La riforma dello sviluppo rurale

La riforma dello sviluppo rurale

La strategia europea e nazionale

Uno dei principali obiettivi che l’Unione Europea ha voluto perseguire con le recenti riforme approvate è rappresentato dalla volontà di rafforzare, a livello europeo e nazionale, la visibilità e la verificabilità dell’intera Politica agricola comune (PAC), in modo da esaltare le cosiddette esternalità positive legate a tali interventi e di agganciare, per quanto possibile, gli obiettivi di sviluppo fissati nei vertici di Lisbona e Göteborg (rispettivamente competitività e ambiente).
Questa scelta risponde alle critiche che la PAC ha incontrato ed incontra nel confronto politico e culturale europeo, mira ad accrescerne l’efficacia e la visibilità, ne consente una migliore difesa in ambito World Trade Organization (WTO) e accoglie le richieste avanzate dall’Italia sin dalla fase immediatamente successiva all’approvazione di Agenda 2000: rendere più forte ed esplicito l’indirizzo della politica agricola come strumento per accrescere la qualità delle produzioni agroalimentari europee e per promuovere un modello di sviluppo equilibrato sull’intero territorio comunitario.
Si tratta, dunque, di una scelta appropriata e condivisa, da accompagnare con atteggiamenti coerenti e da riempire progressivamente di contenuti, man mano che si passa dal livello comunitario a quello nazionale e a quello regionale. Per quanto concerne lo sviluppo rurale, la riforma prevede tre livelli di programmazione che, indipendentemente dall’organizzazione costituzionale dei vari Stati membri, devono obbligatoriamente essere attuati: comunitario, nazionale e regionale.
Tale impostazione discendente, nel caso italiano trova una sua particolare forma di espressione, in coerenza con principi sanciti dagli articoli 114, 117 e 119 della Costituzione, attraverso l’attribuzione alle autorità nazionali di compiti esclusivi di indirizzo e coordinamento e, al livello regionale, della responsabilità della programmazione operativa e della successiva fase gestionale.
Il Piano strategico nazionale (Psn) diventa quindi il principale strumento per garantire flessibilità, efficienza e organicità alla politica comunitaria che sarà finanziata attraverso il nuovo Fondo europeo per lo sviluppo rurale (Feasr).
Esso non è uno strumento per riportare al centro funzioni e compiti che appartengono all’ambito regionale, quanto piuttosto il modo più semplice per il sistema Paese di rendere la programmazione comunitaria più trasparente, coordinata ed efficace.

L’esperienza della fase 2000 - 2006

La programmazione della fase 2000 – 2006 è stata disciplinata dal regolamento CE 1257/99, relativo al sostegno dello sviluppo rurale e dal regolamento CE 1260//99, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali.
In Italia, ove convivono aree caratterizzate da differenti condizioni di sviluppo, ciò ha comportato, per il solo mondo rurale, l’adozione di un doppio o triplo sistema di programmazione su base regionale, caratterizzato da sostanziali differenze tra le Regioni del Centro-Nord e quelle appartenenti all’Obiettivo 1.
E’ stato così necessario attuare 49 programmi regionali, più uno nazionale di supporto all’iniziativa Leader+, a cui si sono aggiunti 28 complementi di programmazione. Tale complessità ha generato pesanti costi amministrativi ed un generale disorientamento dei vari operatori, non sempre in grado di comprendere il significato di scelte procedurali estremamente diverse tra loro.
Per quanto concerne la velocità della spesa, i diversi modelli organizzativi hanno evidenziato performance completamente differenti (tabella 1).

Tabella 1 – Attuazione al 31 dicembre 2005 (milioni di €)

Fonte: Elaborazione MiPAF
(1) Programmi finanziati dalla Sezione Garanzia del FEOGA
(2) Programmi finanziati dalla Sezione Orientamento del FEOGA

I Piani di sviluppo rurale (PSR), supportati dalla sezione garanzia del FEOGA, hanno raggiunto livelli di spesa sensibilmente superiori a quelli degli altri programmi.
Le ragioni di tale performance sono da ricercare nella possibilità di gestire le risorse finanziarie attribuite ai PSR a livello di un bacino finanziario unico nazionale, nel cui contesto è stato possibile effettuare numerosissime compensazioni tra Regioni, massimizzando la spesa complessiva.
Con i programmi finanziati dalla sezione orientamento (Por e Leader), ove le rispettive dotazioni finanziarie sono vincolate al rispetto di rigide regole di spesa stabilite per ogni singolo programma, tutto ciò non è stato possibile.
Nonostante l’esperienza compiuta abbia dimostrato il valore aggiunto per il sistema Paese di una programmazione basata su un bacino finanziario unico, le Regioni non sono riuscite a raggiungere un accordo sulla proposta di programmazione unica nazionale, messa a punto dal MiPAF per salvaguardare gli aspetti finanziari e, al tempo stesso, mantenere in capo alle Regioni le responsabilità programmatorie e gestionali loro attribuite dall’ordinamento costituzionale.
In un certo senso, la paura di perdere autonomia, senz’altro più formale che sostanziale, ha prevalso sull’esigenza di adottare una forma di programmazione unitaria, in grado di mettere al riparo dal pericolo disimpegno le risorse che saranno assegnate tramite il Feasr al sistema Paese.

L’approccio strategico

Oltre ad aver introdotto i tre livelli di programmazione (comunitario, nazionale e regionale), il regolamento CE 1698/2005 prevede che gli interventi attuabili nella fase 2007 – 2013 debbano essere inquadrati nell'ambito di 3 Assi prioritari, a cui si aggiunge un quarto Asse metodologico relativo all’esperienza Leader.
Ad ogni Asse dovrà essere attribuita una percentuale minima di risorse programmate, pari al 10% per gli Assi 1 e 3 (rispettivamente Competitività e Diversificazione) e 25% per l'Asse 2 (Ambiente). Le spese realizzate attraverso l'approccio Leader dovranno corrispondere almeno al 5% del totale programmato.
Se si analizza la programmazione 2000 - 2006 utilizzando la griglia offerta dai suddetti 3 Assi prioritari, emerge che in Italia le quote minime sarebbero state rispettate senza particolari problemi.
Analizzando però lo stesso tipo di dato al livello regionale, emergono una serie di difficoltà a superare la soglia minima per il terzo Asse, riscontrate in ben nove Regioni; di queste però solo per la Lombardia lo scarto dalla soglia minima è particolarmente consistente (5 punti percentuali). La Regione Campania, che ha utilizzato risorse Feoga-garanzia in quantità notevolmente inferiori a quelle della sezione orientamento, ha invece destinato all'Asse Ambiente una quota di risorse inferiore di 10 punti al minimo previsto.

Territorializzazione e integrazione

L’esperienza delle passate e dell’attuale programmazione ha evidenziato che l’efficacia dei vari interventi è tanto superiore quanto più questi sono concentrati a livello territoriale.
L’analisi dei rapporti di valutazione di metà percorso ha inoltre messo in evidenza che l’aspetto territoriale è troppo spesso sottovalutato e che un ricorrente fattore di criticità è rappresentato proprio dall’eccessiva dispersione degli interventi su territori estremamente vasti.
Da ciò consegue la necessità, per la futura programmazione, di individuare specifiche priorità territoriali, su cui diversificare gli interventi in ragione delle diverse problematiche da risolvere. Una possibile griglia per l’individuazione di priorità territoriali comuni può essere rappresentata dalla proposta contenuta nella bozza di Piano strategico nazionale discussa nel Tavolo di partenariato nazionale.
Essa prevede la classificazione del territorio nazionale in quattro grandi categorie:

  1. aree rurali limitrofe ai centri urbani e alle grandi aree metropolitane;
  2. aree rurali a forte valenza ambientale e paesaggistica;
  3. aree ad agricoltura specializzata e organizzate in sistemi e/o filiere localizzate;
  4. aree rurali fortemente interessate da processi di perdita di competitività e/o di abbandono.

Tra gli elementi qualificanti di tale metodologia, oltre ad avere il vantaggio di essere adattabile alle diverse realtà territoriali del Paese, non secondario è il fatto che essa può essere adottata anche dal Quadro strategico nazionale (Qsn), previsto dalla riforma delle politiche di coesione, in base al quale saranno predisposti i futuri programmi operativi per le regioni appartenenti all’Obiettivo convergenza e a quelle dell’Obiettivo competitività.
L’aspetto integrazione tra sviluppo rurale e politiche di coesione è infatti uno degli elementi qualificanti che devono necessariamente caratterizzare la futura programmazione.
Una delle forme per assicurare complementarietà tra Fondi strutturali e sviluppo rurale è sicuramente quella di fissare principi comuni di lettura del territorio ed appropriati sistemi di demarcazione che, in ciascun programma, consentano di definire a monte le azioni finanziabili dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) e dal Fondo sociale europeo (Fse) e quelle da finanziare con il Feasr.
Solo a titolo d’esempio, una volta delimitate le aree ed individuate le priorità di intervento, il Feasr potrebbe concentrare la sua attenzione nei confronti dell’azienda agricola, mentre le risorse Fesr e Fse potrebbero essere indirizzate prevalentemente alla popolazione e alle imprese non agricole.
Per gli interventi di grande portata, come le grandi infrastrutture nel campo dei trasporti, le opere irrigue e di invaso, le reti di infrastrutturazione, la ricerca in campo agricolo, dovrebbe essere il Fesr a farsene carico, mentre per le infrastrutture di livello locale, le opere irrigue aziendali e la dotazione della strumentazione aziendale per le telecomunicazioni, sarà compito del Feasr intervenire a sostegno degli investimenti.
Per realizzare tutto ciò, oltre a condividere preventivamente criteri di delimitazione delle aree e modalità di intervento, è sicuramente necessario pretendere dalle amministrazioni coinvolte nella gestione dei futuri programmi un salto di qualità in termini di governance, per evitare di avere nuovamente a che fare con programmi che, pur qualificanti nella parte di analisi, risultano assolutamente privi di scelte strategiche, capaci solo di riproporre interventi a pioggia diluiti sull’intero territorio regionale di scarsa utilità.

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