Globalizzazione, qualità e standard di certificazione

Globalizzazione, qualità e standard di certificazione
  Istituto Nazionale di Economia Agraria

Scenario di riferimento

Le filiere agroalimentari, a partire dagli anni Novanta, si confrontano con due tendenze di fondo: da un lato, la crescente apertura dei mercati delle materie prime a livello internazionale e, dall’altro, l’evoluzione dei consumi, principalmente nei paesi a maggiore potere d’acquisto. In riferimento al primo aspetto, si evidenzia come l’approvvigionamento di materie prime su scala mondiale (global sourcing) sia diventato un dato di fatto anche nel sistema agroalimentare. In relazione, invece, al secondo aspetto, si sottolinea un’attenzione crescente verso le qualità specifiche dei prodotti sia in senso di tradizione-territorio (Dop, Igp, prodotti della tradizione), attributi etici (ad esempio i prodotti fair trade) e sostenibilità ambientale (prodotti biologici), sia più propriamente di caratteristiche sanitarie dei prodotti (standard di qualità e sicurezza).
Le imprese agroalimentari italiane, quindi, si relazionano con alcuni fattori di criticità, tra cui in primo luogo la disponibilità di mercati sostitutivi e/o complementari a quelli nazionali, e quindi la necessità di resistere alla concorrenza internazionale, cercando di valorizzare i propri prodotti sotto il profilo della qualità. D’altra parte, a fronte della crisi economica mondiale, la leva della qualità potrebbe, da sola, non essere sufficiente ad aiutare il sistema agroalimentare italiano a sostenere la sfida internazionale: da qui la necessità per gli operatori di cercare nuove forme di governance al fine di rendere i propri prodotti “compatibili” sotto il profilo dei prezzi. Infine, le crisi alimentari che si sono susseguite in maniera abbastanza frequente degli ultimi quindici anni (Bse, influenza aviaria, ecc.), le notizie a “tamburo battente” da parte dei mass media su continue frodi alimentari, le paure legate al consumo di prodotti Ogm, hanno fatto aumentare il livello di sfiducia da parte del consumatore verso l’intero sistema agroalimentare.
Guardando solamente all’ultima questione sopra indicata, si osserva come il settore pubblico, ormai da alcuni anni, stia intervenendo al fine di dare garanzie specifiche ai consumatori sulla qualità-sicurezza degli alimenti (un esempio su tutti è la regolamentazione sulla rintracciabilità dei prodotti). Il settore privato (si veda ad esempio la grande distribuzione) si riorganizza per rispondere alle stesse esigenze dei consumatori attraverso dei propri sistemi di certificazione della qualità-sicurezza dei prodotti. L’insieme dei suddetti fattori si traduce nella necessità per gli operatori di rendere i propri prodotti rispondenti sia a delle norme di tipo pubblico, cogenti e volontarie, che di tipo privato.
Infatti i produttori agricoli -soprattutto nel rapporto con la grande distribuzione, le imprese multinazionali e i grossi operatori della ristorazione collettiva- sono obbligati di fatto a sostenere l’onere di adeguamento del propri sistemi produttivi, così da poter essere certificati con specifici standard privati di qualità e sicurezza degli alimenti. Il mancato adeguamento agli standard privati comporta di fatto l’esclusione dalla “lista” dei fornitori riconosciuti (ormai provenienti da tutto il mondo) da parte degli operatori a valle.

Il sistema agroalimentare e il global sourcing

Altro capitolo importante di discussione è la globalizzazione dei circuiti di approvvigionamento (global sourcing). In particolare il global sourcing sta via via interessando una crescente letteratura descrittiva (Petrella, 1996; Friedland, 1994; Gereffi, 1994). Di fatto, molti sono i fattori di complessità delle forniture internazionali. In particolare, se si considera il solo aspetto culturale si può facilmente comprendere come ogni cultura nazionale partecipi nei fatti alla determinazione di una cultura d’impresa (Perito, 2006). Il global sourcing crea, quindi, un confronto lungo il canale di distribuzione tra forme culturali (intese come insieme di codici di condotta e di comportamenti) differenti. Prendendo in considerazione quindi gli acquisti internazionali si comprende come questi possano complicare ulteriormente le transazioni tra gli operatori lungo il canale di distribuzione e innalzare i costi di transazione (Williamson, 1975 e 1996). Infatti esse danno luogo alla predisposizione di nuove specifiche attività tra le parti, in alcuni casi del tutto sconosciute rispetto agli scambi realizzati nei confini nazionali, e ciò innalza il livello d’incertezza tra gli operatori e il rischio di maggiore opportunismo.
In generale, la forte concorrenza presente nel corso degli ultimi anni sui mercati mondiali, con grosse aziende transazionali che lavorano con fornitori provenienti da tutte le parti del mondo, fa sì che la scelta di uno specifico fornitore derivi da una sorta di arbitraggio tra i prezzi da pagare per la fornitura -complessivamente, tenendo ovviamente conto dei costi di trasporto necessari e dei dazi d’ingresso nei diversi paesi- e la rispondenza di questi prodotti a specifiche richieste di qualità e di sicurezza degli alimenti.
Per limitare il rischio derivante dallo svolgimento delle transazioni, i grossi operatori, nella scelta dei fornitori extra-nazionali, cercano di ottenere quante più informazioni possibili (in termini anche di reputazione sul mercato locale) prima di dare avvio al processo di partenariato, e successivamente creano dei contratti ad hoc, includenti il rispetto di specifiche clausole per la salvaguardia della qualità e la sicurezza degli alimenti, al fine di ridurre l’opportunismo della controparte. Per la realizzazione della transazione, quindi, i grossi operatori a valle, che detengono maggiore potere di mercato, effettuano di volta in volta un processo di scelta tra ricorso al mercato, integrazione verticale o forme di relazioni intermedie tra queste due, ossia contratti con scadenza periodica (forme ibride di governo).

I cambiamenti di mercato e gli standard di sicurezza e qualità degli alimenti

La soglia di attenzione dei consumatori comunitari sui temi della sicurezza e qualità degli alimenti, a fronte delle continue crisi alimentari, si è sensibilmente spostata in avanti. Questo ha portato ad un proliferare di standard di qualità e di sicurezza degli alimenti sia di tipo pubblico che privato (Grazia, Green, Hammoudi, 2008; ).
In particolare, agli standard pubblici di sicurezza, sia cogenti che volontari (la tracciabilità, l’Haccp, ecc.), si sono aggiunti dei sistemi di regolazione da parte degli operatori privati, collettivi e individuali. L’obiettivo di entrambi questi sistemi (pubblico-privato) è di rispondere, da un lato, alle preoccupazioni dei consumatori (facendo fronte alle nuove richieste di questi ultimi circa la sicurezza degli alimenti), dall’altro alla necessità per gli operatori di affrontare in maniera sinergica le problematiche legate all’alimentazione e alla salute umana, rispondendo in caso di crisi attraverso un sistema di “allerta rapido” di recupero dei prodotti. Tutto ciò presenta un certo grado di complessità se si pensa alla scala mondiale degli approvvigionamenti descritta precedentemente.
L’organizzazione di tale sistema passa necessariamente attraverso un complesso impianto di relazioni interaziendali, con un’organizzazione sempre più performante, il cui epicentro è un articolato sistema di piattaforme logistiche, gestite, anche e soprattutto, dalle imprese di trasporto. Tale organizzazione, quindi, oltre a consentire il controllo della sicurezza-qualità degli alimenti, permette de facto la razionalizzazione dei costi necessari all’approvvigionamento da parte degli operatori a valle (punti vendita della distribuzione moderna e “giganti” della ristorazione collettiva).
Numerose sono le iniziative legate alla sicurezza alimentare e che hanno condotto a una sempre maggiore diffusione di sistemi di certificazione di qualità. In Europa, ad esempio, si stanno sviluppando in maniera sempre più intensa sistemi di certificazioni - EurepGap, Brc, Ifs - richiesti come fattori discriminanti nell’acquisto dei prodotti agroalimentari dagli operatori a valle. Tali standard definiscono le condizioni commerciali circa i requisiti minimi di sicurezza e di qualità e, per poter essere messi in atto, richiedono la realizzazione, da parte degli produttori agricoli, di investimenti specifici in termini di ammodernamento dell’organizzazione logistica e dei sistemi di scambio di informazioni con i clienti a valle.
In buona sostanza, tali standard possono essere considerati come dei pass di accesso su precisi mercati di sbocco. Di fatto, però, si osserva come non tutti gli operatori a valle utilizzino gli stessi standard di certificazione: ciò comporta che i produttori agricoli, inseriti in un determinato meccanismo di certificazione, risultino esclusi a priori da un differente meccanismo di certificazione.

Alcuni esempi di standard di qualità e certificazione

Le imprese agroalimentari hanno iniziato a sviluppare su scala mondiale, a partire dagli inizi degli anni Novanta, specifici sistemi di certificazione della qualità (Quality assurance systems, Qas). Questi Qas hanno subito assunto una duplice natura: da un lato quella della good practice, ovvero di un sistema di identificazione completa delle tecniche utilizzate relativamente alla produzione, gestione, commercializzazione e marketing; dall’altro quella di quality management system, sistemi che mirano al miglioramento delle tecniche di management. Questi standard inoltre si differenziano tra loro per quanto riguarda il rapporto con il consumatore finale: la qualità può essere comunicata al consumatore (rapporto B2C: business to consumer) o meno (B2B: business to business).
Conseguentemente all’evoluzione dei sistemi di certificazione i grossi operatori a valle (grande distribuzione e aziende di trasformazione multinazionali), accanto alle strategie classiche di protezione della marca, hanno iniziato a sviluppare sistemi sempre più specializzati per la sicurezza alimentare. In generale la logica di fondo allo sviluppo dei sistemi di certificazione è stata guidata dalla logica della “ruota di Deming”, ovvero un’impresa al fine di poter migliorare le proprie performance aziendali, introduce cambiamenti continui della propria organizzazione aziendale (Deming, 1986).
La ruota di Deming nasce sul finire degli anni Cinquanta in Giappone e ha, come filosofia di fondo, l’idea che per realizzare prodotti di qualità non siano sufficienti collaudi ex post, ma che tutto il sistema sia coniugato con una serie di attività ex ante. L’elemento innovativo della ruota di Deming consiste nell’idea che, per riuscire a raggiungere il massimo della qualità, sia necessaria (Figura 1) la massima interazione tra ricerca, progettazione, produzione e vendita: solo una rotazione coordinata delle quattro fasi potrà portare al soddisfacimento del consumatore.

Figura 1 - Ruota di Deming

La grande distribuzione commerciale sta sviluppando sempre più standard di qualità e sicurezza. Il sistema distributivo è l’interfaccia con il consumatore finale dell’intera catena dell’offerta. Il distributore è, quindi, in generale, il primo attore ad essere interessato alle procedure di controllo della qualità dei prodotti e del successivo richiamo, in caso di incidenti alimentari. La responsabilità della grande distribuzione è naturalmente più forte sui prodotti a marchio proprio, poiché essa è direttamente responsabile della sicurezza di questa tipologia di alimenti, in uno scenario nel quale la percentuale di tali produzioni sta costantemente aumentando. Ciò spiega il motivo per cui i distributori sono sempre più coinvolti nella creazione degli standard di sicurezza alimentari, specialmente in Europa: Safe Quality Food (Sqf) e EurepGAP (Engref-Fao, 2006), così come l’inglese Brc (British Retail Consortium) e il franco-tedesco Ifs (International Food Standard). Alcuni di questi sistemi di certificazione della qualità (Qas), negli ultimi anni, sono rivolti alla ricerca di una possibile armonizzazione tra i diversi sistemi. È il caso di Gfsi (1) (Global Food Safety Initiative).
Non meno complessi sono i sistemi di certificazione di qualità del settore industriale, a titolo di esempio infatti si evidenzia il sistema qualità di Nestlé (Nqs) e quello di Kraft (Qcms).

Quale ruolo possono svolgere gli standard di qualità nell’ambito del commercio internazionale dei prodotti agroalimentari?

La proliferazione ed evoluzione degli standard di sicurezza e qualità nei paesi industrializzati sta ricevendo un’attenzione crescente da parte delle istituzioni internazionali (Ocse, 2004; World Bank, 2005, Wto, 2005) e degli studiosi (Garcia Martinez, M., Poole, N., 2004; ). Tali studi sottolineano come gli standard privati stiano velocemente diventando un fattore fondamentale di accesso al mercato, specialmente per i paesi occidentali. D’altro canto, l’evoluzione degli standard privati tende a creare un ulteriore livello di complicazione di accesso ai mercati esteri, che in molti casi si sovrappone agli accordi tipo Tbt e Sps in ambito Wto.
La concentrazione del settore della distribuzione alimentare sta determinando, inoltre, la prevalenza di filiere buyer driven, sempre più orientate all’approvvigionamento internazionale. La grande distribuzione alimentare si rifornisce sui mercati esteri imponendo ai propri fornitori dei precisi meccanismi di acquisto, tra cui rientrano anche gli standard di sicurezza e qualità alimentare. In sostanza tali standard alimentari vengono imposti dalla distribuzione alimentare; avendo essa un forte potere di contrattuale lungo la filiera, gli standard assumono il carattere di obbligatorietà de facto.
I distributori utilizzano gli standard di qualità privati come strumento di assicurazione dei prodotti. D’altro canto, la forte concentrazione e il conseguente potere di mercato dei buyer della grande distribuzione permettono di vincolare i fornitori al raggiungimento obiettivi di qualità. La questione di fondo da affrontare, quindi, riguarda le conseguenze dell’evoluzione degli standard di certificazione sugli accordi in ambito Wto. Di fatto ciò che sta succedendo e sempre più accadrà in futuro, è che gli standard privati, più ancora che quelli pubblici, stanno diventando il “cavallo di Troia” per l’accesso ai mercati a più alto reddito per i produttori di paesi in via di sviluppo.
In sostanza, l’estensione territoriale dell’impresa agro-alimentare e l’evoluzione della distribuzione alimentare porta ad un cambiamento sostanziale del canali di distribuzione dei prodotti agro-alimentari, nel senso di un crescente processo di internazionalizzazione degli stessi. In particolare, nel processo di approvvigionamento dei punti di vendita, la distribuzione moderna, rivolgendosi in maniera crescente a fornitori stranieri, richiede a questi ultimi di sottoscrivere dei capitolati di fornitura in cui la componente relativa al rispetto di clausole sulla qualità e sicurezza alimentare dei prodotti rappresenta una conditio sine qua non per l’ingresso degli stessi fornitori sul mercato. Gli standard privati quindi funzionano anche come strumento di coordinamento delle filiere, standardizzando i requisiti di prodotto tra fornitori locali, nazionali ed esteri, permettendo quindi alle insegne della distribuzione un effettivo global sourcing dei prodotti agroalimentari in quanto tutti i prodotti, a prescindere dai luoghi di produzione, hanno le stesse garanzie minime di sicurezza, salubrità e qualità dei prodotti. Tutto ciò risulta particolarmente importante se si pensa che le “filiere globali” sono condizionate da differenti ambienti regolamentari ed economici: gli standard privati agiscono quindi come fattore imprescindibile per ridurre i costi di transazione dei prodotti e i rischi associati all’approvvigionamento sui diversi mercati.
Gli standard privati possono inoltre rivestire un ruolo di definizione del percorso per ulteriori sviluppi regolamentari da parte dei regolatori pubblici su scala mondiale (nella logica del first mover), oltre a differenziare i prodotti e, allo stesso tempo, gestire i costi di transazione e i rischi associati all’utilizzo di fornitori su scala mondiale.

Note

(1) La Global Food Safety Initiative (Gfsi) è coordinata dal Cies - The Food Business Forum.

Riferimenti bibliografici

  • Deming, W.E., 1986), Out of Crisis, Cambridge University Press.
  • Friedland, W. H., (1994), “Globalization, the State, and the Labor Process”, International Journal of Sociology of Agriculture and Food, 6, pp. 30-46.
  • Garcia Martinez, M., Poole N., (2004), “The development of private fresh produce safety standards: implications for developing Mediterranean exporting countries”, Food Policy, 29, pp. 229-255
  • Gereffy, G., (1994), “The International Economy and Economic Development,” in Smelser, N., and Swedberg, R. (a cura di) The Handbook of Economic Sociology, Princeton, New Jersey: Princeton University Press, pp. 206-233.
  • Grazia C., Green R. H., Hammoudi, 2008, Qualità e sicurezza degli alimenti. Una rivoluzione nel cuore del sistema agroalimentare, FrancoAngeli, Milano. OCSE, (2004), Private standards and shaping of the agri-food system, OCSE, Parigi.
  • Perito, M.A., (2006), La distribuzione moderna e il global sourcing: l’acquisto di prodotti ortofrutticoli dai Paesi Terzi del Mediterraneo, Economia Agro-alimentare, n.3,
  • Petrella, R., (1996), “Globalization and Internationalisation. The Dynamics of the Emerging World Order.” in R. Boyer and D. Drach (a cura di), States Against Markets, London: Routledge, pp. 62-83.
  • Williamson, O., (1975), Markets and Hierarchies, New York, free press.
  • Williamson, O., (1996), The Mechanisms of Governance, Oxford University Press
  • World Bank, (2005), Food safety and agricultural health standard: challenges and opportunities for developing country export, World Bank, Washington DC.
  • WTO, (2005), Committee on sanitary and phitosanitary measures, meeting del 29-30 giugno 2005 (G/SPS/R/37), WTO, Ginevra.
Tematiche: 
Rubrica: