Introduzione
Il settore agroalimentare esercita una rilevante attrattiva per il sistema dell’illegalità. Lo dimostrano eventi di cronaca più o meno recenti, come ad esempio le vicende della c.d. terra dei fuochi, gli interessi dei gruppi malavitosi sul mercato ortofrutticolo di Fondi, i fatti di Rosarno. Tale evidenza solleva un generale allarme da parte delle istituzioni e della società, rendendo particolarmente urgente una riflessione sulle conseguenze dell’illegalità per il settore agroalimentare.
Il presente contributo vuole mettere in risalto come il sommerso e l’illegalità rappresentino dei vincoli allo sviluppo sostenibile del sistema agroalimentare a causa degli effetti negativi sulle tre dimensioni “classiche” della sostenibilità: ambientale, sociale ed economica. Ai fini del lavoro, si provvederà a realizzare una classificazione sintetica delle diverse forme di illeciti, considerando sia la dimensione relativa alla legalità che alla legittimazione sociale dei fenomeni; verranno altresì evidenziati l’implicazione e l’impatto di tali attività sul settore agricolo dal punto di vista economico, sociale e ambientale.
Sommerso, illegale e criminale: limiti definitori
Esiste un margine di confusione intorno ai termini illegale e sommerso e ai rispettivi confini, in parte perché possono esserci effettive sovrapposizioni, in parte perché il limite è dettato dal sistema giuridico vigente, quindi differisce da un Paese all’altro e cambia nel tempo.
In ambito statistico, allo scopo di individuare una metodo di stima esaustivo del prodotto interno lordo, da molto tempo si stanno affinando definizione e metodi di quantificazione dell’“economia non osservata” che ricomprende l’economia sommersa, quella illegale, quella informale, quella di autoconsumo, nonché le attività per le quali mancano informazioni di base (il cosiddetto “sommerso statistico”) (Ocse, 2002; Mef, 2011).
Senza l’ambizione di risolvere un problema definitorio piuttosto complesso, assumiamo che un’attività sia illegale se viola una qualche norma di un sistema di istituzioni formali.
Riprendendo la classificazione fatta da Webb et al. (2009), alle categorie legali e illegali aggiungiamo “legittimate” e “illegittimate”, rispetto ai mezzi con cui le attività economiche si realizzano o ai fini che perseguono (Figura 1). In quest’ottica, un sistema di instituzioni informali (inteso come valori condivisi che definiscono l’accettabilità sociale di un comportamento) può far sì che anche ciò che è illecito sia in qualche modo “legittimato”, creando l’ambito dell’economia informale che in linea di massima corrisponde all’economia “sommersa”, cioè ad attività produttive di per sé lecite, ma che contravvengono a norme amministrative, soprattutto fiscali e contributive, allo scopo di ridurre i costi di produzione o ampliare i propri margini di profitto. Invece, l’economia illegale e illegittimata ha come oggetto attività proibite nei mezzi (ad es. quelle realizzate con l’uso della violenza) e nei fini provocando il rifiuto sociale (così, l’economia criminale).
Figura 1 - Categorie istituzionali e attività imprenditoriali
Fonte: adattato da Web et al. 2009
Alcuni illeciti, come il traffico dei rifiuti o dei migranti, richiedono l’esistenza di una struttura complessa che sappia interagire in modo appropriato con il contesto, anche istituzionale. La necessità di una struttura organizzativa, può favorire le infiltrazioni da parte di organizzazioni criminali anche di stampo mafioso che “beneficiano” di strutture preesistenti e di capacità logistica associata ad altri traffici (Unicri e Max Planck Institute, 2010). Tali fenomeni, sono noti, per le attività di nostro interessse, con il termine “agromafia” e “ecomafia” con cui vengono indicate le attività illegali gestite dalla criminalità organizzata nei settori agricolo e ambientale (Coldiretti ed Eurispes, 2015; Legambiente, 2014).
Aspetti economici. La difficile valutazione dei costi dell’illegalità.
La misurazione dell’economia illegale e dei suoi effetti sulle capacità di crescita dell’economia legale risulta molto complessa a causa di problemi di natura statistica, che attengono alla qualità delle informazioni disponibili sul tasso e tipologia di illegalità nei diversi territori. Le attività illegali per definizione cercano di nascondere i segnali della propria presenza e ciò ne impedisce la rilevabilità statistica diretta. Quindi le ricerche di tipo quantitativo devono essere necessariamente affiancate da analisi qualitative per la comprensione della portata dei costi e la loro articolazione.
Scaglione (2012) distingue due principali categorie di costi, ovvero: costi diretti (costi attribuibili ad una specifica attività) e indiretti (effetti indotti quali mancato guadagno o minori investimenti), ma non sempre è possibile inserire ciascun costo all'interno di un'unica categoria predefinita. Per tale motivo i ricercatori tendono a considerare un’ampia nozione di costi per valutare l’economia illegale e tali costi vanno dalle considerazioni sul funzionamento del tessuto economico (in termini di misure del mancato sviluppo, assenza di competitività, bassa produttività, attrattività degli investimenti, concorrenzialità), sulle implicazioni sociali (sfiducia nelle istituzioni, insicurezza, bassa qualità della vita, emigrazioni) e, inoltre, gli effetti dell’illegalità sulla fruibilità dei beni collettivi.
Prendendo a riferimento nel sistema agroalimentare i costi diretti e indiretti, questi afferiscono a diversi “anelli” a monte e a valle della filiera, dalla produzione alla distribuzione e alla vendita. Così compaiono nella fase di approvvigionamento input produttivi per l’agricoltura derivanti da circuiti con prodotti contraffatti di dubbia origine, riconducibili a gruppi criminali. Inoltre, nel settore agricolo si assiste alla presenza di false aziende, che incassano illegalmente contributi da fondi comunitari. Nel processo di trasformazione si osservano casi di adulterazione, sofisticazione e contraffazione del prodotto (Ministero Sviluppo Economico, 2014. p.6), dove il confine tra illegalità compiute nell’ambito di comportamenti opportunistici da parte del singolo produttore e l’esistenza di un sistema di crimine organizzato non è sempre di semplice individuazione.
Nella fase della distribuzione, invece, si osserva un continuo inserimento di gruppi criminali nella gestione dei circuiti commerciali e nella logista dei trasporti. In aggiunta, negli ultimi anni, alcuni mercati all’ingrosso ortofrutticoli sono stati oggetto di indagini per il pericolo di penetrazioni criminali e lo svolgimento all’interno di attività irregolari di vario genere, tra cui lo sfruttamento del lavoro a danno di gruppi di immigrati, anche non regolari.
Nel sistema della commercializzazione inoltre risulta elevato il rischio che la merce segua percorsi economicamente non razionali (come il trasporto del prodotto in lungo e in largo per la Penisola), al di là delle esigenze della filiera agroalimentare, per rispondere a logiche criminali di vario genere (ad esempio, il reciclaggio di moneta). Tutto questo porta al rischio di un aumento dei prezzi dei beni al consumo.
Infine nella vendita dei prodotti agroalimentari, attività assolutamente legali (punti di vendita della distribuzione, ristoranti, etc.) rischiano di divenire lo strumento per ripulire denaro proveniente da altre attività criminali.
Da quanto evidenziato, si osserva come il sistema agroalimentare è fortemente colpito da fenomeni di illegalità. Nel primo Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia, realizzato da Coldiretti ed Eurispes (2011), si stima che l’agromafia genera nel nostro Paese un business da 12,5 miliardi di euro, ovvero il 6% del totale del settore agroalimentare. Una cifra che proviene, secondo il Rapporto, per 3,7 miliardi di euro da reinvestimenti in attività lecite (30% del totale) e per i restanti 8,8 miliardi di euro da attività illecite (70% del totale). I reati alla base di queste organizzazioni criminali nel settore agroalimentare sono diversi: dall’usura alla macellazione clandestina, e alla contraffazione dei prodotti del made in Italy, dal caporalato alla schiavitù nei campi e allo sversamento illegale nei campi destinati alle produzioni agricole di rifiuti di vario genere.
Gli effetti sul capitale umano e sociale. Aspetti di irregolarità legati al lavoro.
Le modalità adottate nell’attività produttiva impattano immediatamente sulla qualità della vita dei lavoratori, autonomi e dipendenti, e delle loro famiglie, ma anche sul clima di fiducia e sulle relazioni reciproche all’interno della collettività, ovvero quello che viene denominato il capitale sociale.
La sostenibilità sociale, dunque, va valutata prioritariamente in relazione all’equità dei rapporti lavorativi, che in agricoltura presenta forti criticità in parte connaturate alle caratteristiche specifiche del settore (in particolare alla discontinuità dovuta alla stagionalità dell’occupazione), in parte connesse a fattori esogeni e di contesto che influenzano le condizioni lavorative specificamente applicate.
In Italia, da quanto emerge sia dai dati statistici dell’Istat che dalle informazioni provenienti da diverse indagini qualitative realizzate presso testimoni privilegiati da vari istituti (Inea, Caritas, Osservatorio Placido Rizzotto), le condizioni di lavoro in agricoltura tendono a peggiorare sulla base della geografia delle condizioni economiche globali dei territori italiani, in particolare scendendo verso il Sud della Penisola (Figura 2).
Figura 2 - Tassi di irregolarità (TI) degli occupati nelle regioni italiane e tasso di occupazione (TO) nel 2013 (medie italiane nell’intersezione degli assi)
Fonte: Istat, conti nazionali
In sostanza, minori sono le alternative offerte dal contesto, maggiore è la disponibilità delle persone ad accettare condizioni lavorative scarse dal punto di vista delle tutela contrattuali e, peggio, della sicurezza del lavoratore. Le inadempienze possono assumere gradazioni diverse: dalla dichiarazione di ore o giorni di lavoro inferiore a quella reale, alla mancanza totale di una formalizzazione del rapporto. La poca appetibilità delle condizioni di lavoro offerte dal settore si traduce in forme di selezione avversa dei lavoratori poichè quelli più qualificati si allontantano e quelli già inseriti non si sentono incentivati a investire in formazione e qualificazione professionale; ne risulta un progressivo impoverimento di capitale umano (Pulina, 2011).
Dal punto di vista aziendale, l’impiego non regolare di lavoro può apparire come un risparmio, ma dal punto di vista sociale costituisce un danno collettivo molto serio sia sul piano della contribuzione e delle tutele del lavoratore mancanti sia per gli effetti indiretti sulla competitvità del settore in quanto le realtà aziendali che adempiono agli obblighi di legge rischiano di essere penalizzate. A questo proposito, colpisce la coincidenza, a livello territoriale, tra i più elevati tassi di irregolarità in agricoltura e i peggiori andamenti del valore aggiunto per occupato (Figura 3), che, tra le altre cose, suggerisce l’esistenza di una certa “pigrizia” nell’attuare strategie aziendali di modernizzazione laddove il contesto permette di scaricare i maggiori costi sul lavoro.
Figura 3 - Tassi di irregolarità sugli occupati (TI) e Valore aggiunto per occupato (VA/Occ) nel 2013 (migliaia di euro) in agricoltura (medie italiane nell’intersezione degli assi)
Fonte: Istat, Conti Nazionali
È difficile tracciare un confine netto tra semplice irregolarità e criminalità vera e propria, in particolare da quando, con la presenza sempre più rilevante di stranieri extracomunitari sul territorio nazionale, la forza contrattuale dei lavoratori si è indebolita ulteriormente permettendo il dilagare di formule primitive di sfruttamento, come il “caporalato”, che spesso si sono rivelate contigue alla criminalità organizzata. A tal proposito, l’Osservatorio Placido Rizzotto (2012) stima che le vittime del caporalato in Italia siano circa quattrocentomila (di cui circa un quarto stranieri) e abbia un costo di almeno 420 milioni di euro l’anno in termini di evasione contributiva, oltre alla quota di reddito indebitamente sottratta ai lavoratori, per il mancato rispetto dei livelli minimi contrattuali.
Gli interventi repressivi, l’introduzione di riferimenti normativi nuovi come avvenuto nel 2011 per il reato di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, possono essere uno strumento di intervento, ma soprattutto è necessario che il tessuto produttivo individui nell’investimento aziendale in capitale, materiale e umano, la chiave di volta per aumentare la produttività del settore senza cercare soluzioni semplicistiche nell’abbattimento del costo del lavoro (Avallone, 2011).
Agricoltura e illegalità. Aspetti ambientali.
I crimini ambientali sono diventati sempre più importanti forme di crimine transnazionale organizzato, tanto che il tema è stato ampiamente dibattuto anche nell’Assemblea Onu per l’Ambiente, svoltasi a Nairobi un anno fa (giugno 2014).
La criminalità ambientale transnazionale riguarda soprattutto il commercio e il traffico di piante, animali, risorse e sostanze inquinanti, in violazione dei regimi di regolamentazione fissati dagli accordi multilaterali ambientali1 e/o in violazione della legge nazionale (Unicri e Max Planck Institute, 2010). Il c.d. ecocrimine è spesso visto come un settore ad alto profitto e a basso rischio, sia per il debole quadro giuridico, che ha un potenziale deterrente poco efficace, che per la mancanza di risorse, di coordinamento e di collaborazione tra paesi.
Per quanto riguarda il settore dei rifiuti, il passaggio dall’orizzonte internazionale a quello nazionale in Italia si è avuto alla fine degli anni Ottanta, quando i traffici internazionali sono diventati più difficili, al seguito di scandali, come quello di Port Koko in Nigeria nel 1988, dove è stato scoperto un cimitero clandestino di scorie tossiche (Canciullo e Fontana, 1995).
Il termine “ecomafia” è un neologismo coniato da Legambiente2che indica quei settori della criminalità organizzata che gestiscono illegalmente attività che hanno a che fare con la gestione delle risorse naturali del Paese, come il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti, l'abusivismo edilizio e le attività di escavazione, i traffici clandestini di animali esotici e l'allevamento di animali da combattimento (Legambiente, 2014).3 I reati compiuti sono il dumping ambientale, la falsificazione di fatture e bilanci, l’evasione fiscale e il riciclaggio, la corruzione, il voto di scambio e la spartizione degli appalti (Unioncamere, 2013).
Dal 1994 L’Osservatorio nazionale ambiente e legalità di Legambiente [link] svolge attività di ricerca, analisi e denuncia del fenomeno.4 Secondo queste indagini, nel 2013, in termini economici, il business delle ecomafie in Italia era di 14,9 miliardi di euro (Figura 4, Legambiente, 2014). Per quanto riguarda la distribuzione regionale, il 47% dei reati ambientali nel 2013 è avvenuto nel Sud Italia (Figura 5, Legambiente, 2014).
Figura 4 - Il business delle ecomafie per settore
Fonte: Legambiente, 2014
Figura 5 - Distribuzione percentuale dei reati
A fianco a ogni Regione viene indicata la posizione rispetto all’anno precedente.
Fonte: Legambiente, 2014.
Il ciclo dei rifiuti, che rappresenta il 15% dei reati accertati (Legambiente, 2014), è il comparto più redditizio delle ecomafie: rinnovando filiere e modalità operative, la criminalità organizzata ha creato un sistema di “finto riciclo” che genera un doppio guadagno per le mafie (mancato costo dei trattamenti e proventi della vendita all’estero dei “cascami”) e un doppio danno per la società (i cittadini pagano contributi ecologici per un servizio non effettuato e le imprese che operano nella legalità sono penalizzate) (Unioncamere, 2013).
Numericamente, la maggioranza dei reati ambientali che si verifica in Italia è da ricollegarsi allo sfruttamento del territorio (sversamenti illegali, discariche incontrollate, abusivismo edilizio, incendi) (Legambiente, 2014), in un paese in cui la difesa del territorio è particolarmente importante per via della notevole densità antropica e della fragilità da un punto di vista geomorfologico e idrogeologico.
Da un punto di vista ambientale, le conseguenze delle varie forme di ecocriminalità possono essere molto gravi per il settore agricolo, per il quale l’ambiente è sia input che output dei processi produttivi. Queste attività, secondo la definizione che ne danno McElwee et al. (2011), si caratterizzano per un’imprenditorialità che “estrae valore”, ovvero che arricchisce l’individuo, ma impoverisce la società in generale e il settore agricolo in particolare.
Gli ecoreati possono infatti avere impatti sulla salute dei consumatori (con prodotti non salubri), sui redditi dei produttori (per danni alle risorse naturali input dei loro processin produttivi e danni di immagine al settore), sui prezzi dei fattori (con pressioni sul mercato fondiario) su interi territori (dipendenti dal livello di reversibilità dei danni recati alla risorse naturali, con conseguenze sulla qualità della vita che possono sfociare anche in fenomeni migratori).
La gestione illegale del ciclo dei rifiuti è l’ecoreato che più interessa il settore agricolo per i rischi causati ai terreni agricoli da discariche illegali non controllate e cave abusive. Esemplare in tal senso il recente caso della Terra dei fuochi in Campania che ha destato l’attenzione dei consumatori, in seguito al riscontro di un elevato stato di contaminazione dei terreni agricoli da parte di sostanze chimiche con un tempo di decadimento molto lento (Movimento Difesa del Cittadino e Legambiente, 2013).
Secondo l’indagine Inea (Povellato e Bortolozzo, 2014), nel 2013 si registrano, in conseguenza a questi fenomeni, impatti sui valori fondiari nelle aree con problemi ambientali, come il napoletano o il casertano.
Anche la produzione di energie da fonti rinnovabili ha subito l’infiltrazione massiccia delle organizzazioni criminali attratte dai forti incentivi stanziati nel settore (Unioncamere, 2013).
A fronte di un mercato dell’eolico quasi saturo, quando le mafie hanno rivolto l’attenzione al fotovoltaico, hanno sfruttato le precarie condizioni economiche degli agricoltori soprattutto nel Sud Italia, acquistando i loro terreni a prezzi di favore (Unioncamere, 2013). L’evoluzione normativa, impedendo di installare impianti a terra, ha fermato questo fenomeno, ma esso ha comunque avuto un impatto negativo su alcuni sistemi agricoli del Sud del Paese.
Un'altra tipologia di infrazione è quella relativa all’utilizzo di input chimici nocivi per l’uomo e per l’ambiente. Secondo il rapporto “Italia a tavola” del Movimento Difesa del Cittadino e Legambiente (2013), l’azione di contrasto al mercato illegale degli agro-farmaci, ha portato al sequestro-nel periodo dal 2010 al 2013-di oltre 200 tonnellate di agro-farmaci con “sostanze attive” non consentiteche interessava la Campania, ma si estendeva in una fitta rete nazionale ed internazionale.
La figura 6 è un tentativo di sintesi dei principali impatti delle attività dell’ecomafia sul settore agricolo, in base a quanto emerso dalle indagini sul tema (Legambiente, 2014; Unioncamere, 2013). Partendo dalla tipologia di reato ambientale, essa descrive i potenziali impatti negativi sugli input o output agricoli, la tipologia di impatto (se quantitativo o qualitativo) e l’effetto sul settore, ambientale (verde) o socio-economico (arancio).
Figura 6 - Possibili impatti delle ecomafie sul settore agroalimentare
Fonte: Elaborazione degli autori
Alcune considerazioni di sintesi
Le conseguenze sulla filiera agroalimentare della presenza delle attività illecite e/o di modi illeciti di operare sono molteplici così come molteplici sono le modalità dell’operare illecito che affligge il settore.
Gli interventi repressivi e l’introduzione di riferimenti normativi nuovi possono essere uno strumento utile per affrontare il fenomeno. L’introduzione nel 2011 del reato di “Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, la legge n. 109/96 che prevede il riutilizzo sociale dei beni confiscati, la recente introduzione di “Disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente” (ddl n. 1345 [pdf]), sono certamente strumenti importanti. Indispensabile, in questo quadro, appare anche il rafforzarmento dell’attività di cooperazione internazionale coordinata dall’Interpol per fronteggiare reati che travalicano i confini nazionali.
Tuttavia, l’impianto normativo italiano, quand’anche sufficiente a contrastare adeguatamente il fenomeno criminale mafioso nel sistema agroalimentare, da solo non può ovviamente garantire il contrasto ai fenomeni analizzati. Ci sono infatti anche in questo settore problemi legati al sistema giudiziario per cui, in alcune aree del Paese i processi penali (ad es. quelli per frodi agroalimentari) o non si svolgono, oppure sono troppo lenti-cadendo poi in prescrizione; oppure problemi legati alle difficoltà di assicurare una corretta ed economica gestione dei beni sequestrati e confiscati (Coldiretti e Eurispes, 2015).
Al di là dele problema della legalità, rimane la questione ancor più difficile e importante della legittimità. Gli aspetti legislativi e giudiziari sono infatti il prerequisito necessario, ma non solo l’unico fattore che conta. Anche quando illegittimi, ma legittimati, gli illeciti sottraggono valore e rappresentano infatti un ostacolo allo sviluppo sostenibile del settore.
Da questo punto di vista, è fondamentale ricucire la distanza intellettuale che nella società italiana si è aperta con il mondo agroalimentare, riportando al centro dell’attenzione l’importanza che il settore ha per la salute individuale e pubblica per la qualità di vita dei territori, riducendo così l’area dell’illegale legittimato e ampliando quella della non accettazione sociale.
In definitiva, è necessario evitare il rischio che le aziende e le associazioni criminali possano percepire il senso dell’impunità e che i consumatori possano percepire un senso d’insicurezza a cui però non viene attribuito una responsabilità precisa. Tale vaghezza facilita il rafforzamento di un’“area grigia”tra il legale e l’illegale in cui prendono forma relazioni, più o meno consapevoli, di complicità, collusione e compenetrazione tra il tessuto produttivo, la governance politico amministrativa dei territori e le attività mafiose.
Riferimenti bibliografici
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Ocse (2002), Measuring the Non-Observed Economy. A Handbook, 2002, [pdf]
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Unicri e Max Planck Institute (2010), Freedom from fear, n. 6, Marzo 2010
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Sitografia
- 1. Il quadro giuridico che disciplina le questioni ambientali nel diritto internazionale è definito da oltre 270 Accordi multilaterali di carattere ambientale e strumenti correlati. Nel passato, tali accordi erano per lo più su base bilaterale e piuttosto limitati in numero e portata. Con la nascita delle Nazioni Unite questa tendenza è stata invertita.
- 2. Fenomeni illeciti legati al settore dei rifiuti sono rilevati in Italia già dagli anni Ottanta, tuttavia, il termine ecomafia appare, per la prima volta, nel 1994 nel documento di Legambiente intitolato “Le ecomafie-il ruolo della criminalità organizzata nell'illegalità ambientale”, in collaborazione con Eurispes e l'Arma dei Carabinieri.
- 3. Nei rapporti sull’“Ecomafia” di Legambiente vengono anche censiti i traffici clandestini di opere d’arte rubate (c.d. archeomafia).
- 4. In collaborazione con tutte le forze dell'ordine, l'istituto di ricerche Cresme ed i magistrati impegnati nella lotta alla criminalità ambientale.