Gran parte delle imprese agricole italiane sta attraversando un momento di grande difficoltà e di incertezza, generata dal mutamento dello scenario socio-politico-economico di riferimento.
L’emergenza di queste difficoltà è abbastanza recente, per cui i sintomi di una tale situazione sfuggono ancora alle statistiche ufficiali, ma i conoscitori della realtà imprenditoriale italiana documentano segnali ben evidenti di sofferenza: crescente incertezza nel collocamento dei prodotti agricoli, stagnazione dei prezzi, aumento dei costi, difficoltà ad individuare mix produttivi economicamente convenienti, aumento dell’indebitamento, incapacità a finanziare gli investimenti.
Questa situazione di incertezza si ripercuote su tutto il sistema agroalimentare, dalle imprese di produzione e distribuzione di mezzi tecnici ai liberi professionisti agronomi, dalla cooperazione agricola alle industrie agroalimentari. Il malessere delle imprese agricole non è generalizzabile a tutte le situazioni: è evidente che la maggiori problematicità si riscontrano nei settori delle commodities rispetto alle specialities, nelle produzioni vegetali rispetto alle produzioni zootecniche, nelle aziende monocolturali rispetto a quelle diversificate. Ma si tratta di un fenomeno che attraversa tutta la penisola, dalle zone più marginali a quelle più ricche. Alcune zone del Sud stanno vivendo situazioni di grave emergenza, come la Puglia nel settore vitivinicolo e cerealicolo, il Metapontino per il settore ortofrutticolo. Così è in difficoltà nel Centro-Italia il settore dei seminativi. Ed anche alcune zone del Nord, ad agricoltura tradizionalmente ricca, mostrano segnali di forte crisi: l’ortofrutta in Romagna a causa del crollo dei prezzi, il settore avicolo per l’influenza aviaria, il settore dello zucchero per la riforma della PAC, il settore cerealicolo per la forte concorrenza mondiale. Allarmi più recenti stanno interessando il pomodoro da industria ed il settore lattiero-caseario.
L’attuale scenario suscita negli operatori agricoli una domanda sempre più pressante: cosa fare? Quali prospettive avranno le imprese agricole? La risposta a queste domande è quanto mai impellente, difficile, appassionante e drammatica nello stesso tempo1 e non può essere lasciata all’incombenza dei soli imprenditori agricoli, ma tutto il mondo agricolo deve farsene carico, dalla componente politica a quella scientifica, da quella associativa a quella sindacale.
Un breve cenno sullo scenario
E’ certo che oggi l’agricoltura opera in un mutato scenario socio-economico-politico, ed è profondamente dominata da questo mutamento; i fattori critici, più immediatamente percepiti dagli imprenditori, sono i prezzi, la PAC, le relazioni commerciali, la disponibilità di fattori produttivi e di tecnologie.
I prezzi sono sempre più mutevoli e stagnanti per effetto della globalizzazione, dell’evoluzione dei consumi, della forte concorrenza di vecchi e nuovi paesi esportatori (India, Cina, Ucraina, Argentina, ecc.) e della minore protezione pubblica dei mercati, anche in conseguenza degli accordi in sede WTO.
E’ cambiata (e cambierà ancora) la PAC per esigenze politiche, sociali ed economiche: la riforma Fischler è stata la più grande riforma dalla istituzione della PAC, è entrata in vigore nel 2005, si sta completando nel 2006 con il disaccoppiamento dei settori latte, olio di oliva, tabacco e zucchero, ma è già stata preannunciata una sua revisione nel 2008.
Le relazioni commerciali all’interno delle filiere sono fortemente mutate per effetto delle nuove abitudini alimentari, che hanno provocato una sempre maggiore preferenza per i prodotti trasformati e ad alto contenuto di servizio; la complessità e l’evoluzione dei sistemi distributivi, l’affermazione della GDO, in particolare la concentrazione della distribuzione in poche imprese hanno ridotto i margini della componente agricola nella catena del valore.
Le disponibilità dei fattori produttivi mutano per effetto del progresso tecnico e di nuove relazioni sociali (drammatico, ad esempio, il problema della scarsa disponibilità di manodopera in agricoltura) che limitano lo sviluppo di alcuni settori come quello ortofrutticolo e zootecnico.
Queste constatazioni, in particolare il mutamento dello scenario ed il condizionamento dell’agricoltura, possono risultare banali, ma è proprio qui si innesca la prima difficoltà dell’agricoltura italiana.
La maggior parte degli agricoltori non ha preso pienamente coscienza di questa situazione o non riesce a comprenderne i termini, né a trovare soluzioni. Ciò è dovuto, in primo luogo, alla carenza di consapevolezza da parte degli agricoltori, a parte rare eccezioni, frutto di un grave deficit imprenditoriale che si è sedimentato nel tempo, per effetto di decenni di forte protezionismo della PAC e di un deleterio rapporto agricoltura-politica.
Di fronte a tale situazione, il punto di partenza per affrontare la crisi, affinché l’agricoltore possa intraprendere un nuovo percorso imprenditoriale che guarda al futuro, è un’adeguata consapevolezza dello scenario socio-economico-politico in cui opera l’agricoltura.
Quale agricoltura per il futuro?
Quale agricoltura avremo nel futuro? Non ci sarà un modello unico, ma la prospettiva si presenta complessa. Per descrivere la varietà dello scenario futuro, è utile rifarsi ad un lavoro di Sotte e Guihéneuf2, in cui si ipotizzavano quattro scenari:
- l’adattamento al protezionismo dell’UE;
- l’ordine agroindustriale;
- la qualità di origine;
- l’agricoltura di servizio.
Lo scenario dei mercati europei protetti è basato sull’affermazione del diritto dei popoli alla propria sicurezza alimentare, con pagamenti diretti compatibili con il WTO (scatola verde: ambiente, ma anche salute e garanzia approvvigionamento alimentare), produzioni contingentate, un esteso sistema di quote, set-aside e penalizzazioni degli eccessi di offerta ed eco-condizionalità (protocolli delle “buone pratiche agricole”, cross-compliance, modulazione).
Lo scenario dell’ordine agroindustriale, in cui la grande industria e la grande distribuzione pilotano l’agricoltura, richiede produzioni standard e tecnologie orientate ad abbassare i costi unitari e la qualità guidata dall’ingegnerizzazione produttiva (nutriceutici, OGM), mercati liberalizzati ed aperti, eliminazione delle barriere tariffarie e non tariffarie, competizione fondata sui prezzi di mercato (mondiale); quindi un ruolo subalterno dell’agricoltura, con la politica agraria che si limita ad azioni dirette alla tutela delle common goods.
Lo scenario della qualità di origine, in cui si impongono le denominazioni di origine, a fronte di una richiesta dei consumatori che cercano alimenti sani e genuini. La qualità si identifica anche per altre funzioni (cultura, tradizione, paesaggio) e come bene pubblico (tracciabilità e certificazione). Tra gli agricoltori emerge un nuovo progetto collettivo, una nuova alleanza con i consumatori. L’azione pubblica cambia natura con una maggiore responsabilizzazione delle istituzioni locali, con una forte accentuazione della tutela delle denominazioni d’origine da parte dell’UE e degli Stati membri e con il riconoscimento internazionale degli identificativi di origine.
Lo scenario dell’agricoltura di servizio prevede che la multifunzionalità si imponga e si affermi il “modello di agricoltura europea”, basato sul “rinascimento rurale”. La PAC cede il passo ad una diffusa politica di sviluppo rurale, fortemente integrata con le altre politiche settoriali (industriale, servizi, sanitaria). L’azione pubblica si decentra con piani di sviluppo rurale, quali strumenti generali di governo territoriale. Un ruolo fondamentale rivestono la sussidiarietà, la partnership e la valutazione.
La rappresentazione dei quattro scenari è molto stimolante e ci invita a riflettere sulla loro verificabilità effettiva. In realtà ci si rende conto che tutti gli scenari si potranno in parte verificare o che nessuno scenario è perfettamente attendibile. La realtà è complessa per cui si avrà, con molta probabilità, un mix dei quattro scenari: un po’ di agricoltura protetta (non si potrà eliminare completamente il protezionismo), un po’ di agricoltura dipendente dall’industria e dalla distribuzione (non si arresterà l’ingegnerizzazione dell’alimentazione e la multinazionalizzazione delle imprese agroalimentari), un po’ di agricoltura legata all’origine (si continuerà a puntare sul made in Italy e sulle denominazioni di origine), un po’ di agricoltura di servizio (sarà potenziato il ruolo dell’agricoltura a protezione dell’ambiente).
Quale strategia per le imprese professionali?
Quali scelte dovrà adottare l’imprenditore agricolo?
Non esistono ricette imprenditoriali; le soluzioni possono essere profondamente diverse a seconda dei territori, dei settori produttivi, della struttura aziendale (capitale e lavoro) e dell’andamento del mercato.
Alcuni criteri tuttavia sono generalizzabili a tutte le situazioni. Nell’immediato futuro, con il disaccoppiamento è venuta meno l’azione di indirizzo della politica comunitaria, per quanto riguarda il 1° pilastro della PAC che corrisponde al 90% del sostegno agricolo comunitario. In questo nuovo scenario, per l’imprenditore divengono fondamentali tre fattori:
- il rapporto con il mercato, in particolare la differenziazione e la concentrazione dell’offerta;
- l’efficienza tecnica ed economica;
- la capacità di intercettare, tramite il Piani di Sviluppo Rurale (PSR), pagamenti pubblici per i beni pubblici che l’imprenditore produce: indennità compensative, pagamenti agroambientali, pagamenti silvoambientali, indennità per le zone soggette a vincoli ambientali (parchi, zone vulnerabili, ecc.).
L’unica ricetta è un’attenta valutazione economica, che parta dall’analisi del mercato, all’individuazione dei prodotti/servizi che più si adattano alle condizioni territoriali (pedoclimatiche, sociali, economiche), alla disponibilità di tecnologie, all’organizzazione aziendale, alla disponibilità di pagamenti pubblici (PSR) per la produzione di beni pubblici, puntando all’ottimizzazione delle risorse, all’efficienza tecnico-economica delle strutture aziendali, in funzione della possibilità di rendere competitivo il prodotto/servizio. Di fronte ad un cambiamento così radicale dello scenario di riferimento, l’imprenditore deve ridisegnare una nuova strategia di lungo periodo.
Invece, attualmente gli imprenditori agricoli sono preoccupati, innanzitutto, di individuare le combinazioni produttive da realizzare come risposta al disaccoppiamento: un atteggiamento legittimo nel brevissimo periodo, ma del tutto insufficiente per la vitalità delle imprese nel medio/lungo periodo.
L’importanza, per ogni imprenditore, di conoscere se è più conveniente aumentare o diminuire il frumento duro, oppure se mantenere o meno una data attività zootecnica, è sicuramente legittima. Queste sono, ad un anno dalla riforma della PAC, le scelte più urgenti per l’imprenditore, ma sono scelte di breve periodo e non sono quelle più importanti da prendere.
Oggi ancor più di ieri, il nuovo scenario obbliga gli imprenditori a prendere importanti decisioni in una visione di lungo periodo, nel quale sono chiamati ad individuare una strategia di sviluppo aziendale, per rendere competitiva e vitale la propria impresa. In questa valutazione strategica occorre verificare la competitività globale dell’impresa agricola ed anche la necessità di intraprendere nuove strade: introduzione di nuove tecnologie, ampliamento delle dimensioni aziendali, trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli (quale passaggio fondamentale per conferire valore aggiunto al prodotto), qualificazione delle produzioni, integrazione di filiera, passaggio dalla produzione agricola ai servizi.
Le strategie utili a promuovere la competitività delle imprese possono essere schematizzate nelle seguenti direzioni (Pennacchi, 2003; Mazzarino-Pagella, 2003):
- la competitività del “sistema azienda” basata sull’efficienza economica;
- la competitività del “sistema azienda” basata sulle differenziazione qualitativa;
- la competitività centrata sulla diversificazione di prodotto e di processo;
- la competitività basata sull’integrazione di filiera;
- la competitività derivante dall’integrazione del sistema territoriale.
La competitività basata sull’efficienza economica è la strategia tradizionale della competitività del “sistema azienda”, l’unica da seguire nel caso di produzione di commodities non trasformate e/o standardizzate e non differenziabili: cereali, oleaginose, riso, barbabietola, carni indifferenziate. Essa comporta che le imprese producano con costi unitari medi dei prodotti compatibili con i prezzi pagati dal mercato, ottenendo così una remunerazione adeguata dei fattori della produzione impiegati. Per perseguire la competitività, le imprese agricole devono porre attenzione all’adeguatezza delle strutture fondiarie, ai mezzi produttivi, all’efficacia delle tecnologie, alla disponibilità qualitativa e quantitativa del lavoro, alla reperibilità delle risorse finanziarie per gli investimenti, all’uso di adeguati strumenti di commercializzazione, all’informazione ed alla formazione professionale.
Seppure identificata come una competitività di tipo tradizionale, la direzione strategica che essa definisce continua ad essere centrale nel comportamento di tutti gli operatori. Anzi, nei prossimi anni diventerà più importante che nel passato, soprattutto in un sistema in cui la PAC tende ad abbandonare la funzione di sostegno e orientamento.
La competitività del “sistema azienda” basata sulle differenziazione qualitativa è un percorso strategico imprescindibile per le imprese agricole, soprattutto per la difficoltà di molte imprese a perseguire la competitività tradizionale, basata sui costi di produzione. Ma la differenziazione qualitativa non è vantaggiosa in se stessa; il successo di tale strategia è strettamente correlato al posizionamento sul mercato e all’evoluzione dei consumi alimentari.
Oggi, le prospettive per il cosiddetto “paniere qualità” dei prodotti agroalimentari risultano buone in quanto, a differenza della domanda totale di alimenti che è stagnante, la loro domanda è in espansione3; una tendenza che è legata alle caratteristiche di naturalità che sono proprie di alcuni prodotti (produzioni biologiche) o al particolare status di soddisfazione che i cosumatori associano all’uso dei prodotti DOC, IGP, tradizionali.
Tuttavia, in questo comparto, il mercato e la domanda sono caratterizzati da continue evoluzioni ed oscillazioni (vedi le recenti cadute di prezzo per il parmigiano reggiano, i vini di qualità, i prodotti bio) e diviene fondamentali il giusto posizionamento sul mercato.
La diversificazione di prodotto e di processo rappresenta la direzione strategica finalizzata alla produzione di beni e servizi molto diversificati, in risposta alla domanda sempre più varia che la collettività esprime sia per i beni che per i servizi delle imprese agricole.
I percorsi della diversificazione all’interno delle imprese agricole possono essere molteplici ed in continua evoluzione, ed esprimono una varietà di situazioni creative che vanno dai prodotti alimentari e non alimentari ai servizi. La diversificazione può significare l’innovazione di prodotto e alla rivitalizzazione di prodotti maturi: prodotti tipici, prodotti no-food, biomassa per la produzione di energia, prodotti biologici, nuovi prodotti trasformati a livello aziendale commercializzati sui circuiti brevi o circuiti lunghi, ecc.
Altrettanto diversificati sono i servizi che le imprese sono in grado di fornire ad altre imprese: servizi agricoli veri e propri, quali il noleggio di mezzi meccanici, la messa a disposizione delle competenze professionali proprie ad altre unità agricole, la gestione, nelle forme più varie, di piccole aziende terze che i proprietari non hanno più intenzione di utilizzare.
Un ruolo sempre più importante hanno assunto i servizi che le imprese agricole possono rivolgere alle persone: il turismo rurale, l'agriturismo, l'ippoturismo, le attività faunistico-venatorie, le aziende didattico-ambientali e tante altre attività connesse. Sono servizi di fondamentale importanza, perché rispondono ad una nuova domanda della società e forniscono un contributo insostituibile per la stabilizzazione dell'occupazione ed essenziale per la formazione del reddito aziendale.
La competitività basata sull’integrazione di filiera è la strategia che si pone il fine di migliorare l’efficienza dell’insieme degli stadi che concorrono a portare la produzione dall’azienda agricola al consumatore finale, efficienza che mira a ridurre i costi di produzione, di transazione ed organizzativi.
Nell’ambito dell’integrazione di filiera sono ascrivibili le cosiddette filiere corte (la vendita dei prodotti in azienda, la vendita in fiere, in mercati locali e in negozi di proprietà dei produttori nelle città, ecc.) che rappresentano una delle più interessanti modalità di recupero del valore aggiunto dei prodotti agricolo-alimentari da parte degli agricoltori.
La strategia dell’integrazione di filiera è fondamentale per il successo delle imprese agricole. Nel decennio 1995-2004, il peso delle materie prime agricole nell’ambito della catena del valore dei prodotti alimentari finali è passato dal 15% a meno dell’11% (Ismea, 2005)4. L’integrazione di filiera, attraverso forme di partecipazione degli agricoltori nella fase di trasformazione e distribuzione dei prodotti agroalimentari, è l’unico strumento in mano all’agricoltura per recuperare peso economico nella catena del valore dei prodotti alimentari finali. L’ultimo tipo di competitività fa riferimento al sistema locale all’interno del quale operano le imprese agricole ovvero la competitività territoriale ovvero la competitività acquisita tramite l’integrazione dell’impresa nel sistema territoriale.
Competere nella logica territoriale significa perseguire il successo delle imprese unitamente al successo del territorio in cui operano; in questa logica il territorio rappresenta, da una parte, il complesso di elementi materiali ed immateriali presenti e, dall’altra, la sostenibilità ambientale, sociale e culturale delle azioni che sono effettuate all’interno del territorio stesso. Per la valorizzazione delle specificità di un territorio è necessario, dunque, che gli attori del territorio stesso diventino i principali protagonisti delle decisioni da prendere, in grado di avere una visione consapevole e sistemica delle componenti del territorio, attraverso la quale è possibile individuare i punti di forza e di debolezza del territorio e fissare le strategie per il suo sviluppo (Pennacchi, 2003).
A tale fine, è importante il comportamento di tutti i soggetti che operano all’interno del territorio, dagli imprenditori agricoli a quelli extra-agricoli, dalle istituzioni ai consumatori, ma è fondamentale anche l’atteggiamento del sistema nei confronti dell’ambiente esterno.
Il fattore umano: la cultura imprenditoriale
In uno scenario in veloce cambiamento, in cui la complessità delinea l’orizzonte dei fenomeni, non si intravede una sola direzione per il successo delle imprese; il punto di partenza per il futuro dell’agricoltura, per una ripresa dell’agricoltura italiana, è il fattore imprenditoriale o meglio il fattore umano e l’educazione alla realtà. Può sembrare una risposta inadeguata rispetto alla complessità dei problemi che attanagliano l’agricoltura ma, senza il fattore imprenditoriale educato, ogni tentativo di sviluppo è vano. C’è un’obiezione culturale al richiamo di una maggiore imprenditorialità in agricoltura.
Una tipica obiezione è la seguente: “l’imprenditore agricolo non si può assimilare a tutti gli altri imprenditori”, perché “l’imprenditore agricolo fa ambiente se veramente facessimo i conti con la penna tante aziende e tante superfici agricole resterebbero incolte con evidenti problemi ambientali”5. Vi è la convinzione tra molti operatori agricoli che solo la politica possa risolvere i problemi dell’agricoltura!
Altra obiezione: “gli agricoltori non potranno mai essere dei veri imprenditori agricoli, fin quando non saranno loro a decidere il prezzo dei propri prodotti (così come avviene in qualsiasi altro settore)”6. Vi è la convinzione che il mercato sia il “nemico”. E’ vero che i prezzi dei prodotti agricoli di base diminuiscono per l’effetto congiunto di una serie di fattori:
- la globalizzazione dei mercati;
- la carenza di concentrazione dell’offerta, per cui l’agricoltore subisce uno sfruttamento oligopsonistico da parte della componenti della trasformazione e della distribuzione;
- l’asimmetria informativa, per cui la qualità dei prodotti non viene adeguatamente comunicata al consumatore.
Ma qual è il rimedio a questi fenomeni, se non una nuova strategia imprenditoriale?
La globalizzazione va cavalcata, non subita. Lo sfruttamento oligopsonistico va contrastato con la concentrazione dell’offerta. L’asimmetria informativa va combattuta con la differenziazione, con la comunicazione, con la tutela in sede europea ed internazionale delle caratteristiche dei nostri prodotti.
Il problema principale dell’agricoltura oggi è un problema culturale, che non riguarda solo gli agricoltori, ma molti strati del mondo agricolo, in particolare le Organizzazioni Professionali e le Istituzioni, ma anche l’industria dei mezzi tecnici e l’editoria agricola.
La necessità di creare un sistema
Le indicazioni illustrate poc’anzi, ovvero l’esigenza di una riqualificazione delle capacità analitiche e decisionali degli imprenditori, sono necessarie, ma non sufficienti – osserva Pennacchi – ad affrontare i mutamenti sociali ed economici indotti dai nuovi modelli di regolamentazione internazionale e dalla profonda revisione della politica agraria europea.
La condizione di incertezza nella quale si trova ad operare il settore agro-alimentare richiede l’impegno di tutti a rivedere il proprio comportamento.
E’ indispensabile “che gli imprenditori siano supportati da un comportamento efficiente ed efficace di tutte le componenti di sistema. Quante probabilità di successo avrebbe, infatti, il sistema imprenditoriale agro-alimentare se, ancorché capace di innovare radicalmente il proprio apparato organizzativo, dovesse continuare ad operare in un contesto caratterizzato da una limitata possibilità di appropriarsi delle innovazioni, da una scarsa facoltà di partecipare alle decisioni di interesse comune, da un’insufficiente capacità di trovare soluzioni valide ai vari problemi comuni? Molto limitate; in quanto, sempre più, il successo è una condizione saldamente legata all’efficienza ed all’efficacia del sistema” (Pennacchi, 2005).
E’ indispensabile un atteggiamento innovativo da parte di tutte le componenti del sistema, degli organi di rappresentanza professionale, alle strutture di produzione associative, delle istituzioni pubbliche, al mondo della ricerca.
Da cosa partire? Non dall’intervento statale, sia per la difficoltà di disporre di ulteriori risorse pubbliche sia per l’inefficacia dell’intervento pubblico ad assicurare lo sviluppo; bisogna partire da due fattori:
- dal capitale umano, dalla sua capacità progettuale e dall’innovazione;
- dall’aggregazione e dall’integrazione ovvero la capacità di mettersi insieme, di unire le energie e di cooperare tra soggetti diversi, tra imprenditori della filiera, tra imprenditori dello stesso territorio, tra pubblico e privato.
Per favorire queste due direzioni, capitale umano e aggregazione, la politica può dare un grande contributo, eliminando le rendite di posizione ed incentivando i comportamenti. In primo luogo ciò significa rivedere completamente il sostegno della PAC; oggi la maggior parte del sostegno viene erogato in base allo status storico dell’agricoltore, una rendita maturata dall’essere stato agricoltore nel periodo 2000-2002. La distribuzione del sostegno non è correlata ad alcun comportamento: non si fa differenza tra agricoltori che creano occupazione e valore aggiunto e agricoltori che disattivano l’attività agricola.
In secondo luogo, è necessario introdurre la valutazione a tutti i livelli dell’intervento pubblico, che significa valutare i progetti e i comportamenti dei beneficiari degli interventi pubblici, ma anche valutare l’efficienza e l’efficacia della politica agraria e delle sue Istituzioni. In uno slogan, il passaggio di mano “dalla rendita all’innovazione”.
Gli agricoltori devono ridefinire il loro mestiere e modificare il loro ruolo: da quello esclusivo agricolo a quello di imprenditori, con tutti i requisiti che questa funzione sottende. Ma è necessario anche un ri-posizionamento funzionale ed efficiente di tutti gli attori del sistema, di tutti i soggetti, privati e pubblici, che condizionano l’operato degli imprenditori agricoli.
Riferimenti bibliografici
- Federalimentare (2004), L’industria agroalimentare italiana, 2° rapporto Federalimentare- Ismea 2004.
- Frascarelli A. (2005), Cosa succede nelle aziende agricole dopo il disaccoppiamento?, Agriregionieuropa, Anno 1, Numero 0, Marzo 2005.
- Frascarelli A. (2006), Le scelte future per il successo delle imprese, L'Informatore Agrario, Verona, LXII, Supplemento al n. 1 del 6-12 gennaio 2006.
- Ismea (2005), Evoluzione del sistema agroalimentare italiano, Rapporto annuale 2005, Roma.
- Mazzarino S., Pagella M. (2003), Agricoltura e mondo rurale tra competitività e multifunzionalità, Franco Angeli, Milano.
- Pennacchi F., Frascarelli A., (2000), L’agricoltura umbra di fronte al cambiamento, in Note Economiche per l’Operatore, Quadrimestrale della Cassa di Risparmio di Foligno S.p.A. – Gruppo Intesa, n. 2-3, maggio-dicembre 2000, Foligno (PG).
- Pennacchi F. (2003), Politiche per un’agricoltura multifunzionale efficiente ed attrattiva per i giovani, Conferenza Europa dei Giovani Agricoltori, Ceja, Roma, 2003.
- Pretolani R. (2003), I fattori della competitività a livello aziendale, in La competitività dei sistemi agricoli italiani, Atti del Convegno di Studi SIDEA, Milano 9-11 settembre 1999, Franco Angeli Milano.
- Sotte F., Guihéneuf P. (2002), Quale agricoltura nel prossimo decennio? Riflessioni sugli scenari futuribili, Il Ponte, Firenze.
- 1. Frascarelli A. (2006), Le scelte future per il successo delle imprese, L'Informatore Agrario, Verona, LXII, Supplemento al n. 1 del 6-12 gennaio 2006.
- 2. Sotte F., P. Guihéneuf (2002), Quale agricoltura nel prossimo decennio? Riflessioni sugli scenari futuribili, Il Ponte, Firenze.
- 3. Il “paniere qualità” ha fatto registrare, nel periodo 2000-2003, un aumento del 2,3% nei consumi delle famiglie italiane; è anche da rilevare che nello stesso periodo, i consumi del “paniere time saving” sono cresciuti del 13,9% (Federalimentare, 2004).
- 4. Una flessione di simile peso percentuale ha interessato parallelamente anche l’industria alimentare. La perdita di peso dei settori a monte della filiera è andata a beneficio della ristorazione, che ha accresciuto il suo peso di circa 3 punti percentuali e, soprattutto, del commercio e dei trasporti, il cui peso percentuale si è incrementato di quasi 6 punti percentuali (Ismea, 2005).
- 5. Commento di un agricoltore all’editoriale di Angelo Frascarelli su L’Informatore Agrario n. 35/2005.
- 6. Lettera a L’Informatore Agrario n. 38/2005.