Misurare le relazioni urbano-rurali: la prospettiva geografica a supporto della politica di sviluppo rurale

Misurare le relazioni urbano-rurali: la prospettiva geografica a supporto della politica di sviluppo rurale
a Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Economia "Marco Biagi"

Abstract

L’importanza assunta dalla dimensione territoriale all'interno della Pac, insieme alle relazioni sempre più strette che legano città e aree rurali circostanti, rendono necessario un approccio multidisciplinare al tema della zonizzazione territoriale. A tal proposito, e anche ai fini di policy, alcuni strumenti propri dell’analisi geografica sembrano oggi di particolare utilità.

Introduzione

La Politica Agricola Comune (Pac), nata come politica settoriale a supporto dell’attività agricola, ha visto crescere nel tempo, benché a fatica, la sua componente più territoriale. Ciò è stato reso possibile anche dalla nuova centralità assunta dallo "sviluppo rurale", a partire da Agenda 2000. Grazie a questa riforma, quella che era una politica rivolta esclusivamente alle aree svantaggiate della UE (un mero obiettivo della politica strutturale) è diventata, lentamente ma progressivamente, una politica rivolta, più in generale, all’intero territorio rurale (il secondo pilastro della Pac), con l’obiettivo di promuove processi di crescita endogena dei sistemi socio-economici locali (Inea; 1999; Leonardi e Sassi, 2004).
Questo interesse politico per i territori rurali (anche se spesso non si traduce in un analogo stanziamento di risorse a disposizione per interventi di carattere territoriale) si è tuttavia concretizzato nella necessità di individuare le aree oggetto della policy. Il tema della zonizzazione territoriale (e la conseguente definizione di indicatori di ruralità) è tema dibattuto, a livello nazionale e internazionale. Tuttavia, le crescenti e sempre più fitte relazioni che interessano oggi città e aree rurali circostanti hanno reso più complesso il tema della zonizzazione, rendendo necessario un approccio multidisciplinare all’analisi. Non è dunque un caso che, nei primi 50 numeri di Agriregionieuropa, ad occuparsi delle mutate relazioni urbano-rurali (e dei profondi mutamenti socio-economici che ne sono stati causa) siano stati autori con approcci scientifici tanto diversi: economisti, sociologi, urbanisti, policy-maker.
Muovendo da questa consapevolezza, il contributo sottolinea la necessità di una maggiore integrazione della prospettiva geografica all’interno di questo dibattito. In particolare, si confronterà qui il PeripheRurality Index (Pri) calcolato da Camaioni et al. (2013) con il Pri spazialmente ritardato (Pagliacci et al., 2016), al fine di individuare diverse tipologie di territori urbano-rurali, anche a fini di policy.

L’evoluzione della ruralità in Europa

Ruralità: un concetto in trasformazione

Nel "continente delle città" per antonomasia (Le Galés, 2006), il sistema urbano ha sempre rappresentato il principale motore socio-economico e culturale d’Europa. A partire dalla Rivoluzione Industriale, poi, si è avuta un’accelerazione del processo di urbanizzazione (Davoudi e Stead, 2002), che ha portato ad ipotizzare l’inevitabile abbandono delle aree rurali in tutta l’Europa Occidentale. Più in generale, l’esistenza di dinamiche di sviluppo di tipo duale si è tradotto in un eterno conflitto tra città e campagne (Torquati e Giacchè; 2010), con le seconde che hanno a lungo giocato il ruolo di aree in ritardo socio-economico e culturale. Solo a partire dalla seconda metà del Novecento, si è assistito ad una sorta di ‘rivincita delle campagne’ (Barberis, 2009). Poderosi processi di contro-urbanizzazione sono stati alimentati da cambiamenti di natura economica (una rendita urbana fuori controllo e la diffusione dell’attività industriale sul territorio), tecnologica (l’infrastrutturazione dei territori rurali) e anche psico-sociologica (la campagna come luogo ove sfuggire all’anonimato urbano) (Pascale, 2009; Barberis, 2009; Torquati e Giacché, 2010).
E così le aree rurali in Europa non sono scomparse: le cosiddette aree "prevalentemente rurali" (Oecd, 2006) rappresentano ancora oggi il 54,4% della superficie europea, ospitando il 20% della popolazione totale. In aggiunta, le aree rurali sono chiamate ad un importante ruolo: quello di fornire alle città cibo e risorse naturali, ma anche una più ampia gamma di beni pubblici ambientali, tra i quali vi sono biodiversità, varietà dei paesaggi agricoli (con la possibilità di svolgere attività ricreative), qualità di acqua e aria, stabilità climatica e resilienza ai disastri naturali.
La fruizione di questi nuovi servizi e l’intensificarsi dei flussi di pendolarismo su distanze sempre più ampie (Brunori, 2010) rendono evidente la stretta interdipendenza oggi esistente tra aree urbane e rurali. Se confini ben definiti tra città e campagne non sono forse mai esistiti, oggi essi appaiono indiscutibilmente labili. Spesso le aree rurali svolgono funzioni urbane; spesso le città riproducono al proprio interno crescenti condizioni di ruralità1 (Wu et al., 2016).
Il superamento anche spaziale della precedente dicotomia urbano-rurale rende dunque complesso il problema dell’identificazione delle aree rurali, con evidenti conseguenze in termini di programmazione politica e di modulazione degli interventi socio-economici (Anania e Tenuta, 2006). Sempre più spesso, poi, le tassonomie territoriali cercano di integrare anche i diversi rapporti urbano-rurali. Se, la ruralità non è più la "ruralità agraria", dominata dal sottosviluppo o dalla mera presenza delle sole attività agricole, né la "ruralità industriale” degli anni ’70-80, ma al contrario è una "ruralità post-industriale" (Sotte et al., 2012), nuove misure si rendono necessarie e attuali.
In aggiunta alle trasformazioni socio-economiche del mondo rurale, a segnare l’evoluzione delle misure di ruralità sono state le stesse politiche europee, profondamente evolute nel corso del tempo.

Approcci territoriali nelle politiche comunitarie: l’attenzione alle relazioni urbano-rurali

Si è detto dell’approccio territoriale che caratterizza oggi la Pac. In realtà, l’ampliamento di un’ottica territoriale all’interno della politica di sviluppo rurale si è affermato a fatica2. Solo negli anni ’70 si incomincia a discutere di sviluppo rurale in Europa, dapprima con alcune direttive comunitarie che riconoscono l’esistenza di differenze territoriali nell’agricoltura dell’UE3 e poi con l’approvazione dei Programmi Integrati Mediterranei (PIM), nel 1985. Questi programmi di sviluppo locale, per la prima volta, superano la logica dell’intervento settoriale in agricoltura, promuovendo un coordinamento tra diversi Fondi europei. Nel 1988, inoltre, la Comunicazione della Commissione europea “Il futuro del mondo rurale” afferma per la prima volta la necessità di una politica europea di sviluppo rurale. Proprio da quel documento prende avvio un’ampia riflessione, sia scientifica sia politica, sulle prospettive di sviluppo delle aree rurali (in termini di governance, approccio territoriale ed integrato, sviluppo endogeno, …).
Rispetto a questi primi interventi (caratterizzati comunque da un ridotto ammontare di finanziamenti stanziati), nuove e specifiche misure per lo sviluppo delle aree rurali e poi a favore dell’ambiente, in un’ottica di promozione endogena dei processi di crescita locali sono state introdotte all’interno della Pac, rendendo anche questa politica un poco più prossima alle politiche dello sviluppo regionale e di coesione (Bruzzo, 2012). La Pac ha dunque progressivamente integrato al proprio interno politiche di supporto al mondo rurale, grazie al secondo pilastro creato da Agenda 2000 e all’istituzione di un apposito Fondo Europeo per lo Sviluppo Rurale (Feasr). Parallelamente, con la dichiarazione di Cork e con la creazione dei progetti Leader, l’UE promuoveva la valorizzazione dello spazio rurale, sancendo i concetti di “spazio rurale multifunzionale” e “agricoltura polivalente” (Torquati e Giacché, 2010).
Infine, nell’attuale periodo di programmazione (2014-2020) della Politica di Sviluppo Rurale, Stati membri e/o regioni devono elaborare i rispettivi programmi tenendo conto delle seguenti sei priorità comuni dell'UE, la cui dimensione territoriale è particolarmente rilevante:

  • trasferimento di conoscenza e innovazione nel settore agro-forestale;
  • potenziamento di redditività e competitività in agricoltura;
  • migliore organizzazione della filiera alimentare, benessere animale, gestione dei rischi in agricoltura;
  • valorizzazione degli ecosistemi agro-forestali;
  • uso efficiente delle risorse e passaggio a un'economia a basse emissioni di CO2 e resiliente;
  • inclusione sociale, riduzione della povertà e sviluppo economico nelle zone rurali.

Se la politica di sviluppo rurale ha affermato la centralità della dimensione territoriale all’interno della Pac, le politiche regionali e i vari documenti di pianificazione territoriale hanno più volte richiamato la necessità di focalizzare l’attenzione sui complessi rapporti esistenti tra mondo urbano e mondo rurale. Nel promuovere modelli equilibrati di sviluppo urbano a scala continentale, lo European Spatial Development Perspective (Esdp) ha rilanciato il tema dello sviluppo territoriale policentrico. A tal fine, è necessario non solo un sistema ben equilibrato di città (regioni metropolitane, cluster di città e reti cittadine) ma anche un ruolo attivo delle aree rurali (Csd, 1999). In tale contesto, l’eterogeneità delle relazioni urbano-rurali rappresenta un elemento analitico centrale. Nel caso delle aree più densamente popolate, infatti, l’integrazione urbano-rurale è elevata: le aree rurali sono soggette alle pressioni dell’urbanizzazione (con effetti negativi in termini di inquinamento, frammentazione delle aree aperte e perdita dei caratteri rurali) ma al tempo stesso beneficiano delle attività culturali delle città. Specularmente, le città possono beneficiare delle attività ricreative svolte nelle aree rurali di prossimità. Al contrario, nelle aree a bassa densità tali relazioni sono più rarefatte e di segno incerto. Tuttavia, in entrambi i casi, occorre che città e campagne siano partner e non competitor territoriali. Formando regioni funzionalmente integrate, esse sono chiamate a condividere costi e benefici delle politiche attuate (Csd, 1999).
Più di recente, anche l’Agenda Territoriale dell’Unione Europea (Territorial Agenda, 2011) ha promosso l’importanza di uno sviluppo integrato tra città e aree rurali. Oltre a gestire il valore ecologico, paesaggistico e culturale delle regioni europee, viene promossa la coesione territoriale nella UE, con particolare attenzione alle differenze tra aree urbane e rurali. Alla luce dei vari e complessi legami tra territori urbani e rurali in Europa (regioni periurbane, periferie rurali…), l’Agenda sottolinea il ruolo positivo che potrebbero giocare una pianificazione e una governance integrate.
Infine, la necessità di integrazione tra politiche di sviluppo rurale e di sviluppo urbano è ancora più evidente nel caso delle politiche per la sostenibilità. I documenti sulle città sostenibili (la Carta di Aalborg e le Agende 21 locali) prescrivono l’allargamento del raggio di azione delle politiche ambientali agli spazi rurali circostanti, in un’ottica di programmazione bottom-up tipica dello sviluppo rurale4 (Iacoponi, 2004).

Nuove misure di ruralità: l’importanza della dimensione spaziale

Il dibattito qui richiamato ha influenzato nel tempo anche il dibattito sulla zonizzazione dei territori urbani e rurali, rendendo indispensabile la produzione di nuovi strumenti interpretativi per l’analisi del territorio. Infatti, da un approccio unidimensionale (centrato sul ruolo dell’agricoltura) e prevalentemente bipolare (urbano vs. rurale), che di fatto è ancora in parte presente nelle tassonomie proposte da Oecd (2006) e Eurostat (2010) e all’interno degli stessi programmi di sviluppo rurale, si è dapprima passati ad una visione continua, ma sempre unidimensionale, del posizionarsi dei territori tra i due estremi (molto rurale e molto urbano) e successivamente ad un vero e proprio approccio multidimensionale all’analisi della ruralità. Non solo i territori si possono disporre lungo un continuum di situazioni intermedie (a conferma della scomparsa dei rigidi confini tra città e campagne), ma al tempo stesso esistono molti modi diversi di essere urbano e di essere rurale (Anania e Tenuta, 2006).
Tale approccio multidimensionale fa riferimento alla lettura congiunta di più indicatori della ruralità, come ad esempio peso dell’agricoltura, uso dei suoli, ma anche aspetti socio-demografici5. Infine, anche la componente geografica della remoteness (espressa come distanza o accessibilità rispetto alle aree metropolitane) è stata inclusa nella descrizione della ruralità moderna6.
Proprio con riferimento a tutte queste molteplici caratteristiche (caratteristiche socio-demografiche, struttura dell’economia, uso dei suoli e remoteness), Camaioni et al. (2013) parlano di ‘periferuralità’, calcolando, per tutte le regioni Nuts 3 della UE-27, il PeripheRurality Index (Pri) sulla base di 24 variabili. Come gli altri indicatori multidimensionali di ruralità (si veda Copus et al., 2008, per una rassegna esaustiva), anche il Pri suggerisce il polimorfismo della ruralità in Europa e dunque la sostanziale rottura del binomio ruralità-arretratezza: non tutti i territori rurali oggi sono ugualmente agricoli, residuali, periferici o in ritardo di sviluppo (Anania e Tenuta, 2006).
Tuttavia, anche nel Pri – che pure include gli aspetti territoriali nell’analisi – un elemento sembra mancare: l’attenzione alle relazioni urbano-rurali e, in generale, la loro dimensione geografica. Geography matters, come ricorda la prima legge della geografia di Tobler (1970), anche nelle misure di ruralità. Alla luce delle crescenti distanze di pendolarismo, infatti, le persone tendono a spostarsi sempre più spesso, per motivi di lavoro o di piacere, al di fuori del proprio territorio di residenza. Si può, ad esempio, vivere in un comune rurale, ma lavorare nel più prossimo capoluogo urbano; si può risiedere in una metropoli come Milano, ma spostarsi in montagna per il week-end (Pagliacci, 2014; Bertolini e Pagliacci, 2016). Pertanto, anche se due regioni mostrano lo stesso grado di ruralità, esse possono differire largamente tra di loro nel caso la prima sia prossima ad una grande area metropolitana, mentre la seconda sia circondata da regioni altrettanto rurali. Le implicazioni in termini di definizione del grado di ruralità di un territorio e soprattutto in termini di formulazione delle politiche sono dunque altrettanto evidenti.
Al fine di evidenziare tali disparità territoriale, Pagliacci et al. (2016) hanno arricchito la dimensione territoriale e geografica contenuta nel Pri, facendo riferimento al grado di ruralità osservato nelle regioni vicine (o adiacenti). In altre parole, è stato considerato, per ogni regione Nuts 3, il Pri spazialmente ritardato (spatially lagged Pri), ovvero il valore medio del Pri registrato nelle regioni vicine7. Come nel caso del Pri, anche il Pri spazialmente ritardato aumenta all’aumentare del grado di periferuralità delle regioni adiacenti (si rimanda a Pagliacci et al., 2016 per i dettagli metodologici).
Dall’analisi congiunta dei valori di Pri e di Pri spazialmente ritardato (e facendo riferimento alla distribuzione in quartili del Pri) è possibile evidenziare l’esistenza di 16 diverse tipologie territoriali. Con riferimento alla tabella 1, i due estremi della distribuzione sono rappresentati in alto a destra (colore verde scuro) dalle regioni Nuts 3 molto rurali con vicini altrettanto rurali (ad esempio, in Italia, la provincia di Oristano) e in basso a sinistra (colore rosso) dalle regioni molto urbane con vicini altrettanto urbani (ad esempio, la provincia di Varese). Questi due gruppi di regioni sono quelli che si caratterizzano per una discreta somiglianza dei caratteri di urbano-ruralità rispetto ai propri vicini. Tale situazione rappresenta in qualche modo la norma: complessivamente, infatti, queste regioni rappresentano la grande maggioranza delle regioni europee (oltre il 79% del totale ricade in queste tipologie).
Tuttavia, è bene notare che un restante 20% di regioni Nuts 3 si caratterizza invece per una maggiore diversità rispetto ai propri vicini. In particolare, esistono sia regioni urbane con vicini rurali (in alto a sinistra, colore giallo) sia regioni rurali con vicini urbani (in basso a destra, colore verde chiaro). Alcuni esempi, sempre con riferimento al contesto italiano, sono la provincia di Torino (primo caso) e la provincia di Mantova (secondo caso).

Tabella 1 - Tipologie urbano-rurali

Nelle celle, è riportato il numero di regioni Nuts 3, per tipologia urbano-rurale
Fonte: elaborazione da Pagliacci et al. (2016)

Con riferimento alla sola dimensione settoriale (agricola), la tabella 2 restituisce l’importanza di ciascuna delle quattro macro-tipologie in termini di percentuale di Sau, di Ula e di valore aggiuntNelle celle, è riportato il numero di regioni Nuts 3, per tipologia urbano-ruraleo dell’agricoltura sul totale della UE-27. Dal momento che sia il Pri sia il Pri spazialmente ritardato non coincidono necessariamente con l’agricoltura, essendo calcolati sulla base di ulteriori dimensioni aggiuntive (rilevanti ai fini del calcolo della ruralità), è interessante segnalare comunque il fatto che anche le regioni caratterizzate dalla possibile presenza di forti relazioni urbano-rurali (in quanto caratterizzate da vicini di caratteristiche opposte) costituiscono un quinto circa dell’agricoltura comunitaria. Tali dati confermano la necessità di un’attenzione particolare che deve essere rivolta a queste aree, con caratteristiche comunque tanto diverse.

Tabella 2 - Valori di Sau, Ula, Valore aggiunto agricolo, per tipologie di aree (valori in %)

Fonte: elaborazione personale su Pagliacci et al. (2016)

Considerazioni conclusive e implicazioni di policy

Una classificazione dei territori europei, che tenga conto dell’integrazione che può esistere tra aree territorialmente adiacenti ma con caratteristiche urbano-rurali tanto differenti, ha anche importanti implicazioni di policy, dal momento che le politiche di sviluppo rurale ancora oggi si basano su una netta distinzione tra aree rurali e aree urbane (si pensi ad esempio alle zonizzazioni previste dai Psr, senza alcuna possibilità di integrazione tra territori diversi).
In primo luogo, appare evidente la necessità di rafforzare la governance integrata tra politiche di sviluppo urbano e rurale, come apertamente invocato dall’Agenda Territoriale dell’Unione Europea. Tale priorità risulta ancor più impellente proprio nel caso delle regioni citate. Le regioni urbane con vicini rurali e le regioni rurali con vicini urbani rappresentano – complessivamente – oltre il 20% dell’agricoltura dell’UE: esse, dunque, potrebbero beneficiare di una più efficace programmazione politica, che sappia tenere apertamente conto della compresenza di queste caratteristiche così differenti.
Un secondo aspetto richiama più esplicitamente il ruolo e la formulazione della politica di sviluppo rurale. In particolare, sarebbe auspicabile che i singoli Programmi di Sviluppo Rurale (a livello nazionale e/o sub-nazionale) riconsiderassero le sei priorità esistenti in un’ottica più marcatamente territoriale o comunque adottando un approccio maggiormente integrato tra territori diversi. Alcune di esse, infatti, mantengono un carattere orizzontale ed è dunque giusto che siano applicabili indistintamente all’intero territorio dell’Unione (si pensi, ad esempio, al trasferimento di conoscenze e innovazione; o l’organizzazione della filiera alimentare e la gestione dei rischi in agricoltura). Al contrario, per le altre priorità, perché non si potrebbe ipotizzare una qualche forma di differenziazione, che tenesse conto della differenze territoriali in essere? Ad esempio, le risorse destinate alla priorità 6 (riduzione della povertà e sviluppo economico nelle zone rurali) potrebbero essere maggiormente orientate verso i territori rurali con altri vicini rurali (i più deboli dal punto di vista delle dinamiche di sviluppo). Al contrario, le regioni rurali con vicini urbani dovrebbero poter beneficiare in modo più intenso delle misure delle priorità 4 e 5 (valorizzazione degli ecosistemi agro-forestali e uso efficiente delle risorse): proprio queste regioni, infatti, sono quelle maggiormente sottoposte alla crescente pressione antropica proveniente delle vicine regioni urbane. Infine, per le regioni urbane con vicini rurali, si potrebbe ipotizzare una maggiore incidenza delle misure mirate al potenziamento della redditività e della competitività agricola.
Più in generale, rimane comunque opportuno restituire ai policymaker (e all’intera collettività) nuovi e più precisi strumenti analitici, in grado di evidenziare e quantificare le differenze esistenti tra aree urbane e rurali in Europa. Non a caso, tra i messaggi che la rivista Agriregionieuropa ha sempre veicolato – e continuerà a veicolare, anche in futuro – vi è proprio la consapevolezza che una maggiore conoscenza dei territori destinatari delle politiche rappresenta la chiave per il successo di queste ultime, tale da rendere la spesa comunitaria più efficiente ed efficace.

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  • 1. Si pensi ad esempio ai grandi parchi urbani o al ruolo delle agricolture urbane e peri-urbane (Marino e Cavallo, 2016).
  • 2. Tre diversi approcci possono caratterizzare lo sviluppo rurale (Mantino, 2008): settoriale, redistributivo o territoriale. In un’ottica territoriale, le politiche di sviluppo rurale devono favorire lo sviluppo dei territori, riconoscendone l’eterogeneità.
  • 3. La Direttiva 72/159/Cee (ammodernamento delle strutture agricole), la Direttiva 72/160/Cee (incentivazione all’abbandono dell’attività agricola) e soprattutto la Direttiva 75/268/Cee, che individuava le cosiddette aree svantaggiate, sulla base di alcuni parametri di facile misurazione (altitudine, dotazione di risorse, processi di spopolamento in corso).
  • 4. Si pensi, ad esempio, al progetto “Alla ricerca di modelli innovativi di produzione-consumo: i percorsi di ricerca di coerenza attivati dai cittadini-consumatori” che ha coinvolto alcune amministrazioni locali della provincia di Pisa nella costruzione di una politica integrata sul cibo e la definizione di una strategia mirata di azione, con l’obiettivo di allargare il raggio di azione delle politiche alimentari, proponendo una maggiore integrazione tra diversi settori e diversi ambiti territoriali (territori urbani e rurali) (Di Iacovo et al., 2013).
  • 5. Si pensi al progressivo invecchiamento delle campagne europee (Brunori, 2010) ma anche alla presenza di processi di spopolamento pluri-decennali (Barca et al., 2014).
  • 6. In proposito, si pensi alla Strategia Nazionale Aree Interne (Snai), che ha utilizzato proprio la distanza (in termini di tempi di percorrenza) rispetto ai poli urbani che erogano servizi al fine di individuare i comuni italiani più periferici (Barca et al., 2014). Sebbene tale strategia miri a definire le aree interne piuttosto che le aree rurali in senso stretto, Bertolini e Pagliacci (2016) hanno evidenziato la coincidenza tra i due aggregati, almeno in Italia.
  • 7. Pagliacci et al. (2016) hanno considerato come regioni vicine quelle che condividono almeno un tratto di confine. Esistono ovviamente molti modi diversi per calcolare la contiguità spaziale (ad esempio, considerare una data soglia di distanza).
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