Differenze di reddito tra famiglie agricole e non agricole in Italia: una verifica empirica

Differenze di reddito tra famiglie agricole e non agricole in Italia: una verifica empirica
a Università di Firenze, Dipartimento di Scienze per l'economia e l'Impresa
b Università di Firenze, Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, del Suolo e dell'Ambiente Agroforestale
c Università di Firenze, Dipartimento di Scienze per l’economia e l’Impresa

Introduzione

Il sostegno e la stabilizzazione del reddito delle famiglie agricole ha sempre costituito una delle principali motivazioni delle politiche settoriali. L’articolo 39 del trattato di Roma include tra gli obiettivi della Politica Agricola Comune (Pac) il raggiungimento di un adeguato tenore di vita per gli agricoltori; ancora oggi il principale strumento di sostegno al settore viene erogato sotto forma di integrazione disaccoppiata al reddito agricolo (Pagamento Unico Aziendale).
L’imminente riforma della Pac, in un contesto di permanente crisi macroeconomica e finanziaria e di crescenti vincoli alle risorse che possono essere destinate a politiche fiscali attive, ha riportato al centro dell’attenzione la giustificazione politica del sostegno erogato. Se da un lato il sostegno del reddito agricolo non è più percepito dai cittadini europei come la motivazione fondamentale della Pac (European Commission, 2008), dall’altro è tornato con insistenza ad affacciarsi nel dibattito il problema del targeting dei pagamenti diretti. L’ultima indagine pubblicata da Eurostat (2002) sul reddito totale delle famiglie agricole mostrava come ormai in Europa esse potessero contare su un livello di reddito medio comparabile a quello del totale della popolazione, sia pure con qualche differenza tra i diversi paesi. E’ noto da tempo, inoltre, come le forme di sostegno erogate nell’ambito della Pac sono fortemente sbilanciate a favore delle aziende di grandi dimensioni. Lo sbilanciamento attuale della distribuzione del Pagamento Unico è del resto frutto della “cristallizzazione” (favorita dal criterio “storico” nella determinazione dei pagamenti individuali) di politiche accoppiate e distorsive, che hanno favorito per lungo tempo le aziende la cui maggiore dotazione di fattori consentiva una più facile adozione di strategie di rent-seeking. Il risultato inevitabile è una distribuzione degli aiuti che favorisce famiglie agricole collocate nella fascia alta della distribuzione del reddito, con effetti “regressivi” dal punto di vista dell’impatto sulla diseguaglianza (Rocchi, 2009; Rocchi et al. 2011).
Uno dei problemi che è necessario affrontare quando si intende verificare empiricamente la posizione relativa delle famiglie che vivono di agricoltura rispetto alle altre, è la disponibilità di informazioni statistiche affidabili. Le indagini sul settore agricolo, come la Rica o l’indagine sui Risultati Economici delle Aziende Agrarie (Rea) condotta dall’Istat, permettono una stima accurata dei redditi agricoli ma sono povere di informazioni sulla composizione complessiva del reddito delle famiglie degli agricoltori; inoltre, essendo indagini orientate a rilevare il settore produttivo, non consentono il confronto con famiglie occupate in altri settori di attività economica (United Nations, 2012). Nelle indagini rappresentative della totalità delle famiglie di un determinato paese, viceversa, le famiglie agricole sono tendenzialmente sottorappresentate, dal momento che nei paesi sviluppati l’agricoltura rappresenta ormai solo una piccola sezione del sistema economico. (United Nations, 2012; Rocchi et al., 2012).
L’obiettivo di questo lavoro, che riprende i risultati di due analisi presentate recentemente (Rocchi et al., 2012; Stefani et al., 2012) è duplice. Confrontando diverse fonti di informazione statistica sul reddito delle famiglie agricole, è stata innanzitutto verificata la possibilità di utilizzare indagini generali sulle famiglie per studiare la posizione relativa di quelle agricole nella distribuzione del reddito in Italia.
In secondo luogo è stata sottoposta a controllo empirico l’ipotesi della persistenza di un “problema del reddito agricolo” (Gardner, 1992) in Italia. In un’economia avanzata come quella italiana e dopo decenni di politiche volte alla modernizzazione del settore è infatti ragionevole ipotizzare una sostanziale convergenza tra famiglie agricole e non nei livelli di reddito. Il processo di espulsione di manodopera dall’agricoltura verso altri settori, con relativo incremento della produttività del lavoro agricolo, può ormai considerarsi esaurito. Inoltre il progresso tecnico in agricoltura tende a manifestarsi sempre meno nell’introduzione di innovazioni incorporate in capitali tecnici (come le macchine) e sempre più in innovazioni di natura organizzativa e di prodotto (diversificazione aziendale, multifunzionalità, qualificazione delle produzioni). Se questi elementi hanno ridotto le specificità dell’agricoltura come attività produttiva (e quindi come fonte di redditi da lavoro autonomo), la profonda trasformazione dei territori rurali che ha accompagnato lo sviluppo dell’economia italiana ha senz’altro favorito una sostanziale convergenza della “base sociale” del settore (le famiglie agricole, appunto) con le caratteristiche del resto della società italiana.

Le fonti di informazione sul reddito delle famiglie agricole

Come già accennato nel paragrafo precedente, una corretta valutazione della posizione relativa delle famiglie agricole nella distribuzione del reddito richiede l’utilizzazione di fonti di informazione che siano rappresentative di tutte le famiglie di una data economia e non solo di quelle che, come attività principale o come fonte accessoria di reddito, conducono un’azienda agraria. L’esistenza di un “problema del reddito agricolo”, che fin dai suoi inizi ha costituito una giustificazione economica chiave della Pac può, in altre parole, essere sottoposta a verifica empirica confrontando i redditi di famiglie che, secondo un qualche criterio (vedi più avanti), possono essere definite “agricole” con quelli del resto delle famiglie. Da questo punto di vista le indagini finalizzate alla rilevazione dell’agricoltura intesa come settore produttivo risultano inadeguate: anche quando rilevano informazioni sulle fonti di reddito extra-aziendali delle famiglie che gestiscono le aziende rilevate, come nel caso della Rica o dell’indagine Rea, non forniscono informazioni su tutte le famiglie che non guadagnano alcun reddito da attività agricole. Gli aspetti distributivi (livello di reddito, diseguaglianza, povertà relativa) possono essere analizzati solo all’interno del settore delle famiglie agricole.
Diverso il caso di indagini finalizzate alla rilevazione di un campione rappresentativo di tutte le famiglie. In questo studio ne sono state considerate due: l’Indagine sui Bilanci delle Famiglie (BF), che rileva l’entità e la composizione della spesa; e l’indagine sui Redditi e le Condizioni di Vita (Silc), che rileva l’entità e la composizione del reddito oltre ad una serie di indicatori relativi al benessere delle famiglie. Entrambe le indagini, condotte annualmente dall’Istat, si riferiscono a standard statistici europei e includono variabili che permettono una classificazione delle famiglie incluse nel campione in base al settore di attività da cui provengono i redditi famigliari. E’ così possibile distinguere le famiglie agricole dalle altre. Dal momento che il settore agricolo costituisce ormai una componente minoritaria dell’economia italiana, il sottocampione di famiglie agricole che si può ricavare da queste indagini è ristretto e, di conseguenza, incapace di rappresentare accuratamente le differenziazioni interne al gruppo (come invece sarebbe possibile utilizzando l’indagine Rea o la Rica). Tuttavia l’obiettivo di questa analisi è la valutazione della posizione relativa del complesso delle famiglie agricole rispetto a tutte le altre. Le differenze che si possono osservare tra la spesa o i redditi delle famiglie agricole e non agricole può essere sottoposto a test statistico per valutarne l’affidabilità. Lo stesso confronto dei risultati (ad esempio valori medi per gruppi diversi di famiglie) che possono essere ottenuti da fonti di informazioni diverse, inoltre, può offrire una sorta di “validazione incrociata” delle fonti stesse in caso di sostanziale omogeneità.
Nella tabella 1 vengono presentati alcuni dati relativi ai campioni BF e Silc per gli anni che vanno dal 2005 al 2007. Le famiglie sono state classificate utilizzando il cosiddetto “criterio della persona di riferimento”. Tra le famiglie occupate sono state assegnate al gruppo delle “agricole” quelle nelle quali la persona di riferimento fosse lavoratore autonomo nel settore agricolo (United Nations et al., 2012). Il gruppo delle “Altre” include invece famiglie in cui la persona di riferimento non è occupata (disoccupati, pensionati etc.). Nonostante alcune differenze è evidente come i due campioni si riferiscano alla stessa popolazione. Non solo: anche la composizione settoriale delle famiglie è sostanzialmente analoga, nonostante non si trattasse di una caratteristica utilizzata nella stratificazione dei campioni ai fini della loro estrazione. I dati relativi al numero medio di membri delle famiglie, ponderato secondo un’opportuna scala di equivalenza1, mostra un valore medio leggermente più alto per le famiglie agricole in entrambe le indagini e in tutti gli anni considerati.

Tabella 1 - Composizione del campione e popolazione di riferimento nelle indagini sulle famiglie


Fonte: elaborazioni su dati Istat indagini BF e Silc

Il numero di famiglie agricole nella popolazione (tra le 250 e le 300.000) mostra chiaramente che il criterio della persona di riferimento non permette di individuare tutte le famiglie che percepiscono redditi derivanti dalla conduzione di aziende agrarie: basti pensare che secondo il campione Rea del 2007 le aziende agricole italiane gestite da famiglie erano oltre 1,5 milioni. Le informazioni raccolte con l’indagine Silc permetterebbero in realtà di assegnare le famiglie ai diversi settori produttivi in modo più preciso, considerando l’effettiva composizione del reddito2. In base a questa seconda modalità di classificazione criterio nel 2007 sarebbero rappresentate oltre 390.000 famiglie agricole. Un confronto con i dati del campione Rea per lo stesso anno mostra come, con ogni probabilità, all’interno del campione Silc e BF sia possibile individuare soprattutto famiglie agricole in senso “stretto”, cioè quelle per le quali la conduzione della azienda agraria costituisce la fonte principale di reddito (reddito agricolo > 50% totale redditi famigliari). La numerosità è anche compatibile con il numero di conduttori che lavorano in azienda più di 100 giorni all’anno rilevato dall’ultimo censimento, circa 420.000 unità. Si tratta delle famiglie che percepiscono la maggior parte dei redditi da lavoro autonomo prodotti dall’agricoltura italiana (Rocchi et al. 2011). Le due indagini sono di conseguenza potenzialmente interessanti per la verifica del problema del reddito agricolo in Italia.

Il reddito totale delle famiglie agricole è più basso?

Nella tabella 2 vengono posti a confronto i redditi medi procapite dei diversi gruppi di famiglie negli anni che vanno dal 2005 al 2007, così come risultano dalle indagini BF e Silc. Nel caso dell’indagine BF si tratta in realtà di una stima della spesa corrente3 delle famiglie, un indicatore di reddito molto usato negli studi su distribuzione e povertà. Nel caso dell’indagine Silc, viceversa, i dati rappresentano una stima diretta del reddito disponibile famigliare. La differente definizione è riflessa dai valori che, come atteso, sono leggermente più alti nel caso dei redditi.

Tabella 2 - Indicatori di reddito delle famiglie italiane

Fonte: elaborazioni su dati Istat indagini BF e Silc

Il valore del reddito mediano inferiore a quello medio indica che la distribuzione del reddito in tutti i gruppi di famiglie non è perfettamente egualitaria: le famiglie con un reddito inferiore alla media sono più del 50%. La diseguaglianza nella distribuzione del reddito è confermata dai valori dell’indice di Gini all’interno dei gruppi e per il totale della popolazione, con valori che oscillano intorno a 0,3 per entrambi gli indicatori.
Quali sono le principali differenze che emergono tra famiglie agricole e non agricole? Le due fonti di informazione sono innanzitutto coerenti nel mostrare come le famiglie agricole percepiscano un reddito mediamente inferiore rispetto alle famiglie nelle quali il capo famiglia è occupato in altri settori di attività. Viceversa il confronto con le famiglie “non occupate” non mostra una chiara differenziazione: mentre la spesa tende ad essere leggermente più alta nelle famiglie agricole nel caso del reddito disponibile le “Altre Famiglie” mostrano valori medi leggermente più elevati. Una seconda indicazione sembra emergere anche rispetto alla diseguaglianza che, nel gruppo delle agricole sembrerebbe sistematicamente più elevata rispetto a quella degli altri gruppi, sia quando si consideri la spesa sia quando si consideri il reddito e in tutti i tre anni dell’indagine.
Nella tabella 3 vengono proposti alcuni indicatori del livello di povertà relativa che è possibile stimare in base ai due campioni4. La linea della povertà è riferita al totale della popolazione ed è fissata convenzionalmente ad un livello pari alla metà del reddito mediano. I primi due indicatori corrispondono rispettivamente alla percentuale di famiglie al disotto della linea di povertà (P(0) - headcount ratio) e alla differenza percentuale del reddito medio delle famiglie povere rispetto alla linea della povertà (P(1) - poverty gap). Il terzo corrispondente alla sigla P(2), è un indicatore che tiene conto della diseguaglianza all’interno delle famiglie povere, e fornisce un’indicazione dell’importanza delle forme di povertà più severa.

Tabella 3 - Indicatori di povertà delle famiglie italiane

Fonte: elaborazioni su dati Istat indagini BF e Silc

Entrambe le indagini mostrano indicatori di povertà per il gruppo delle famiglie agricole superiori alla media e, soprattutto, a quelle del gruppo delle famiglie occupate in altri settori. Rispetto alle famiglie non occupate il gruppo delle agricole sembra collocato leggermente meglio se si considerano i consumi procapite e peggio quando si considera il reddito disponibile; in particolare in questo secondo caso sembra emergere una maggiore “severità” della povertà agricola rispetto alla media nazionale.
I risultati appena presentati sembrerebbero dunque confermare l’esistenza di una specifico svantaggio di reddito delle famiglie agricole in Italia. Tuttavia questo risultato deve essere sottoposto ad una serie di verifiche. Un primo problema riguarda la natura delle fonti di informazione utilizzate. Le tabelle 2 e 3 riportano il frutto di stime basate su campioni che, nel caso del gruppo “ agricolo”, sono particolarmente piccoli. Le differenze tra i valori medi, di conseguenza, potrebbero dipendere da fattori casuali e non riflettere la vera posizione relativa dei diversi gruppi di famiglie nella popolazione. Allo scopo di controllare se le conclusioni che si possono trarre dalla tabella sono “robuste” da un punto di vista statistico è stata perciò effettuata un’analisi affidabilità delle stime5. Le stime relative al gruppo delle famiglie agricole, basate su un campione molto piccolo, mostrano come atteso una varianza decisamente superiore. Tuttavia, anche tenendo conto di questo possibile “errore statistico”, l’esistenza di una differenza dei valori medi rispetto alle altre famiglie occupate risulta confermata sia considerando l’indagine BF che considerando l’indagine Silc.
Esiste inoltre un problema di interpretazione di tali differenze. La classificazione in gruppi delle famiglie utilizzata in questa analisi è stata effettuata in base all’ipotesi che il settore di attività del capo famiglia sia un fattore determinante per spiegare il livelli di reddito della famiglia: il sostegno ai redditi agricoli è stato del resto sempre giustificato dall’ipotesi che lavorare nel settore agricolo costituisca uno svantaggio dal punto di vista del reddito rispetto ad occupazioni in altri settori. Tuttavia esistono anche altre caratteristiche delle famiglie che potrebbero giustificare le differenze di reddito e che spesso vengono prese in considerazione negli studi su diseguaglianza e povertà: ad esempio la numerosità e la composizione per età dei membri della famiglia, il livello di istruzione, la presenza di più membri adulti occupati, la localizzazione geografica. Il problema è dunque quello di verificare se il criterio di individuazione delle famiglie agricole utilizzato non abbia involontariamente “selezionato” un gruppo di famiglie che sono particolarmente svantaggiate anche a causa di queste caratteristiche.
Per controllare questo secondo aspetto la differenza dei valori medi della spesa procapite è stata “scomposta” in diverse componenti che sono attribuibili a diverse caratteristiche delle famiglie osservate (Stefani et al., 2012).
Il livello di spesa procapite delle famiglie agricole è risultato significativamente dipendente dalla collocazione geografica (con le famiglie agricole delle regioni meridionali svantaggiate rispetto a quelle delle regioni del centro-nord), dalla quota di componenti sotto i 18 anni (le famiglie con un maggior numero di minorenni mostrano una spesa mediamente più bassa) e dal numero di adulti occupati (che invece ha un effetto positivo sulla spesa procapite). Questi fattori influenzano tuttavia anche il livello di spesa procapite delle famiglie non agricole. Se si “depurano” le differenze tra i valori medi dei gruppi della parte che è possibile spiegare in base alle caratteristiche delle famiglie, è possibile calcolare un “residuo” la cui esistenza dipende dal solo criterio di stratificazione utilizzato e cioè l’occupazione del capo famiglia come lavoratore autonomo nel settore agricolo.
Con riferimento all’anno 2007 l’analisi ha messo in evidenza come circa due terzi dello “svantaggio” di reddito delle famiglie agricole che si può osservare nella tabella 2, possa essere attribuito alle caratteristiche famigliari: le famiglie agricole sono infatti mediamente più numerose, con più componenti minorenni e maggiormente concentrate nelle regioni meridionali. Solo un terzo delle differenze di spesa media procapite sembrerebbe dipendere dal semplice fatto che la persona di riferimento è un agricoltore.

Conclusioni

In questo articolo due fonti statistiche non specificamente dedicate alla rilevazione dell’agricoltura sono state utilizzate per analizzare la posizione relativa delle famiglie agricole nella distribuzione del reddito in Italia.
I risultati mostrano innanzitutto come, sia pure con una serie di limitazioni e cautele, sia effettivamente possibile utilizzare indagini rappresentative del totale della popolazione per questo tipo di analisi, nonostante al loro interno le famiglie agricole, che costituiscono una piccola quota del totale, siano spesso sottorappresentate. Il confronto tra fonti statistiche diverse mostra anche una certa omogeneità dei risultati, che costituisce una sorta di “validazione incrociata”.
Le stime mostrano come le famiglie agricole presentino un livello di spesa o di reddito procapite mediamente inferiore a quello delle famiglie nelle quali la persona di riferimento è occupata in altri settori di attività. Questa differenza può essere considerata significativa da un punto di vista statistico. Il problema del “reddito”, anche se ridotto rispetto all’epoca in cui fu avviata la Pac, sembra dunque sussistere nell’agricoltura italiana, in particolare con la presenza di alcune aree di povertà tra le famiglie agricole.
Secondo questi primi risultati le differenze nei valori medi di reddito, tuttavia, sono per la maggior parte spiegabili con le caratteristiche famigliari piuttosto che con il settore di attività del capo famiglia. Si deve inoltre tenere conto del fatto che in questa analisi il gruppo di confronto era costituito da tutte le famiglie con persona di riferimento “occupata”: i primi risultati di un confronto con le sole famiglie di lavoratori autonomi (operanti negli altri settori) sembrano indicare un’ulteriore riduzione del “residuo” collegabile al settore di attività.
Se questo aspetto venisse confermato dall’analisi di altre fonti di informazione, porrebbe un interessante interrogativo ai fini della formulazione delle politiche: non necessariamente, infatti, politiche settoriali come la Pac costituiscono lo strumento migliore o esclusivo per ridurre differenze di reddito che sono in buona parte spiegabili in base a caratteristiche socio-economiche generali e non riconducibili al settore di attività. Politiche sociali (come quelle relative ai vari aspetti del welfare) o finalizzate alla convergenza regionale in termini di sviluppo economico potrebbero essere altrettanto (se non maggiormente) efficaci e sicuramente il sostegno del reddito realizzato nell’ambito di politiche settoriali dovrebbe armonizzarsi con esse.

Riferimenti bibliografici

  • Efron B., Tibshirani R. (1994), An Introduction to Bootstrap, Chapman, New York

  • European Commission (2008), Europeans, Agriculture and the Common Agricultural Policy. Special Eurobarometer 294 / Wave 68.2 – Tns Opinion & Social

  • Eurostat (2002), Income of the Agricultural Households Sector – 2001 Report. Lussemburgo

  • Foster J., Greer J. and Thorbecke E. (1984), A class of decomposable poverty measures. Econometrica. 81(2): 761–766

  • Gardner B. (1992), Changing economic perspectives on the farm problem, Journal of Economic Literature 30: 62-101

  • Istat (2000), Le nuove stime dei consumi finali delle famiglie secondo il sistema europeo dei conti SEC95. Collana Metodi e norme, 7, Roma

  • Rocchi B. (2009), Gli effetti distributivi della Politica Agricola Comunitaria in Italia. Agriregionieuropa, 5(16): 37-41. www.agriregionieuropa.it

  • Rocchi B., Sacco G., Pizzoli E. (2011), Nuove informazioni sulla distribuzione del reddito nell’agricoltura italiana. Agriregionieuropa, 7(26): 1-5. www.agriregionieuropa.it

  • Rocchi B., Stefani G., Romano D., Landi C. (2012), Are Italian farming households actually poorer than other non agricultural households? An empirical analysis. Comunicazione presentata alla prima Conferenza dell’Associazione Italiana di Economia Agraria ed Applicata, Trento 4-5- giugno 2012, [link]

  • Stefani G., Rocchi B., Romano D. (2012), Does agriculture matter? Revisiting the farm income problem in Italy. Working Paper Series n. 18/2012, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Firenze. [pdf]

  • United Nations (2012), Statistics on rural development and agricultural household income. The Wye Handbook Second Edition. New York: United Nations. [pdf]

  • 1. Il numero di componenti delle famiglie ai fini dell’analisi della distribuzione del reddito e della povertà viene di solito ponderato utilizzando apposite scale di equivalenza. In questo caso il numero equivalente di componenti è stato fatto pari alla radice quadrata del numero effettivo, secondo la metodologia proposta dal progetto Luxembourg Income Study: informazioni al sito www.lisdatacenter.org.
  • 2. L’indagine Silc rileva infatti tutti i redditi percepiti dai singoli componenti delle famiglie, distinguendo redditi da lavoro, da capitale e da trasferimenti.
  • 3. La spesa rilevata dall’indagine è stata opportunamente corretta per renderla un più appropriato indicatore del livello di reddito: in particolare sono state esclusi gli acquisti dei beni durevoli mentre sono state incluse alcune spese non ricorrenti (come ad esempio per l’acquisto di “pacchetti vacanze” o l’organizzazione di feste) correlate al livello di benessere. Dettagli ulteriori sono disponibili in (Rocchi et al., 2012).
  • 4. I tre indici appartengono alla famiglia di indicatori di povertà proposta da Foster, Green e Thorbecke (1984).
  • 5. La varianza delle stime è stata analizzata con tecniche bootstrap (Efron e Tibshirani, 1994): dettagli sulla verifica possono essere trovati in (Rocchi et al., 2012).
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