Prodotto locale e sistemi alternativi di vendita

Prodotto locale e sistemi alternativi di vendita
a Università di Camerino, Dipartimento di Scienze Veterinarie

Introduzione

Numerose indagini dedicate all’analisi della filiera corta trattano soprattutto del rapporto produttore-consumatore finale, declinato negli aspetti della qualità del prodotto, del rapporto qualità-prezzo, della produzione a chilometro zero, della tipicità e della tecnica di coltivazione biologica. Gli obiettivi di questo lavoro, basato prevalentemente sull’esperienza maturata in occasione di alcune indagini locali e sulla letteratura del settore, consistono nell’illustrare gli aspetti che caratterizzano il prodotto locale e nel presentare una rassegna delle forme dei sistemi alternativi di vendita. Fino dalla metà degli anni ’90 si è sviluppata un’ampia letteratura dedicata ai canali alternativi di vendita dei prodotti alimentari. Tra i temi affrontati ricordiamo, in particolare, i cambiamenti dei modelli di produzione e di consumo (Paradiso, 2010), le caratteristiche dell’offerta, in particolare i prodotti biologici, il rapporto qualità-prezzo e la produzione locale (Cagliero e Trione, 2005; Gardini e Lazzarin, 2007; Giacomini, 2008; Guthrie et al., 2006; Sini, 2009), la dimensione dei mercati locali, la natura e forma del sistema locale di mercato dal punto di vista di alcuni segmenti del settore della distribuzione (Morris e Kirwan, 2011), la sociologia rurale e le prospettive di sviluppo (Tregear, 2011: 420-421; Renting et al., 2003), gli studi di politica economica (Tregear, 2011: 420) e l’organizzazione dei produttori (Tregear, 2011: 421; Brunori et al., 2011). Per quanto concerne l'analisi dell'attività di trasformazione aziendale e di vendita diretta dei produttori agricoli, la letteratura disponibile è più scarsa (Borri et al., 2009). In letteratura, Alternative Food Network (AFN) tende ad essere adottato come un termine universale per indicare i sistemi di vendita che risultano differenti da quello tradizionale del modello industriale. Quindi, il concetto è definito in relazione a ciò che il fenomeno non è, piuttosto a ciò che rappresenta (Tregear, 2011: 423). Nella realtà, le forme di vendita alternativa che incontriamo sono numerose e possono essere classificate adottando differenti criteri: natura del canale di vendita: per esempio, farmers' market, box schemes (Marsden et al., 2000; Renting et al., 2003); governance o modalità di finanziamento delle relazioni commerciali alternative espresse dalle comunità di sostegno agli agricoltori (Tregear, 2011: 423); caratteristiche del prodotto venduto: caso in cui le iniziative AFN riguardano prodotti alimentari che racchiudono delle caratteristiche naturali e culturali distintive di un area locale (Tregear, 2011: 423). Per il consumatore, la filiera corta offre l’opportunità di trovare prodotti di più elevata qualità e di maggiore sicurezza alimentare. Generalmente, i consumatori associano ai prodotti locali le seguenti caratteristiche: freschezza e genuinità, legame con il paesaggio, adozione di metodi di produzione ambientalmente sostenibili, origine geografica del prodotto (tracciabilità), cibo non omologato e socialità legata all’acquisto locale. La freschezza e la genuinità dei prodotti sono messe in risalto dai cicli di produzione stagionali della natura (Bond et al., 2009). Agli occhi del consumatore, inoltre, anche la bellezza del paesaggio nel quale è inserita l’azienda contribuisce a rafforzare l’immagine di qualità dei prodotti. L’elevato impatto ambientale, dovuto alle tecniche agricole di produzione intensive e ai trasporti su grandi distanze, porta il consumatore ad apprezzare i metodi di produzione ambientalmente sostenibili caratterizzati da un minor uso dell’energia ed emissione dei gas serra (Abatekassa e Peterson 2011: 64; Paradiso, 2010). Attraverso la filiera corta si possono ridurre gli imballaggi, limitando l’impatto ambientale legato alla produzione e allo smaltimento del packaging. Infine, nella filiera corta il consumatore può trovare prodotti di varietà locali non sempre reperibili attraverso la grande distribuzione organizzata. La socialità legata all’acquisto locale consiste nella relazione diretta che si instaura tra produttore e cliente (Tregear, 2011: 426-427). Dal punto di vista dei produttori i consumatori non sono più visti come «clienti» ma come persone, titolari del diritto ad una sana alimentazione ed alla conoscenza del lavoro e della qualità che stanno alla base dei prodotti offerti, con la possibilità di fornire suggerimenti, critiche, e di manifestare esigenze e scelte. La filiera corta rivendica la caratteristica di giustizia sociale perché modifica le relazioni tra produttori e consumatori, avvicinando questi soggetti e favorendo una comprensione mutualistica (Kirwan, 2006; Hinrichs, 2003; Tregear, 2011: 422). Inoltre, incoraggia delle relazioni più armoniose e consente una partecipazione più democratica degli attori della filiera. Nella filiera corta alcuni consumatori cercano anche un prezzo inferiore a quello del mercato convenzionale; in altri casi, invece, si può osservare una scarsa attenzione al prezzo dei prodotti commercializzati attraverso canali alternativi. Secondo Franco e Marino, il minor prezzo dipende anche dalla maggiore trasparenza nella formazione dei prezzi (2012: 3). I produttori agricoli che fanno capo a Coldiretti, e che aderiscono al Progetto Campagna Amica, hanno scelto, per esempio, di aderire ad un regolamento volontario che prevede il controllo dei prezzi praticati: meno 30% sui prezzi giornalieri rilevati dal sistema SMS consumatori ([link], [link]). Secondo un’indagine di Coldiretti, il risparmio legato all’acquisto a chilometro zero è intorno al 30% raggiungendo, in alcuni casi, anche il 50% (Bottazzi, 2012). La scelta della filiera corta offre ai produttori maggiori opportunità di decidere il prezzo (Innocenti, 2009), svincolandosi dalle oscillazioni del mercato ed aumentando la possibilità di una maggiore remunerazione rispetto ai commercianti all’ingrosso. Dal punto di vista della collettività, l'interesse per i prodotti locali oltrepassa le motivazioni dei consumatori e dei produttori. La filiera corta favorisce lo sviluppo economico di aree rurali marginali, riduce i rischi attribuibili al potere di mercato dei grossisti (Sini, 2010: 8; Park et al., 2011) e può creare nuove opportunità di lavoro per i soggetti che non appartengono al settore agricolo. La rivitalizzazione delle aree rurali è un esempio di un “nuovo” modello per lo sviluppo rurale e locale (Paradiso, 2010) e il consumo di prodotti locali può rappresentare una strada per preservare il territorio rurale consentendo l’insediamento di aziende in aree urbanizzate (Martinez et al., 2010: 42-45).

Prodotto locale

Il prodotto locale si caratterizza per il luogo di produzione e di consumo. Una caratteristica della vendita diretta è il legame con un luogo particolare che identifica e circoscrive la zona di coltivazione, di allevamento, di trasformazione, di distribuzione e di consumo limitato (Marsden et al., 2000; Tregear, 2011: 421-422); per estensione, la vendita diretta è anche lo scambio di prodotti che incarna i caratteri naturali e/o culturali (Ilbery e Maye, 2006), anche se il luogo in cui si vende o consuma il prodotto si trova ad una certa distanza dalla zona di produzione (Renting et al., 2003; Tregear, 2011: 421-422). Per molti, la nozione di sistemi alternativi di vendita è basata su prodotti legati a luoghi specifici in opposizione agli alimenti distribuiti dal sistema convenzionale, le cui origini sono considerate ambigue o molteplici (Tregear, 2011: 421-422). Inoltre, agli occhi del consumatore, il prodotto locale è anche sinonimo di piccola azienda agricola. I termini "prodotto locale" e "sistema di produzione locale" sono spesso usati in modo intercambiabile, in comparazione al sistema alimentare convenzionale, per indicare alimenti prodotti vicino al punto di consumo. In parte, il prodotto locale è un concetto geografico legato alla distanza tra produttore e consumatore ma non c'è consenso su una definizione in termini di distanza tra produzione e consumo. Non esiste un raggio di distanza standardizzato mediante il quale si può definire un mercato locale. In termini di distanza, infatti, le possibilità percepite da ogni consumatore possono variare grandemente. Per la realtà americana, per esempio, Martinez riferisce il caso del residente locale che cerca di rifornirsi solo di alimenti coltivati o prodotti entro un raggio di 160 km (2010, 3) e ricorda che, secondo il Farm Act del 2008, per alcuni programmi di sviluppo rurale, la distanza per considerare un alimento venduto localmente, o a livello regionale, è inferiore a 460 km dal luogo di origine, o entro lo Stato in cui è prodotto (2010, iii). Per la realtà italiana, ricordiamo che i punti vendita della Rete Nazionale di Campagna Amica, secondo il progetto di Coldiretti per la costruzione di filiere di prodotti agroalimentari esclusivamente italiani, possono vendere, citando l'origine geografica, alimenti prodotti anche da aziende localizzate in altre regioni (Campagna Amica, 2012). Una scuola di pensiero individua il “prodotto locale” negli alimenti prodotti, trasformati, venduti e consumati entro una circoscritta area geografica mentre una seconda scuola si focalizza sul termine "locale", guardando alla "località" come valore aggiunto per un mercato più ampio (Abatekassa e Peterson, 2011: 65; Renting et al., 2003). Il concetto di "prodotto locale" definisce una dimensione della qualità e identifica una regione geografica di produzione ma non indica necessariamente che questo prodotto debba essere consumato nella stessa area. Se dai prodotti freschi si passa a quelli conservabili, la filiera corta in termini di ciclo di vendita commerciale assume ulteriori significati. Un altro approccio per definire il prodotto locale si basa sulle dimensioni ambientali, sociali e culturali. In questo caso appare più importante il rapporto che si stabilisce entro una comunità e l'adozione di metodi di produzione e di vendita ambientalmente sostenibili. Il consumatore associa al “prodotto locale” anche la caratteristica dei metodi di coltivazione, di allevamento e di trasformazione ambientalmente sostenibili, un’adeguata remunerazione del lavoro, il rispetto delle norme di benessere animale e la storia da cui è stato originato, la personalità e l'etica del produttore, l'attrattività à dell'azienda agricola e del territorio rurale. Il termine terroir, difficilmente definibile con una sola parola in lingua italiana, che descrive il metodo di produzione dipendente dall’ambiente locale, sembra catturare l'essenza di questo aspetto.

Sistemi alternativi di vendita

Per filiere corte si intendono tutte quelle modalità di commercializzazione dei prodotti alimentari che si caratterizzano per la riduzione, o l’eliminazione, degli intermediari fra i produttori agricoli e i consumatori e per la dimensione locale delle transazioni commerciali. I prodotti che passano attraverso la filiera corta sono comunemente definiti dalla località o da un produttore specifico. Da un lato possiamo distinguere le forme di vendita in cui è presente un produttore individuale e, dall’altro, quelle in cui più produttori sono aggregati in consorzio e/o associazione (rete). Quando è presente un solo produttore possiamo distinguere due tipi di consumatori: quello coinvolto attivamente nel processo produttivo agricolo e quello non coinvolto. Il tipo di vendita più diffuso è quella in cui il cliente non è coinvolto con il processo produttivo ed in esso riconosciamo le seguenti forme (Figura 1):

  • consumatore che acquista i prodotti direttamente presso l'azienda;
  • vendita con strutture mobili (camioncino, roulotte, tenda) sulla strada confinante con l'azienda, o ambulante in aree urbane. Vendita che può essere permanente o limitata durante il periodo di raccolta dei prodotti, a partecipazioni a sagre, manifestazioni locali, feste private;
  • negozio fuori dall’area dell’azienda agricola;
  • distributori automatici in sede fissa, tra i quali, per esempio, quelli del latte crudo;
  • vendita diretta organizzata;
  • consumatore che acquista/consuma i prodotti presso le strutture di turismo rurale;
  • farmers markets, eventi periodici locali, almeno una volta al mese, all’aperto, riservati ai produttori della zona interessata;
  • consegna del prodotto a domicilio del consumatore, o dei gruppi (Ansaloni e Bellavia, 2001; Prober, 2012);
  • gruppi di acquisto solidale (GAS). organizzazioni di consumatori che acquistano i prodotti direttamente dal produttore, o da gruppi di produttori organizzati con piccole/medie piattaforme, beneficiando di una forte riduzione sul prezzo;
  • consumatore on-line.

Le forme di vendita in cui il cliente è coinvolto attivamente con il processo produttivo agricolo sono le seguenti:

  • reti di produttori e consumatori, che consistono nella collaborazione tra comunità rurali ed urbane e aziende agricole. Queste reti rafforzano la vitalità delle comunità rurali e stimolano i cambiamenti per favorire la creazione di un sistema di produzione locale;
  • consumatore che partecipa alla raccolta dei prodotti, tra i quali, in particolare, quelli che richiedono un’elevata quantità di lavoro per unità di superficie e una limitata abilità di raccolta (“coglietelo da solo”);
  • comunità che sostengono l'agricoltura, per collegare i produttori con i consumatori locali per favorire lo sviluppo di un'economia e della comunità locale (Innocenti, 2009; Martinez et al., 2010: 8-9).

Una variante di questa forma è la tei-kei, "il cibo che porta la faccia dell'agricoltore", rappresentato da un’associazione giapponese di ricercatori, produttori e consumatori per la vendita diretta di prodotti agricoli (Civiltà contadina 2012).

Figura 1 – Principali forme dei sistemi alternativi di vendita

Le principali forme di vendita basate sull’aggregazione di produttori (consorzio associazione, rete) consistono nella vendita associata dei prodotti attraverso un negozio (bottega) localizzato presso un mercato urbano (Coldiretti, 2012; Regione Toscana, 2006) e/o ai gruppi di acquisto solidali Gas (Unaprobio, 2011: 3). Infine, esistono altri produttori molto meno formali, tra i quali, per esempio, l’orto e la condivisione dei prodotti con i vicini di casa (Garden Writers Association, 2012; National Gardening Association, 2012), la raccolta e la caccia e, perfino, la spigolatura. Secondo i dati della Rete di informazione contabile agricola, in Italia le filiere corte rappresentano un aspetto che riguarda circa il 30% delle aziende italiane (Franco e Marino, 2012: 3). Inoltre, gli agricoltori che iniziano ad utilizzare un canale di vendita alternativo sono più inclini alla scelta anche di un altro canale di vendita innovativo (Corsi et al., 2009; Borri et al., 2009). Il canale di vendita corta si distingue perché prevede, dal produttore al consumatore, almeno un passaggio intermedio. Il produttore individuale vende al piccolo dettagliante di generi alimentari, ai negozi specializzati, alle cooperative di consumatori, alla ristorazione privata e a quella pubblica (scuole, ospedali, mense delle istituzioni pubbliche) e al segmento Ho.Re.Ca. (hotel, ristorazione nelle varie accezioni, catering, self-service, ecc.). In generale, da parte del produttore agricolo la filiera corta nasce dall'opportunità di aumentare il reddito. Quest'opportunità si dimostra utile soprattutto quando l’agricoltore non riesce ad ampliare la superficie coltivabile e i capitali aziendali, tra i quali, in particolare, la mandria, e dispone, relativamente al fabbisogno per soddisfare le necessità aziendali, di una abbondante quantità di lavoro. Nella filiera lunga, in larga parte dei casi il produttore agricolo vende prodotti per i quali non ha alcuna capacità di fissazione del prezzo. Con la vendita diretta i produttori trattengono il valore aggiunto dei prodotti venduti, incassano un margine commerciale per unità di prodotto venduto estremamente più alto rispetto alla vendita della materia prima all’industria agroalimentare, ottengono un flusso di cassa continuo ed immediato che, per la gestione ordinaria, permette all’azienda di evitare il ricorso al credito bancario e ricavano un flusso finanziario rapido e costante. Ovviamente, la quantità vendibile direttamente è nettamente inferiore a quella che può acquistare il trasformatore o il commerciante. In generale, le aziende che vendono direttamente sono caratterizzate dalla presenza di agricoltori propensi alle innovazioni e sono localizzate nelle vicinanze di un mercato, per esempio in zone periurbane o in prossimità di aree o strade molto frequentate. I tipi di aziende che possono beneficiare maggiormente dei sistemi di vendita alternativi sono quelli in cui è possibile trasformare le materie prime agricole in alimenti finali e familiari. In generale, le aziende familiari si caratterizzano, relativamente al fabbisogno richiesto dalle normali attività agricole aziendali, per un eccesso di lavoro, per la scarsa disponibilità di denaro per l'acquisto di terra e/o bestiame e non presentano un indirizzo produttivo specializzato. La trasformazione aziendale e la vendita diretta valorizzano l'eccesso di lavoro che, altrimenti, non troverebbe un impiego altrettanto remunerativo. In generale, l’azienda che decide di trasformare e di vendere direttamente si assume elevati rischi tecnici e di mercato. Il risultato economico, infatti, dipende dal livello di competenza tecnica dell'attività di trasformazione e dall’abilità commerciale: il primo aspetto necessita di elevate specifiche competenze professionali ed un ammontare di lavoro proporzionato al livello di trasformazione, un conto è vendere frutta ed un altro è vendere latte, carne fresca, insaccati e formaggi. I rischi connessi alla vendita, a causa della mancata soddisfazione della qualità richiesta dai consumatori, dall'incapacità di organizzare i trasporti e della concorrenza con il circuito convenzionale, consistono soprattutto nell'eventuale scarsa quantità di prodotti venduti. E' importante chiarire che la trasformazione aziendale e la vendita diretta non sono assolutamente semplici integrazioni dell’attività agricola ma sono una nuova attività d’impresa autonoma e indipendente che si aggiunge, e non semplicemente si integra, a quella agricola (Ansaloni 2009). Infine, soprattutto per le piccole aziende, anche l'eventuale scarsa quantità e variabilità di offerta dei prodotti nel tempo può rappresentare un problema. Per le aziende di maggiori dimensioni produttive, caratterizzate da un indirizzo produttivo specializzato e che impiegano manodopera salariata, la vendita diretta rappresenta una nuova attività di impresa che comporta, soprattutto a causa dell'impiego di lavoro salariato, elevati costi di produzione. Queste aziende trovano più conveniente continuare, attraverso la specializzazione produttiva, a ridurre il costo di produzione del loro prodotto principale e/o entrare in rete con altri produttori agricoli per gestire insieme una “bottega”, o una rete di vendita, attraverso la quale vendere il loro prodotto principale.

Conclusioni

In prospettiva, nel nostro paese, grazie ai benefici a favore dei produttori agricoli e dei consumatori, la filiera corta probabilmente tenderà a consolidarsi. Questa scelta imprenditoriale, però, per le qualità professionali e l'abilità di vendita richieste al produttore agricolo, non può essere indiscriminatamente suggerita a qualsiasi azienda. Alle aziende che non sono in grado di investire in attività di trasformazione, di assicurare un flusso sufficiente e costante di prodotti e che mancano di capacità commerciali potrebbe essere suggerita, invece, l’opportunità di aderire ad una associazione di agricoltori per delegare la preparazione dei prodotti ad un laboratorio extra aziendale locale. Il laboratorio ha le competenze per evitare i rischi tecnici di produzione e i prodotti trasformati potrebbero tornare presso le aziende per la vendita diretta, oppure essere venduti attraverso una bottega comune. Ovviamente, questa proposta richiede che i produttori adottino un comportamento collaborativo (Prober, 2012; Ansaloni et al., 2008) Tra le criticità dei mercati contadini qualche volta si nota che tra i banchi di vendita localizzati nella stessa piazza alcuni prezzi tendono a livellarsi a quelli praticati dai dettaglianti locali del circuito convenzionale e non sempre esiste una garanzia della provenienza della merce. Se questa differenza di prezzo si annullerà, ai consumatori resterà solo il vantaggio della qualità dei prodotti, e a questo punto anche i centri commerciali del circuito convenzionale potrebbero approffittarne per riservare maggiore attenzione al segmento dei consumatori interessati ai prodotti locali.

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