Negli ultimi decenni diversi fattori hanno portato la qualità e la sicurezza alimentare ad assumere una crescente importanza nei mercati agro-alimentari. Tali determinanti vanno ricercate nei diversi scandali alimentari, nella crescente preoccupazione circa il contenuto degli alimenti, nelle modalità di produzione, oltre che nella rinnovata attenzione al legame tra dieta e salute (Grunert, 2005). Tutti questi elementi hanno contribuito a far si che la differenziazione verticale ed orizzontale dei prodotti rappresenti un requisito chiave per soddisfare le esigenze dei consumatori. Di conseguenza, le imprese che operano nei mercati agro-alimentari hanno sviluppato un tipo di competizione orientata più sulla qualità che sul prezzo dei beni commercializzati.
Contestualmente, la qualità dei prodotti commercializzati si è imposta recentemente come un fattore cruciale nei modelli di commercio internazionale basati sulla concorrenza monopolistica e sull’eterogeneità delle imprese (Baldwin, Harrigan, 2011; Fajgelbaum et al., 2011). La qualità dei prodotti esportati risulta essere infatti un elemento chiave in grado di spiegare sia i pattern di commercio internazionale, che il successo delle imprese nel mercato delle esportazioni.
La progressiva attenzione alla qualità e alla sicurezza dei prodotti alimentari ha portato inoltre allo sviluppo di una serie di regolamenti e standard generando una crescente pressione sui paesi in via di sviluppo, spingendoli a rendere i loro prodotti idonei all’esportazione (Jouanjean, 2012). Gli standard alimentari sono principalmente orientati a garantire la sicurezza del prodotto finito e del processo di produzione stesso, ma possono essere anche legati ad altri attributi come la provenienza di un prodotto, piuttosto che il rispetto di norme ambientali o la tutela del benessere degli animali. Nell’ultimo decennio la diffusione degli standard alimentari, sia pubblici (stabiliti dai governi dei Paesi), che privati (stabiliti dalle imprese), è cresciuta sensibilmente, al punto da ricoprire un ruolo centrale nel coordinamento delle catene agroalimentari globali e nelle dinamiche di commercio internazionale.
Ad oggi, tuttavia, l’evidenza empirica sull’effetto della diffusione degli standard sul commercio internazionale è da ritenersi ambigua. Gli standard, infatti, possono agire sia come barriere non tariffarie al commercio, costituendo quindi un impedimento alle esportazioni, sia come catalizzatori del commercio, portando ad un incremento delle esportazioni attraverso la modernizzazione dei processi produttivi e le attività di innovazione e miglioramento dei prodotti (Swinnen, 2007). Gli studi sull’impatto dagli standard pubblici, quali le misure sanitarie e fito-sanitarie, hanno messo in evidenza come tali norme e regolamenti rappresentino un ostacolo al commercio internazionale, comportandosi come barriere non-tariffarie (Li e Beghin, 2012). Al contrario, studi focalizzati su standard volontari e privati, hanno spesso evidenziato un ruolo positivo nel favorire lo sviluppo del commercio internazionale, soprattutto quando si considerano standard armonizzati e commercio Nord-Nord (Blind e Jungmittag, 2005; Swann, 2010; Shepherd e Wilson, 2013).
L’obiettivo di questo nota è quello di presentare una serie di recenti risultati empirici, finalizzati a quantificare l’effetto dell’impatto della diffusione degli standard volontari sul miglioramento della qualità dei prodotti esportati. Tale esigenza nasce dal fatto che, nonostante il ruolo degli standard sul volume del commercio internazionale abbia rappresentato un importante ambito di ricerca empirica, ad oggi la quantificazione dell’effetto diretto della loro diffusione sul miglioramento della qualità dei prodotti esportati ha ricevuto minore attenzione.
Qualità dei prodotti e diffusione degli standard in un modello di distanza dalla frontiera
In un recente lavoro di ricerca, Olper et al. (2014)1 hanno verificato empiricamente se la diffusione degli standard alimentari volontari dell’Unione Europea (UE) abbia esercitato un’ influenza significativa sui processi di miglioramento della qualità dei prodotti agro-alimentari esportati. Tale relazione è stata analizzata ricorrendo ad un modello di distanza dalla frontiera proposto da Aghion et al. (2005). Tale modello prevede l’esistenza di una relazione non monotona tra aumento della competizione ed attività di innovazione tecnologica delle imprese. Un incremento nel livello di competizione porta infatti le imprese che si trovano in prossimità della frontiera tecnologica ad innovare di più al fine di contrastare la concorrenza dei nuovi attori presenti nel mercato. Al contrario, un aumento di competizione tende a ridurre i ricavi attesi dall’innovazione per le imprese (o prodotti) più distanti dalla frontiera tecnologica. Tale effetto si verifica perché le imprese leader sono consapevoli di poter sopravvivere all’ingresso di nuovi competitors intensificando l’attività di innovazione. Al contrario, per le imprese più lontane dalla frontiera tecnologica, un aumento della competizione, difficilmente si traduce in un maggiore sforzo di innovazione date le difficoltà oggettive nel colmare il gap che le separa dalle imprese leader.
Secondo questa logica, il miglioramento qualitativo dei prodotti rappresenta una forma di innovazione, mentre la diffusione degli standard rappresenta la variabile in grado di alterare il grado di competizione2. Pertanto, l’effetto della diffusione degli standard sul miglioramento della qualità dei prodotti esportati nella UE dipenderà dalla natura anti o pro-competitiva degli standard.
Più in particolare, il lavoro si propone di investigare due ipotesi alternative circa la relazione tra miglioramento della qualità dei prodotti esportati e diffusione degli standard volontari nell’Unione Europea. Tali ipotesi sono la conseguenza della natura ambigua degli standard che, come accennato in precedenza, possono avere sia un effetto pro-competitivo che anti-competitivo.
La prima ipotesi è che la diffusione degli standard possa avere un effetto anti-competitivo. Ciò potrebbe verificarsi principalmente a seguito degli elevati costi di adempimento degli standard. Infatti, se da un lato gli standard possono essere considerati come beni pubblici, dall’altro a causa del loro elevato costo di adozione l’adempimento ad uno standard risulta essere piuttosto complicato. Questo si verifica soprattutto per i cosiddetti outsider che non hanno influenza sul processo di standardizzazione (Blind e Jungmittag, 2005; Swann, 2010). Nella misura in cui uno standard viene considerato uno strumento protezionistico, il modello di distanza della frontiera suggerisce l’esistenza di una relazione negativa tra la diffusione degli standard e il miglioramento qualitativo dei prodotti, in particolare imprese (o prodotti) in prossimità della frontiera qualitativa.
La seconda ipotesi, diversamente, assume che gli standard abbiano un effetto pro-competitivo. Dalla letteratura emerge infatti che la diffusione degli standard può portare ad innalzare il livello qualitativo richiesto, determinando quindi un incremento della competitività dei prodotti (Maertens e Swinnen, 2009; Henson et al., 2011). Inoltre, come suggerito da Porter e van der Linde (1995), la diffusione di standard in un Paese può portare le imprese ad incrementare la loro attività innovativa e quindi a migliorare la loro competitività, generando un vantaggio competitivo nei confronti delle imprese estere non soggette alla stessa regolamentazione. Infine, gli standard riducono i problemi di asimmetria informativa sulla qualità dei prodotti che può condurre alla nascita di fallimenti di mercato e alla riduzione della qualità media dei prodotti (Leland, 1979).
Se gli standard hanno un effetto pro-competitivo, la logica del modello di distanza della frontiera suggerisce che la loro diffusione dovrebbe indurre un miglioramento della qualità dei prodotti nelle imprese più prossime alla frontiera ed un “rallentamento” per quelle più lontane.
Il modello empirico
Queste due ipotesi concorrenti sono state sottoposte a verifica empirica seguendo l’approccio di Amiti e Khandelwal (2013). Si assuma che Dhci,t rappresenti la distanza dalla frontiera del prodotto h, esportato dal paese c, nel paese i, nell’anno t, vale a dire il rapporto tra il suo valore di qualità rispetto al valore più alto all’interno della stessa categoria di prodotto (CN 8-digit). Per costruzione, la variabile Dhci,t, assumerà valori vicini a zero per prodotti lontani dalla frontiera e valori vicini a 1 per prodotti in prossimità della frontiera3. A livello empirico, si tratta di stimare la seguente relazione:
, (1)
dove ∆lnϕhci,t rappresenta la variazione della qualità del prodotto h esportato dal paese c verso il paese i (15 paesi UE), tra l’anno t e l’anno t-5. Tutte le variabili esplicative si riferiscono al tempo t-5 per ridurre i problemi di endogeneità. La crescita della qualità nell’equazione (1) viene spiegata quindi dalla distanza dalla frontiera Dhci,t-5, dal numero di standard volontari della UE, STDeuh,t-5, e dall’interazione tra queste due variabili, Dhci,t-5 * STDeuh,t-5. Quest’ultimo termine, ha l’obbiettivo di catturare le possibili non-linearità previste dal modello di distanza dalla frontiera. Il termine Xhc,t-5 rappresenta un set di variabili di controllo relative alle caratteristiche del paese esportatore. Infine, si noti che il termine di errore, εhci,t, include sia effetti fissi Paese esportatore – anno che effetti fissi Paese importatore – anno.
Tale specificazione empirica viene testata inoltre aggiungendo alla (1) le tariffe all’import dei paesi esportatori e la loro interazione con la distanza dalla frontiera. La variabile relativa alle tariffe viene utilizzata come proxy per il livello di competizione domestica all’interno di ogni settore-paese esportatore. Tale implementazione ha l’obiettivo di verificare se l’effetto della diffusione degli standard volontari sulla variazione della qualità dei prodotti importati nella UE è in qualche modo influenzato dalle tariffe all’import dei paesi esportatori.
Misura della qualità dei prodotti e dati utilizzati
Lo studio è complicato dal fatto che la qualità è una variabile non osservata. Per superare questo problema la variabile più comunemente usata come proxy per la qualità è il valore unitario dei prodotti esportati, calcolato come rapporto tra il valore nominale e la quantità del bene esportato. Tuttavia, tale indicatore, basato sull’ipotesi che un elevato prezzo sia sinonimo di elevata qualità, cattura diversi elementi che non sono direttamente attribuibili alla qualità. Ad esempio, un elevato prezzo potrebbe essere legato ad un’elevata qualità ma anche ad elevati costi di produzione (Aiginger, 1997) o ad elevati margini di guadagno generati dal potere di mercato (Knetter, 1997).
Per superare questo problema, alcuni recenti lavori hanno proposto dei metodi innovativi finalizzati a stimare misure di qualità più attendibili (Hallak e Schott, 2011; Khandelwal, 2010; Khandelwal, Schott e Wei, 2013). Nella presente applicazione, la qualità dei prodotti esportati nella UE è stata stimata ricorrendo all’approccio di Khandelwal (2010). Tale metodo consente di stimare la qualità dei prodotti utilizzando dati di trade, sia in valore che in quantità, e dati sulla produzione, basandosi sulla seguente intuizione: “controllando per il prezzo, un’ elevata qualità viene assegnata a prodotti con elevate quote di mercato”. Il metodo si basa sulla stima di una funzione di domanda nested logit sviluppata da Berry (1994) e consente di ottenere stime di qualità dei prodotti a livello paese-prodotto ad un elevato livello di disaggregazione. La misura della qualità ottenuta con il metodo di Khandelwal (2010) consente di tenere in considerazione preferenze dei consumatori sia per attributi orizzontali che verticali di prodotto4 5. I dati sulla diffusione degli standard UE utilizzati nell’analisi empirica, derivano dallo European Union Standard Database (Eusdb). Tale database fornisce informazioni sul numero di standard volontari in forza nella UE dal 1995 al 2003, classificati ad un livello di disaggregazione HS 4-digit6. Tale banca dati offre inoltre la possibilità di individuare quanti tra questi standard siano Iso, ovvero armonizzati a livello internazionale. L’analisi empirica ha inoltre l’obbiettivo di separare l’effetto degli standard UE sulla qualità, rispetto all’effetto esercitato dalla competizione nel mercato di origine, misurata dal livello di protezione tariffaria imposta dai paesi esportatori. I dati sulle tariffe (ad valorem) dei paesi esportatori a livello di disaggregazione HS 6-digit, derivano dalla banca dati Trains dell’Unctad, attraverso Wits.
Standard UE e miglioramento della qualità: risultati
Nella tabella 1 sono riportati i risultati relativi all’effetto degli standard sul miglioramento della qualità dei prodotti alimentari. Tale relazione, oltre che sulla totalità degli standard (colonna 1), è stata testata separatamente per gli standard Iso e quelli non-Iso (colonne 3 e 4)7.
Tabella 1 - Miglioramento della qualità, competizione e diffusione degli standard
Note: variabile dipendente: tasso di crescita della qualità (vedi equazione 1). Standard error clusterizzati per Paese esportatore (con la UE considerate come unico Paese a causa della politica commerciale comune). Significatività * .10 ** .05 *** .01
Complessivamente l’effetto aggregato degli standard sul tasso di variazione della qualità risulta essere positivo, significativo e quantitativamente rilevante. Un aumento del 10% del numero di standard determina un aumento del tasso di crescita del nostro indicatore di qualità dell’1,6% circa. Nonostante il termine di interazione tra standard e distanza dalla frontiera sia negativo, confermando la presenza di una relazione non lineare e dipendente dalla distanza dalla frontiera, tale effetto è quantitativamente debole e solo in alcuni casi significativo. Si noti inoltre che il coefficiente relativo alla distanza dalla frontiera è negativo e molto significativo, aspetto che conferma l’esistenza di un processo di convergenza nei livelli di qualità tra i paesi/prodotti.
Nella colonna 2 vengono aggiunte alla specificazione le tariffe all’import dei paesi esportatori e la loro interazione con la distanza dalla frontiera. L’effetto delle tariffe è positivo per il termine lineare e del negativo per il termine interagito, ed entrambi sono significativi al 5%. Tale risultato è in linea con quanto teorizzato dal modello “distanza dalla frontiera” e con risultati di Amiti e Khandelwal (2013) relativi al mercato statunitense. L’evidenza empirica perciò conferma come le varietà più vicine alla frontiera beneficino di un aumento della qualità dovuto alla riduzione delle tariffe (effetto pro-competitivo), mentre quelle più distanti subiscano il processo opposto (effetto scoraggiamento). Ancora più importante ai nostri fini, tuttavia, è il fatto che, controllando per l’impatto delle tariffe, l’effetto degli standard rimanga positivo e statisticamente robusto.
Nelle colonne 3 e 4, l’effetto degli standard sulla qualità viene considerato separatamente per gli standard Iso e non-Iso, rispettivamente. Come suggerito dalla letteratura, infatti, l’effetto sulla qualità dei prodotti potrebbe essere eterogeneo e dipendente dal tipo di standard considerato (Blind, Jungmittag, 2005; Shepherd, Wilson, 2013). In effetti, ciò è quello che emerge dai dati. Gli standard Iso esercitano un significativo effetto negativo (crescente con l’avvicinarsi alla frontiera), mentre per gli standard non-Iso l’impatto sulla tasso di crescita della qualità rimane positivo e significativo. Si noti, inoltre, come la dimensione economica dell’effetto degli standard non-Iso sia tre volte più grande di quella degli standard Iso. Tale differenza potrebbe apparire a prima vista contro-intuitiva, dal momento che gli standard non-Iso sono mediamente più restrittivi di quelli Iso. Tuttavia, il risultato è meno sorprendente se si pensa al fatto che la misura di qualità utilizzata si basa sulle quote di mercato nel paese di destinazione, nel nostro caso la UE. Infatti, adattarsi agli standard non-Iso potrebbe rappresentare una via più efficace per accrescere le quote di mercato, e quindi la competitività, quando si esporta verso un partner commerciale esigente come l’Europa. Al contrario, essendo armonizzati a livello internazionale, gli standard Iso sono meno restrittivi, concorrendo a determinare una minore differenziazione dei prodotti (Blind, Jungmittag, 2005).
Conclusioni
La qualità delle esportazioni è considerata un elemento fondamentale per il successo nel mercato delle esportazioni e ciò appare particolarmente vero quando si tratta di prodotti agro-alimentari. Proprio la crescente attenzione verso la qualità e la sicurezza degli alimenti, soprattutto nei paesi più sviluppati, ha portato negli ultimi anni all’esplosione dei processi di standardizzazione a differenti livelli. La diffusione degli standard è stata oggetto di numerosi studi in letteratura, da cui emergerebbe un effetto ambiguo circa la loro natura pro- o anti-competitiva. Da un lato, infatti, gli standard possono svolgere un ruolo pro-competitivo, generando i giusti incentivi che concorrono al miglioramento della qualità dei prodotti, in modo particolare per le imprese leader nei diversi mercati. Dall’altro, a causa soprattutto degli elevati costi di adesione, gli standard possono avere un effetto anti-competitivo, rappresentando perciò una barriera non tariffaria che riduce gli incentivi ad innovare.
Partendo da queste considerazioni, il presente studio ha proposto una analisi empirica finalizzata a studiare l’impatto della diffusione degli standard alimentari volontari nella UE sulla propensione delle imprese di migliorare la qualità dei prodotti esportati. I principali risultati suggeriscono come gli standard UE, in media, abbiano esercitato un effetto positivo sul miglioramento della qualità dei prodotti esportati e ciò appare vero in modo particolare per gli standard non-Iso. Emergerebbe inoltre come gli standard esercitino un effetto sensibilmente differente da quello delle tradizionali barrire tariffarie. Infatti, l’effetto degli standard, a differenza di quello delle tariffe, non sembra essere dipendente dalla distanza dalla frontiera tecnologica. Tale risultato appare in contrasto con l’ipotesi che gli standard esercitano un ruolo anti-competitivo. Al contrario, il presente studio sembrerebbe confermerebbe esattamente il contrario.
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- 2. Esistono diversi riferimenti in letteratura che descrivono come l’incremento della qualità dei prodotti possa rappresentare una buona proxy dell’attività di innovazione (si veda tra gli altri Helpman, 2011 e Amiti e Khandelwal, 2013). Un incremento della produttività delle imprese è spesso legato infatti all’ attività di innovazione che può portare ad una riduzione dei costi o ad un aumento della qualità degli input o dei prodotti finali.
- 3. La variabile Dhci,t è ottenuta a partire dalla qualità stimata con il metodo Khandelwal (2010), lnϕhci,t. Tale variabile indica la distanza di ogni prodotto h, esportato dal paese c, nel paese i, nell’anno t, rispetto al prodotto al quale viene riconosciuta la più elevata qualità. Valori di Dhci,t vicini a zero, indicheranno prodotti più distanti dalla frontiera qualitativa e quindi di più bassa qualità, mentre valori vicini ad 1, indicheranno prodotti in prossimità della frontiera e quindi di più elevata qualità.
- 4. Per una dettagliata descrizione sulla derivazione empirica della qualità, si rimanda a Khandelwal (2010). Per maggiori dettagli sui dati utilizzati nel presente lavoro, si veda Olper et al. (2014) e Curzi et al. (2013).
- 5. Si noti che tale misura di qualità non rappresenta un indice della qualità intrinseca del prodotto. Tale misura cattura le preferenze dei consumatori per un dato prodotto, considerando informazioni sul prezzo e le quote di mercato del prodotto stesso. Secondo il metodo Khandelwal (2010) infatti, viene assegnata un’elevata qualità a quei prodotti che, una volta controllato per il prezzo, detengono elevate quote di mercato.
- 6. Il numero di standard comprende solo gli standard volontari condivisi da tutti i membri UE e non tengono quindi in considerazione gli standard volontari stabiliti a livello nazionale. Per maggiori informazioni si veda Shepherd (2007).
- 7. Abbastanza sorprendentemente, la relazione tra standard e miglioramento della qualità dei prodotti esportati non presenta sostanziali differenze qualora venga stimata considerando il diverso livello di sviluppo dei paesi (Oecd vs. non-Oecd).