Questo articolo è un estratto della prefazione di Simone Misiani al volume “Non tutto è da buttare via. Territorio, riforme, politica” di Giuseppe Barbero, che sarà pubblicato nella nuova collana “Economia Applicata” di Agriregionieuropa.
Il volume racconta la carriera di un grande esperto, Giuseppe Barbero, attraverso il suo itinerario intellettuale di economista agrario e di sociologo economico. Il luogo principale dove Barbero ha esercitato la sua competenza è l’Istituto Nazionale di Economia Agraria (Inea), dove a metà degli anni Cinquanta è stato assunto come ricercatore e di cui è stato commissario e poi presidente dal gennaio del 1976 al febbraio del 1991. Il contributo di Barbero alla storia dell’Inea è stato rilevante come risulta con evidenza dalla storia dell’Istituto (Barbero, 2009).
L’Inea è nato negli anni del fascismo da un progetto di Arrigo Serpieri. Si tratta di una istituzione di ricerca economica e sociale che ha fatto da cerniera tra le esigenze del mondo agricolo e la politica del governo. Il progetto di Serpieri si proponeva di far coesistere l’intelligenza razionale delle Accademie agrarie del XVIII e XIX secolo con gli ideali del socialismo modernizzatore della società umanitaria di Milano. L’Inea si proponeva di dare una risposta alla domanda di inclusione dell’Italia rurale in una società di massa. Negli anni della Repubblica l’Inea, grazie agli stimoli offerti da Rossi-Doria e poi Medici e Bandini, ha acquistato un netto profilo democratico in grado di rappresentare le diverse realtà agricole, di elaborare una nuova visione del rapporto tra istituzioni e territorio e preparare proposte di intervento da sottoporre alla politica. La presidenza di Barbero ha rafforzato questo indirizzo agganciandolo al processo di riforma della politica agricola europea degli anni Settanta e Ottanta.
La rilevanza del lavoro svolto da Barbero come presidente dell’Inea è ben documentata nel volume ma non meno rilevanti sono i suoi contributi scientifici di ricercatore. Pertanto la pubblicazione degli suoi scritti è utile perché offre agli storici e agli esperti di altri settori un materiale in gran parte inedito o poco conosciuto. Molteplici infatti sono le sollecitazioni rispetto al dibattito odierno sulla crisi della democrazia.
La tesi di fondo del volume è che vi sia una correlazione stretta tra l’efficienza della politica e la capacità di istituti di ricerca, come l’Inea, di rappresentare la dinamica presente nella realtà socio-economica. L’autore interpreta i problemi italiani nella prospettiva di un quadro internazionale.
Le mie considerazioni riguardano, prevalentemente, lo stretto rapporto tra l’attività dell’esperto e la dinamica democratica. In questa introduzione cerco di collocare le analisi e le proposte dell’economista nel contesto storico in cui si sono svolte. Il volume entra nel cuore del dibattito sulle origini storiche della crisi economica e istituzionale attuale; racconta le trasformazioni del territorio in un lungo periodo che va dall’Italia rurale del dopoguerra al processo di globalizzazione; mette in risalto l’arretratezza delle istituzioni, rispetto all’obiettivo di valorizzare le potenzialità del sistema agro-alimentare; ci porta a individuare la principale causa storica della crisi del sistema nell’arretratezza delle istituzioni.
L’economista Barbero scruta la realtà senza pregiudizi ideologici e mette in evidenza le disfunzioni del sistema. Le sue analisi valutano non solo i caratteri delle imprese ma anche i diversi soggetti socioculturali che rendono il territorio un fattore strategico. Alcuni scritti si concentrano sulla nascita di una società dei consumi, sulla trasformazione dell’agricoltura in agroalimentare e la sua interazione con il paesaggio civile, restituendo un quadro sistematico della nascita di un’economia e una società del cibo. Barbero considera la filiera agroalimentare parte costitutiva di un sistema territoriale moderno, dimostrandosi particolarmente attento alla ricerca degli indicatori più adatti all’analisi dello sviluppo e della modernizzazione economico-sociale. L’interesse rivolto alle imprese gli consente di cogliere i mutamenti della forma aziendale e l’interrelazione tra agricoltura e alimentazione. Gli scritti pertanto offrono elementi di novità nel dibattito storiografico sull’oggetto (il territorio) e fanno emergere un filone del pensiero riformista che guarda ai vantaggi del mercato e fa derivare il soddisfacimento della domanda sociale da una cultura imprenditoriale.
Barbero si rifà, innovandola sostanzialmente, alla metodologia serpieriana a cui si richiamano i suoi maestri (Giuseppe Medici, Manlio Rossi-Doria e Mario Bandini), per lo studio e del territorio agricolo e del mondo rurale, volgendola ad analizzare e interpretare una realtà irreversibilmente modificata. Nel suo approccio, il territorio si trasforma da spazio rurale in risorsa collettiva le cui manifestazioni concrete sono fortemente influenzate dalle condizioni naturali e dalla storia. Una visione che sottende un progetto politico liberale e democratico e che quasi sicuramente è stata influenzata dalla prima esperienza politica di Barbero in "Giustizia e Libertà" (Partito d’Azione), a cui aveva aderito nel 1944 partecipando alla guerra partigiana. Una concezione che si arricchisce gradualmente attraverso i numerosi rapporti e collaborazioni con studiosi di diversa formazione e di diverso orientamento politico.
Diversi scritti si rivolgono, direttamente o indirettamente, ai decisori politici del dopoguerra: sono leader cattolici del centrosinistra, come Giulio Pastore e Giovanni Marcora e il leader socialista Bettino Craxi. Nel volume sono pubblicati anche alcuni testi inediti che testimoniano il dialogo con i politici. In essi sono presenti interessanti considerazioni sul funzionamento della democrazia, argomento su cui tornerò. Barbero lega l’intervento pubblico alle dinamiche del mercato, senza cedimenti a utopie ideologiche, in particolare critica l’arroccamento e le deficienze organizzative delle organizzazioni sindacali agricole.
La biografia del tecnico Barbero inizia con l’interesse meridionalistico del dopoguerra e si amplia nel tempo fino a prendere in esame i problemi creati dalla globalizzazione. Un momento rilevante di svolta è occupato dagli anni Sessanta durante i quali l’autore affronta il tema delle riforme e scopre il dinamismo del Nord-Est, smontando la tesi del carattere conservatore di quel mondo rurale.
La forza innovativa delle sue analisi dipende in gran parte dalla sua autonomia dai partiti politici, dalle associazioni di categoria e della rappresentanza sociale. Barbero coniuga il metodo dell’economia quantitativa con l’inchiesta sociale condotta sul campo. La sua concezione empirica delle politiche rurali si è scontrata con il modello autoritario di pianificazione di quegli anni. Per lui il territorio è il centro della dinamica sociale, dove esplode e si ricompone la dialettica storica. Le sue indagini conoscitive colgono, con alcuni decenni di anticipo, le origini della crisi, che non è congiunturale ma di tipo strutturale, offrendo un contributo originale al dibattito sul rapporto problematico tra democrazia e pianificazione.
Le sue analisi hanno sempre natura applicativa, approfondiscono contesti e situazioni storicamente delimitati, forniscono una chiave del dinamismo produttivo e del suo intreccio con la moltitudine di istituzioni responsabili della politica territoriale. Nei suoi scritti c’è una costante di fondo: le misure di intervento per avere successo devono essere coerenti con i dati sul dinamismo socio-produttivo del territorio e devono adattare i propri obiettivi ed i propri strumenti di azione alle condizioni ambientali, istituzionali ed umane.
Giuseppe Barbero è un tecnico sebbene questa categoria di esperto vada distinta rispetto all’uso che ne fa attualmente la scienza politologica. Di recente, il filosofo Natalino Irti ha definito la leadership del Governo Monti come conferma dell’aspirazione della competenza ad instaurare un regime tecnocratico ed applicare alla vita sociale il modello di organizzazione gerarchica e procedurale della grande impresa secondo un disegno nato negli anni Trenta negli Stati Uniti (Irti, 2014). La crisi democratica europea e l’affermarsi, in diversi Paesi, di governi tecnici, hanno indotto importanti intellettuali a rivolgere una critica radicale contro una logica semplificatoria in difesa della complessità del decidere politico. Infatti occorre distinguere tra disegno tecnocratico e funzione del conoscere in un regime democratico.
La presenza degli esperti nel processo decisionale è una prassi consolidata nelle principali democrazie del mondo occidentale, pur con le differenze legate ai singoli ordinamenti. L’aggiornamento dei dati sulla conoscenza empirica della realtà costituisce un punto fondamentale per il funzionamento di una democrazia non ideologica. La conoscenza quantitativa e qualitativa è un momento distinto e autonomo centrale per garantire efficacia alla deliberazione politica come ha insegnato il liberale Luigi Einaudi. In una democrazia i dati sulla dinamica reale della società sono fondamentali per evitare i danni di una impostazione astratta.
Sono state relativamente scarse ma interessanti le riflessioni di Barbero sul ruolo degli esperti. Nel convegno della Società italiana di economia agraria del 1982 sul tema della “Dimensione regionale nella formazione e gestione della politica agraria” parte dalla constatazione che il rapporto tra ricercatore e policy-maker riguarda tutti i campi dell’intervento pubblico e della conoscenza scientifica. Tale rapporto è perciò un rapporto dialettico, di collaborazione critica. Si tratta, da un lato, di difendere l’autonomia del ricercatore e, dall’altro, la finalizzazione del processo decisionale.