Introduzione
Dall’ultimo ventennio del secolo scorso, il settore agro-alimentare è stato investito da un radicale processo di ristrutturazione e cambiamento i cui segni più evidenti sono il progressivo ampliamento e la diversificazione dell’offerta di prodotti, l’affacciarsi di nuove tecnologie e più in generale l’aumento della distanza tra fase produttiva e consumatori finali. Questi cambiamenti fanno parte di un processo di evoluzione più ampio che caratterizza le moderne società occidentali e che ha consentito, soprattutto in ambito sociologico, di ipotizzare la frattura che separa il moderno dal cosiddetto post-moderno (Baumann 1999; Beck 2000). Anche la ricerca in campo economico agrario si è occupata dei cambiamenti cui si è fatto cenno, inquadrandoli in chiave sistematica con il modello from lab/brand to fork in cui imprese di grandi dimensioni industriali e della Gdo controllano e indirizzano le innovazioni tecniche e le leve del marketing svolgendo un ruolo egemone sui grandi mercati globalizzati (Sotte 2009).
Uno degli aspetti collegati alla figura del consumatore post-moderno, è rappresentato dall’affrancamento dal bisogno. Dal punto di vista economico questo aspetto ha conseguenze rilevanti perché presuppone una minore stringenza del vincolo di bilancio, e dunque dei prezzi e del reddito, nell’indirizzare il processo che conduce alla scelta ottima. L’affrancamento dal bisogno ha come primo effetto quello di modificare il ruolo del consumatore da ruolo passivo, in cui le scelte sono dominate dall’impellenza della necessità, a ruolo fortemente attivo, in cui il consumo diventa anche mezzo espressivo.
Questo nuovo approccio allo studio del comportamento del consumatore richiede anche un diverso schema interpretativo che si affianchi a quello tradizionale: i processi di consumo, infatti, oltre ad essere determinati dalla domanda ed offerta di beni, sono influenzati dall’azione esercitata da domande di significato, operate dai consumatori, e offerte di significato, proposte dal sistema di impresa (Fabris 2003).
A seguito della nuova posizione baricentrica assunta dal consumo, anche il mondo della ricerca si è dedicato con crescente interesse al suo studio. A tale proposito va osservato che negli ultimi anni le indagini sul comportamento del consumatore sono notevolmente aumentate e questo fenomeno ha interessato sia le discipline economiche, che quelle che fanno riferimento alla ricerca psicologica, sociale e politica. Anzi, il rinnovato interesse per il ruolo svolto dal consumatore e la ricerca di nuove chiavi interpretative hanno trovato origine proprio in tali ambiti scientifici.
Il seguente lavoro si propone di presentare e discutere i contributi offerti dalla psicologia cognitivista allo studio della consumer attitude, con particolare riferimento all’utilizzo delle scale psicometriche. Successivamente saranno analizzati i risultati di una ricerca empirica svolta su di un campione di 350 consumatori campani1.
L’indagine applica al particolare contesto territoriale della regione Campania, una delle più recenti scale psicometriche, proposta da Cox ed Evans (Cox ed Evans, 2008) per lo studio degli atteggiamenti tecnofobici in campo alimentare.
Il contributo della psicologia cognitivista e le scale psicometriche
Una delle aree scientifiche più interessate allo studio della cosiddetta consumer attitude è la psicologia cognitivista. In tale ambito di ricerca sono state proposte, trovando ampi campi di applicazione, le scale psicometriche. La psicometria si è progressivamente sviluppata a partire dalla metà degli anni ‘40. In linea di principio, il campo di studio prevalente è volto all’analisi delle differenze fra gli individui, attraverso la costruzione di strumenti e procedure per la loro misura.
L’utilizzo della tecnica psicometrica prevede la formulazione di complesse batterie di affermazioni, solitamente originate grazie al ricorso alla tecnica del focus group e delle in-depth interviews. Tali batterie di affermazioni sono sottoposte al campione di intervistati chiamato ad esprimere il grado di accordo-disaccordo utilizzando scale di Likert ancorate a due estremi. La complessa mole di dati risultanti dall’indagine psicometrica genera grosse matrici di correlazione e covarianza analizzate per mezzo dell'analisi fattoriale, scaling multidimensionale, analisi dei cluster, modelli ad equazioni strutturali e path analysis (Slovic 1992; Weber et al. 2002; Siegrist et al. 2006).
Fra le applicazioni psicometriche che hanno riguardato il tema dei consumi alimentari, due in particolare appaiono oggi di grande attualità: la prima è rappresentata dalla percezione del rischio e dal modo in cui essa influenza i mercati in caso di allarme; la seconda riguarda l’accettabilità delle tecnologie in campo alimentare.
Nel primo caso, la pietra miliare è rappresentata dagli studi condotti da Slovic a partire dalla fine degli anni ’70 (Fischhoff et al. 1978). L’obiettivo dei suoi studi è stato quello di sviluppare una tassonomia degli eventi avversi che potesse essere utilizzata per comprendere e prevedere le diverse risposte al rischio attraverso rappresentazioni quantitative dell’attitudine al rischio e della sua percezione (Slovic 1992). I suoi studi, e gli altri che si sono susseguiti, hanno dimostrato che la percezione del rischio va analizzata in un’ottica multidimensionale e che alla sua formazione concorrono molti attributi rispetto ai quali è possibile analizzare ciascuna delle azioni rischiose. Fra gli attributi utilizzati per la misurazione del rischio percepito i più rilevanti sono il grado di controllabilità del rischio, l’involontarietà dell’esposizione, l’immediatezza del danno, il livello di familiarità e le conseguenze sulle generazioni future (Fife-Schaw, Rowe 1996; Siegrist 2006; Kirka et al. 2002).
E’ stato osservato che diversi attributi qualitativi del rischio sono correlati tra di loro.
Ad esempio, le azioni rischiose indicate come volontarie sono anche interpretate come controllabili e ben conosciute, mentre quelle che appaiono potenzialmente pericolose per le generazioni future sono interpretate come caratterizzate da un forte potenziale catastrofico (Slovic1992).
Lo studio di queste interrelazioni per mezzo dell’analisi fattoriale ha evidenziato come le caratteristiche del rischio prima citate possano essere condensate in un set di fattori che ha mostrato un’elevata capacità esplicativa in molte analisi empiriche. In particolare i due fattori fondamentali sono rappresentati dall’effetto panico (dread risk) e dall’effetto conoscenza (unknown risk).
Distribuendo i diversi rischi rispetto alle due componenti è possibile costruire grafici noti come mappe cognitive del rischio. La percezione del rischio e la localizzazione delle azioni rischiose all’interno dello spazio dei fattori aiutano a spiegare un processo noto come amplificazione sociale del rischio, che si verifica in concomitanza di eventi avversi che ricadono nel primo quadrante dello spazio dei fattori, caratterizzato da punteggi elevati di entrambe le componenti (Kasperson et al, 2003). A prescindere dalla reale gravità dell’evento, in taluni casi il processo di amplificazione si estende ben oltre i confini del danno diretto alle vittime e può manifestarsi in massicci impatti indiretti che possono coinvolgere anche l’intero sistema economico e non solo il responsabile e le vittime dirette.
Per contro, l’area del terzo quadrante è nota come area della mitigazione sociale del rischio e raggruppa i pericoli per i quali si assiste solitamente ad una sistematica sottostima del rischio e quindi anche ad una minore pressione dell’opinione pubblica al fine di ridurre i pericoli (Kasperson et al, 2003). Nelle applicazioni empiriche svolte con riferimento ai pericoli in campo alimentare, nell’area di amplificazione sociale del rischio ricadono sistematicamente le moderne tecnologie adottate in campo alimentare (OGM e irradiazione) ed i rischi collegati ad alcuni allarmi che hanno profondamente segnato la società europea (BSE). Nell’area della mitigazione sociale del rischio si ritrovano, invece, tutti i rischi collegati dall’adozione di stili alimentari non corretti (eccesso di sale, zuccheri e grassi nell’alimentazione, abuso di alcool, ecc) che, pur configurandosi come le principali minacce alla salute, sono percepiti come non pericolosi (Fife-Schaw e Rowe 1996, Siegrist et al 2006).
Il tema della percezione del rischio è ulteriormente approfondito nel secondo filone di ricerca cui si è fatto cenno e che riguarda il rapporto tra alimentazione e uso di tecnologie moderne. In questo caso il punto di partenza della discussione è rappresentato dal contributo offerto dall’antropologia culturale. E’ stato, infatti, osservato che il complesso rapporto con il cibo è caratterizzato da un paradosso comportamentale, connotato dalla simultanea domanda di novità (neofilia) e da una grande cautela di fronte al nuovo (neofobia) (Fischler 1990; Fischler 2007). Nelle moderne società evolute, caratterizzate da una sempre maggiore complessità dei sistemi tecnologici, il conflitto tra neofobia e neofilia tende ad esasperarsi. L’analisi dei principali trend di mercato conferma questa dicotomia, evidenziando contemporaneamente una crescente domanda di naturalità, tipicità ed attenzione alla tutela dell’ambiente ed una forte attenzione per il convenience ed il moderno settore degli alimenti funzionali (Esposti 2005).
Un’analisi empirica per la validazione della Food Technology Neophobia Scale
La psicometria si è più volte dedicata allo studio sia dei legami fiducia-scienza-tecnologia sia degli atteggiamenti tecnofobici in campo alimentare ( Cox e Evans 2008, Coppola, Verneau 2009; Eiser et al. 2002, Pliner e Habden 1992, Bak 2001, Fife-Schaw e Rowe 1996).
L’applicazione più recente delle scale psicometriche è rappresentata dalla Food Technology Neophobia Scale (FTNS) che, proposta da Cox ed Evans è basata su un set di 13 affermazioni centrate sul rapporto tra alimentazione e tecnologia, per le quali viene chiesto il grado di accordo-disaccordo misurato su una scala di Likert (Tabella 1) (Cox e Evans 2008).
Tabella 1 - Set di affermazioni utilizzate nella scala psicometrica di Cox e Evans
Cox e Evans, partendo da queste affermazioni, hanno individuato 4 fattori che sintetizzano le complesse relazioni emotive, ideologiche e comportamentali che possono spiegare l’avversione o il favore verso l’adozione di moderne tecnologie in campo alimentare (Cox, Evans 2008; Evans et al. 2010).
Questi quattro fattori riguardano i legami che esistono tra percezione del rischio, sensazione di incertezza e tecnologie in campo alimentare, il giudizio dei consumatori circa l’utilità e la necessarietà delle tecnologie alimentari, la percezione dei benefici derivanti dal consumo di prodotti innovativi per la salute umana ed infine il livello di fiducia nei media chiamati a veicolare in maniera corretta i frutti della ricerca scientifica e ad informare la società.
Per validare la scala di Cox ed Evans e verificare in che misura questi fattori rappresentino elementi esplicativi dell’atteggiamento dei consumatori nei confronti della tecnologia indipendentemente dal contesto culturale e dalle abitudini alimentari, è stata portata avanti un’indagine di campo su un campione di 350 consumatori campani.
L’indagine mirava più in particolare a rilevare le opinioni dei consumatori in merito ad alcune categorie di prodotti alimentari caratterizzate da diverso contenuto tecnologico e a mettere in rapporto queste opinioni con l’atteggiamento nei confronti della tecnologia in generale.
A tale scopo, in una prima parte del questionario veniva chiesto agli intervistati di esprimere il loro grado di accordo con la serie di affermazioni psicometriche di Cox ed Evans utilizzando una scala di Likert ancorata agli estremi 1 e 7. Nella seconda parte del questionario l’indagine si soffermava su 6 categorie di prodotti (prodotti funzionali, biologici, tipici, a filiera corta, piatti pronti surgelati e prodotti light), per investigare riguardo alla fiducia che l’intervistato ripone in ciascun tipo di alimento e alla propensione e frequenza di acquisto. Dalla figura seguente emerge con chiarezza che la fiducia accordata ai tre prodotti che più rimandano ad un’idea di naturalità e di scarso ricorso a tecnologie moderne è molto maggiore di quella riservata ai prodotti dove l’innovazione ed il ricorso alla tecnologia appare evidente.
Figura 1 - Hai fiducia nei seguenti prodotti?
Per comprendere quali caratteristiche contribuiscano alla costruzione della fiducia e come questa influenzi la percezione degli alimenti, è stato chiesto nel questionario di assegnare un punteggio da 1 a 7 ad un set di sei attributi da associare a ciascuna categoria di prodotti. I risultati sono riassunti nella tabella n. 2 che evidenzia alcuni aspetti interessanti. In generale, il campione di consumatori tende ad assegnare punteggi sistematicamente più alti agli attributi che definiscono i prodotti a minor grado di manipolazione. Viene così pienamente confermata la dicotomia tra alimenti ad alto e basso grado di manipolazione già emersa nella figura precedente. In particolare, secondo gli intervistati i prodotti tipici, biologici e a catena corta sono ben definiti dall’attributo della naturalità, mentre è bassa la percentuale di coloro che associano l’idea di naturale ai cibi funzionali, light e pronti surgelati. Per contro la sicurezza sembra essere un attributo leggermente più trasversale e, per quanto caratterizzi specificamente i prodotti biologici, l’idea di salubrità è associata in una certa misura anche ai prodotti funzionali.
La tabella 2 evidenzia anche un legame positivo tra percezione di naturalità e il contributo assegnato a ciascuna categoria di prodotto in termini di sostenibità ambientale. Infine, va rilevato che il campione di intervistati mostra complessivamente una certa capacità di assegnare specifici attributi a ciascuna categoria di alimenti, come accade nel caso del valore nutrizionale più elevato assegnato ai prodotti funzionali.
Tabella 2 - Categorie di prodotto e percezione degli attributi: valori medi
Succesivamente, sulla base delle risposte al set di domande psicometriche è stata effettuata un’analisi a componenti principali (ACP) che ha consentito di estrarre 4 componenti, che complessivamente spiegano oltre il 56% della varianza totale. La prima componente è stata denominata Percezione del rischio (25,7% della varianza). Ad essa hanno contribuito le seguenti affermazioni proposte nella scala psicometrica:
- può essere rischioso passare a nuove tecnologie alimentari troppo in fretta;
- le nuove tecnologie alimentari possono avere a lungo termine, effetti negativi sull'ambiente;
- la società non dovrebbe dipendere così pesantemente dalle tecnologie per risolvere i problemi alimentari;
- ci sono molti alimenti gustosi e nutrienti in giro, quindi non abbiamo bisogno di utilizzare nuove tecnologie alimentari per produrne degli altri.
Questa componente coglie il grado di avversione degli individui al rischio. Poichè l’introduzione di nuove tecnologie in campo alimentare viene interpretata come una potenziale aggravante dei rischi esistenti, date le specifiche funzioni di utilità dei singoli individui, tanto maggiore è il punteggio associato a questa componente, tanto maggiore sarà il grado di percezione del rischio.
La seconda componente, Percezione dell’inutilità delle tecnologie, spiega il 12,5% della varianza e sintetizza 5 affermazioni della scala psicometrica:
- i nuovi prodotti alimentari non sono più salutari dei cibi tradizionali;
- i benefici delle nuove tecnologie alimentari sono spesso sovrastimati;
- le nuove tecnologie alimentari sono qualcosa di cui sono incerto;
- le nuove tecnologie alimentari diminuiscono la qualità naturale del cibo;
- non ho ragione di provare cibi altamente tecnologici perché quelli che mangio sono già abbastanza buoni.
La seconda componente richiama da vicino il problema delle decisioni in condizioni di incertezza. Mentre la teoria economica utilizza a tale proposito il modello della utilità attesa, la psicologia delle decisioni (Kahneman, Tversky 1981) sostiene, invece, che le scelte individuali non avvengono seguendo il principio economico della massimizzazione dell’utilità, ma che gli individui sono irrazionali in modo sistematico e replicabile, cioè seguono dei patterns automatici o euristiche. Nel caso in esame, gli elevati livelli di incertezza e la scarsa percezione dei benefici tangibili può generare nei consumatori l’idea di superfluità delle nuove tecnologie alimentari.
La terza componente, Percezione dei benefici (9,5% della varianza) racchiude, invece, le informazioni relative alle 3 seguenti affermazioni:
- le nuove tecnologie alimentari assicurano a tutti noi un maggior controllo sulle scelte alimentari;
- le nuove tecnologie alimentari non avranno effetti negativi a lungo termine sulla salute;
- i prodotti ottenuti con nuove tecnologie alimentari possono aiutare le persone a seguire una dieta equilibrata.
In questo caso la componente coglie in maniera diretta la percezione dei benefici derivanti dall’adozione delle moderne tecnologie per i singoli fruitori e per la società nel suo complesso. Il punteggio ad essa associato è tanto maggiore quanto più elevata sarà la percezione dei benefici.
Infine, la quarta componente, fiducia nel ruolo dell’informazione (8,5% della varianza spiegata), è determinata dalla affermazione “i mezzi di informazione di solito, danno notizie corrette ed imparziali sulle nuove tecnologie alimentari”. La quarta componente si identifica, dunque, con il ruolo svolto dai media e chiama, in causa il tema dell’informazione e della reputazione. Informazioni percepite come complete e simmetriche accrescono la reputazione e l’affidabilità dei media. I risultati ottenuti rappresentano una prima conferma di quanto emerso in precedenza negli studi di Cox e Evans e consentono di affermare che la percezione del rischio, dell’utilità e dei benefici, nonchè la fiducia nel ruolo informativo dei media rappresentano fattori comuni alla base del comportamento dei consumatori.
Ovviamente la definitiva validazione della scala di Cox, al di là dei contesti sociali e culturali, richiederà ulteriori evidenze empiriche.
Dividendo i consumatori in base alla abitudine o meno ad acquistare prodotti con diverso contenuto tecnologico è possibile verificare se esistono differenze significative tra i gruppi nei valori assunti da ciascun fattore esplicativo estratto nella ACP. Alcuni aspetti che risultano dal confronto tra medie meritano, in particolare, di essere evidenziati (Tabella 3):
- La percezione dei benefici in termini di controllo nelle scelte alimentari, di capacità di garantire una dieta equilibrata e di determinare effetti positivi sulla salute (componente 3) risulta significativamente diversa, e più elevata, nel gruppo di coloro che acquistano prodotti funzionali rispetto a coloro che non sono soliti acquistare questo tipo di alimenti.
- Nessuna delle quattro componenti presenta un legame statisticamente significativo con le abitudini di acquisto di prodotti biologici e tipici, mentre è più evidente una relazione tra l’acquisto dei prodotti a chilometri zero e la percezione del rischio delle tecnologie (componente 1). Questa assume valori medi più elevati nell’ambito di coloro che sono soliti acquistare prodotti a filiera corta.
- Per i prodotti light la frequenza di acquisto è collegata ai fattori che sintetizzano la percezione del rischio delle tecnologie (componente 1) e la fiducia nel ruolo dei media (componente 4). In particolare tra gli acquirenti abituali di questi prodotti la componente 1 assume valori negativi (minore percezione del rischio associato alle tecnologie alimentari), mentre il valore negativo della componente 4 che caratterizza questi consumatori è il risultato di una minore fiducia nel ruolo dei media come elementi di informazione e di una minore percezione di effetti negativi sulla salute, che copartecipa alla definizione della quarta componente.
Tabella 3 - Acquisto di prodotti e valore medio delle componenti
In generale, si può affermare che la validazione della scala psicometrica di Cox ed Evans scaturisce anche dai reali comportamenti d’acquisto che, soprattutto per i prodotti innovativi, appaiono collegati con i punteggi delle componenti estratte. Ulteriori sviluppi dell’analisi potranno derivare da una caratterizzazione dei consumatori rispetto ad una scala di tecnofobia/tecnofilia basata sull’interazione delle diverse componenti e da un esame del modo in cui le componenti nel loro complesso influenzano le scelte di consumo.
Conclusioni
La complessità della società post moderna richiede nuove chiavi interpretative e nuovi strumenti di analisi da affiancare a quelli tradizionali della teoria economica. Psicologia cognitivista e antropologia culturale offrono in questo senso alcuni spunti di riflessione di grande interesse per meglio interpretare i cambiamenti in atto, per proporre nuove variabili da accostare ai prezzi e al reddito, tipicamente evocati dalla teoria economica e, soprattutto, per reinterpretare il ruolo della comunicazione e del marketing sia in un’ottica pubblica ed in riferimento alla gestione del rischio in campo alimentare, sia a sostegno delle imprese più dinamiche e che investono in innovazione di prodotto e di processo. In particolare le tendenze di mercato evidenziano la crescente domanda di naturalità e tipicità ma anche la contemporanea attenzione per il ruolo che può essere svolto dalle tecnologie per lo sviluppo del convenience e del moderno settore degli alimenti salutistici. L’adozione delle scale psicometriche consente l’individuazione dei fattori emotivi, ideologici e psicologici in grado di determinare la consumer attitude e fornisce uno strumento utile per la segmentazione del mercato e l’individuazione delle componenti di consumatori più sensibili e interessati ai prodotti alimentari di nuova generazione (early adaptors) che rappresentano un target di vitale importanza per le imprese interessate al lancio di prodotti innovativi del tipo one of a kind.
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- 1. Il campione non deriva da estrazione casuale ma è un campione ragionato, stratificato in rapporto a provincia di residenza, sesso e grado di istruzione.