo di raccolta;
  2. nuclei abitati: località con almeno 15 edifici contigui e almeno 15 famiglie, prive di un vero e proprio luogo di raccolta;
  3. località produttive: aree extraurbane non comprese nei centri o nuclei abitati, in cui sono presenti oltre 10 unità locali, con oltre 200 addetti e con una superficie di almeno 5 ettari;
  4. case sparse: case disseminate nel territorio comunale a distanza tale da non poter costituire nucleo abitato.

Rispetto a questa tassonomia, le ‘case sparse’ rappresentano una proxy delle porzioni rurali dei rispettivi territori comunali, poste al di fuori dei principali nuclei abitatati. Proprio i danni osservati in queste sezioni di censimento approssimano i danni agli edifici rurali, in un’area, come quella colpita nel 2012, che presenta forti elementi di urbanizzazione. In realtà, rispetto a quest’ultima caratteristica, si può evidenziare una relativa eterogeneità tra i comuni emiliani considerati. Concentrando l’attenzione unicamente sui 32 comuni emiliani più colpiti dal sisma (e individuati dal D.L. 74/2012, con l’esclusione della città di Ferrara), si nota come l’incidenza delle case sparse sul totale sia molto differenziata in termini di superficie e popolazione residente. Da un lato, la superficie coperta dalle case sparse supera ovunque l’80% del totale comunale, ma sono soprattutto i comuni della parte più orientale quelli in cui tale incidenza risulta maggiore. Dall’altro, la popolazione residente in queste sezioni non supera, in media, il 12-15% del totale comunale. Il dato, come previsto, è mediamente ancora più basso nei comuni più popolosi dell’area (Figura 2).

Figura 2 – Le sezioni di censimento “case sparse” nei comuni colpiti dal sisma del 2012 (incidenza %)

Sono riportati i nomi dei comuni con oltre 15.000 abitanti al Censimento 2011 (Istat, 2011a)
Fonte: elaborazione personale su dati Istat (2011a)

Rispetto a questa classificazione del territorio colpito dal sisma del 2012, la distribuzione dei danni alle abitazioni private (come approssimate dai costi presentati per la richiesta di contributo) segue un andamento ben delineato. Con riferimento agli open data aggiornati al febbraio 2016, ai 32 comuni individuati dal D.L. 74/2012 sono stati assegnati 5.800 contributi (su un totale di oltre 6.400). A tale data, l’ammontare dei costi dichiarati era risultato pari a 1,77 miliardi di euro per un totale di 1,61 miliardi di euro di contributi successivamente assegnati. I dati relativi ai costi riconosciuti e la loro distribuzione territoriale può essere usata – prima ancora che per analizzare il processo della ricostruzione – come proxy dei danni che il terremoto ha prodotto sul territorio. La figura 3 riporta i costi dichiarati (riconosciuti) e il numero complessivo di interventi a livello comunale. Come atteso, i danni si concentrano nei comuni vicini all’epicentro e nei comuni di maggiori dimensioni.

Figura 3 – Danni nei comuni più colpiti dal sisma del 2012: numero di interventi e costi dichiarati (riconosciuti), a livello comunale

Sono riportati i nomi dei comuni con oltre 15.000 abitanti al Censimento 2011 (Istat, 2011a)
Fonte: elaborazione personale su open dati Regione Emilia-Romagna (aggiornamento 2016)

Rispetto al numero complessivo di interventi, la situazione è in parte differente qualora si consideri l’incidenza percentuale dei danni agli edifici rurali (case sparse) rispetto al totale comunale. La figura 4, infatti, mostra un andamento opposto: in genere, i danni agli edifici rurali rappresentano in molti casi oltre il 30% dei danni complessivi. Questi dati confermano un’elevata vulnerabilità dei territori rurali al sisma, anche nell’area emiliana. A fronte di una popolazione inferiore al 15% del totale comunale (come osservato in figura 2), i danni registrati alle case sparse risultano ben più elevati in termini percentuali.
Rispetto al dato medio, poi, è possibile notare come proprio i comuni relativamente più lontani dall’epicentro si caratterizzino per una maggiore incidenza dei danni agli edifici rurali sul totale. Il dato sembra suggerire che, a fronte di una maggior livello complessivo dei danni (nelle aree centrali), la devastazione nei centri storici è tale da limitare notevolmente l’incidenza dei danni alle case sparse. Al contrario, laddove i danni sono risultati complessivamente più contenuti (le aree più lontane dall’epicentro), risulta più significativa la quota di danni alle case sparse. Tale lettura, che sembra testimoniare una maggiore debolezza strutturale delle porzioni rurali del territorio, richiede conferma con un’analisi dei dati comunali rispetto alla distanza relativa dall’epicentro.

Figura 4 – Incidenza dei danni registrati nelle sezioni case sparse sul totale comunale

Sono riportati i nomi dei comuni con oltre 15.000 abitanti al Censimento 2011 (Istat, 2011a)
Fonte: elaborazione personale su open dati Regione Emilia-Romagna (aggiornamento 2016)

La distanza dall’epicentro

La distribuzione dei danni osservati a livello comunale in funzione della distanza dall’epicentro sembra confermare l’analisi precedente. Per ogni comune, è stata calcolata la distanza in km dal più vicino tra i due epicentri degli eventi che hanno interessato l’area4, generalmente contenuta entro i 30 km. Ordinando i comuni dai più vicini all’epicentro ai più lontani, sono state analizzate due dimensioni di sintesi della distribuzione dei danni a livello sub-comunale (distinguendo cioè tra case sparse da un lato e centri e nuclei abitati5 dall’altro):

  • il costo medio degli interventi (costo totale/numero interventi);
  • l’incidenza percentuale sul totale dei costi a livello comunale.

Se l’entità media degli interventi complessivamente si riduce allontanandosi dall’epicentro (come atteso), l’ammontare medio dei danni nelle case sparse declina molto più lentamente: oltre i 20 km di distanza dall’epicentro, quest’ultimo risulta mediamente maggiore del costo medio osservato nelle sezioni di censimento urbane (Figura 5). Analogamente, l’incidenza percentuale dei danni alle case sparse sul totale comunale tende ad aumentare, allontanandosi progressivamente dall’epicentro (Figura 6).

Figura 5 – Costo medio degli interventi, per tipologia di sezione di censimento e distanza dall’epicentro

Fonte: elaborazione personale su open dati Regione Emilia-Romagna (aggiornamento 2016)

Figura 6 – Incidenza dei danni sul totale, per tipologia di sezione di censimento e distanza dall’epicentro

Fonte: elaborazione personale su open dati Regione Emilia-Romagna (aggiornamento 2016)

Considerazioni conclusive

L’analisi qui condotta dimostra come, anche in un’area relativamente urbanizzata come quella interessata dal terremoto del 2012 in Emilia, le aree rurali abbiano subito in realtà notevoli danni al proprio patrimonio edilizio residenziale. Tale analisi presenta due elementi di innovazione: in primo luogo, si adotta una prospettiva sub-comunale (analisi per sezioni di censimento); in secondo luogo, si utilizzano gli open data sui singoli interventi e la possibilità di geo-referenziare questi ultimi (ottenendo così una stima dei danni per singola sezione di censimento.
Tuttavia, tra i possibili caveat dell’analisi si evidenzia il fatto che l’entità dei danni osservati nelle aree rurali potrebbe risultare sottostimata, poiché la procedura di richiesta di contributi prevedeva, per gli interventi al patrimonio immobiliare rurale, una doppia modalità di intervento: sia mediante piattaforma Mude sia mediante piattaforma Sfinge (ovvero la piattaforma che regolava i contributi alle attività produttive, industriali in primis)6. Nel primo caso, la valutazione della richiesta di contributi avveniva a livello di uffici tecnici comunali (decentramento sul territorio); nel secondo, tale valutazione avveniva centralmente ed era competenza dei nuclei di valutazione regionale. Alla luce di tale doppia procedura, dunque, alcuni interventi agli edifici rurali potrebbero non essere stati inclusi nel dataset Mude.
In generale, tuttavia, anche considerando una possibile sottostima dell’entità di questi danni, i dati così calcolati confermano l’estrema vulnerabilità dei territori rurali al sisma, anche nell’area emiliana. Oltre a questa maggiore vulnerabilità colpisce anche il fatto che l’incidenza dei danni sia maggiore laddove gli effetti del sisma sono stati meno intensi. Questo aspetto suggerisce la necessità di interventi mirati per la messa in sicurezza proprio di questo tipo di edifici, come promosso dal principio del Building back better, proposto dal Sendai Framework (Unisdr, 2015). Per ridurre i rischi da eventi sismici e i livelli di vulnerabilità dell’edificato, proprio le aree rurali necessitano di interventi urgenti. Se nulla sarà fatto, rapidamente, anche in futuro dovremmo attenderci gravi danni prodotti dai terremoti agli edifici rurali.

Riferimenti bibliografici

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  • Brusco, S. (1989). Piccole imprese e distretti industriali. Torino: Rosemberg & Sellier

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  • Unisdr (United Nations International Strategy for Disaster Reduction) (2015), Sendai Framework for Disaster Risk Reduction, 2015–2030. Geneva: United Nations

  • 1. Il presente lavoro è stato prodotto nell'ambito del progetto di ricerca applicata (2014-2016) "Energie Sisma Emilia" (www.energie.unimore.it) dell'Università di Modena e Reggio Emilia, cofinanziato da Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, Azienda Unità Sanitaria Locale di Modena e Università di Modena e Reggio Emilia.
  • 2. Per il terremoto dell’Emilia, vari decreti hanno definito i confini dell’area colpita dal sisma. I 104 comuni considerati in tabella 1 sono quelli inclusi nella lista del D.M. del 01 giugno 2012 (per i quali si rendevano disponibili agevolazioni fiscali e sospensioni di adempimenti fiscali). Sono dunque esclusi i quattro comuni capoluogo di provincia (Bologna, Ferrara, Modena e Reggio Emilia).
  • 3. Ogni edificio è classificato come: A) utilizzabile; B) temporaneamente inutilizzabile; C) parzialmente inutilizzabile; E) inutilizzabile I livelli B e C si riferiscono agli interventi leggeri; il livello E alla ricostruzione pesante. In particolare, quest’ultimo è stato distinto in E0, E1, E2 e E3.
  • 4. Per semplicità, è stata qui calcolata la distanza tra epicentro e centroide di ogni comune (in linea d’aria).
  • 5. Per semplicità, si considera il totale delle altre tre tipologie, ovvero: centri abitati, nuclei abitati e località produttive.
  • 6. Inoltre, in Emilia, la piattaforma Mude poteva intervenire soltanto su fabbricati in muratura, gli unici per i quali era prevista la compilazione delle schede Aedes. Al contrario, la piattaforma Sfinge poteva intervenire anche sugli edifici prefabbricati (es. capannoni industriali non in muratura).
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