Introduzione
Nel gergo degli addetti ai lavori, il “Primo Pilastro” della Politica agricola comune (PAC) rappresenta l’insieme di strumenti di politica agraria che hanno a che fare col sostegno dei prezzi dei prodotti agricoli e con l’integrazione diretta dei redditi degli agricoltori. Il “Secondo Pilastro” riguarda invece le misure relative allo sviluppo rurale. Da quando, negli anni ’60, la PAC è stata introdotta negli allora sei paesi membri dell’Unione europea (UE), il primo pilastro ne è sempre stato il nucleo centrale, è lo è sicuramente anche oggi, visto che impegna ancora circa il 75% delle risorse che il bilancio UE destina alla PAC.
Com’è noto, gli strumenti che caratterizzano il primo pilastro della PAC si sono modificati radicalmente nel tempo, come risultato delle diverse riforme che si sono succedute, specialmente a partire dagli anni ’90. Dalla struttura originaria, fondata su strumenti accoppiati (prezzi garantiti) e interventi sul commercio, che aveva favorito l’accumulo di eccedenze e l’esplosione dei costi, con la riforma MacSharry del 1992, che ha introdotto aiuti per ettaro o per capo allevato e la riduzione delle garanzie di prezzo, si è iniziato un processo di disaccoppiamento del sostegno, completatosi poi con la riforma Fischler del 2003 e con la “Health Check” del 2008. Infatti, la stragrande maggioranza degli aiuti diretti previsti dalle diverse Organizzazioni comuni di mercato (OCM), è stata convertita in un Pagamento unico aziendale (PUA) calcolato su base storica, senza nessun vincolo relativo alle attività produttive praticate in azienda, anche se legato comunque alla disponibilità di terra. L’unico requisito richiesto agli agricoltori per l’erogazione degli aiuti è la cosiddetta “cross-compliance”, cioè l’obbligo di ottemperare ad una serie di norme europee riguardanti la salvaguardia del territorio, la salubrità dei prodotti e il benessere animale.
Questa sequenza di riforme ha modificato radicalmente la struttura del bilancio della PAC: basti pensare che gli aiuti disaccoppiati oggi assorbono da soli ben il 57% del budget agricolo complessivo dell’UE. E il trend che ha caratterizzato gli ultimi anni sembra sia destinato a continuare nel futuro. Infatti, dalle proposte che la Commissione europea ha presentato a Novembre 2010, relative al futuro della PAC dopo il 2013, risulta chiaro come gli aiuti disaccoppiati, anche se potenzialmente modificati nei criteri di erogazione e nella distribuzione tra aziende, continueranno a costituire il principale strumento di sostegno dei redditi dei produttori agricoli europei. Questo implica chiaramente che i ricercatori interessati a studiare l’impatto delle politiche agricole non potranno prescindere, anche nei prossimi anni, dall’analizzare nel modo più approfondito possibile l’impatto dei pagamenti disaccoppiati, e in particolare del PUA, sulle scelte delle imprese agricole.
I problemi di ricerca aperti
Fin dalla loro introduzione come strumenti concreti di politica agraria, prima negli USA, con il Farm Bill del 1996, e poi nell’UE, con la riforma Fischler del 2003, il quesito di ricerca centrale riguardante i pagamenti disaccoppiati è stato se abbiano o meno un impatto sulla produzione di commodity agricole. Questa è senza dubbio la domanda di ricerca più naturale, in quanto il principio del disaccoppiamento fa riferimento all’erogazione di aiuti diretti che non creino alcuna distorsione nei mercati interessati. Si tratta inoltre di un quesito con forti implicazioni politiche, in quanto sia gli USA che l’UE includono i loro pagamenti nella cosiddetta “green-box”, che, nell’attuale disciplina commerciale della World Trade Organisation (WTO), implica che questi aiuti siano esentati da qualunque obbligo di riduzione.
La difficoltà di rispondere a questa domanda fondamentale è dimostrata dal fatto che, nei primi studi che sono stati effettuati per simulare l’impatto dell’introduzione del PUA sui mercati agricoli europei e mondiali, i modelli usati correntemente per questo tipo di simulazioni hanno dovuto ricorrere ad una semplificazione fortissima, consistente nell’assunzione di un “grado di disaccoppiamento” del PUA, compreso tra 0 (disaccoppiamento totale) e 1 (effetto corrispondente ad un equivalente sostegno dei prezzi) e fissato in modo arbitrario. Dall’analisi di questa letteratura (Gohin 2006; Balkhausen et al. 2008) emerge chiaramente come i risultati delle simulazioni siano estremamente sensibili a questa assunzione, che richiede dunque di essere fondata su risultati scientifici più probanti.
Il problema è quindi quello di individuare quali meccanismi possano potenzialmente generare un impatto degli aiuti disaccoppiati sulle decisioni produttive degli agricoltori, sia su quanto produrre che su cosa produrre. Il lavoro pubblicato ormai una decina di anni fa dall’OECD (2001) aveva già individuato alcuni possibili meccanismi attraverso i quali i pagamenti disaccoppiati avrebbero potuto avere un impatto sulle decisioni dei produttori. Il primo meccanismo è quello relativo all’impatto degli aiuti sul rischio di reddito. Com’è noto, l’attività agricola implica l’assunzione di rischi rilevanti riguardanti la componente dei ricavi delle aziende, sia per l’incertezza legata alle quantità prodotte, sia per la volatilità dei prezzi delle commodity. Un risultato classico della letteratura economica sancisce che, se i produttori agricoli sono avversi al rischio, e se la loro avversione al rischio decresce con l’aumentare della ricchezza monetaria, un pagamento disaccoppiato può generare un aumento della produzione (Hennessy, 1998), sia attraverso il cosiddetto “effetto ricchezza” (l’aiuto, aumentando la ricchezza monetaria disponibile, renderà gli agricoltori più propensi ad assumersi il rischio di produrre), che attraverso il cosiddetto “effetto assicurazione” (se l’aiuto disaccoppiato riduce la variabilità del reddito agricolo, i produttori saranno di nuovo più disponibili ad assumersi i rischi dell’attività produttiva).
Il secondo meccanismo è quello relativo all’impatto degli aiuti sulla capacità delle aziende agricole di ottenere credito, sia a breve che a lungo termine. Poiché gli aiuti disaccoppiati costituiscono una fonte “sicura” di reddito per gli agricoltori, questo può rafforzare la loro posizione nei confronti dei soggetti deputati all’erogazione del credito (in primis le banche), il che potrebbe portare a vantaggi di varia natura quali l’innalzamento dei massimali di erogazione o una riduzione dei tassi d’interesse a debito; in questo caso, la maggiore disponibilità di credito potrebbe allentare i vincoli ad un impiego sub-ottimale degli input, aumentando la produzione. Inoltre, poiché è ragionevole ipotizzare che il credito serva a finanziare in modo particolare operazioni di investimento, riguardanti fabbricati, macchinari e tecnologie, è altrettanto ragionevole immaginare che questo possa avere un effetto sulla produttività delle aziende nel lungo termine, e quindi rafforzare l’incremento della produzione agricola.
Il terzo meccanismo è quello relativo alla scelta se continuare o meno l’attività agricola, specialmente se l’erogazione dei premi è in qualche modo legata allo status di produttore agricolo, e quindi alla prosecuzione dell’attività produttiva. Ipotizzando che gli agricoltori decidano razionalmente, e quindi escano del mercato solo quando i ricavi sono inferiori ai costi, è evidente che un’integrazione diretta dei redditi, come appunto un aiuto disaccoppiato, possa spingere le aziende a rimanere sul mercato anche se operano in condizioni di inefficienza, ovvero quantomeno a non cessare del tutto l’attività agricola. Questo meccanismo tende quindi a rallentare il processo di aggiustamento strutturale del settore (uscita dal mercato delle aziende inefficienti e rafforzamento di quelle più competitive). L’impatto complessivo sul settore non è chiaro: da una parte, la mancata uscita di imprese dal settore potrebbe produrre un impatto positivo sulla produzione, dall’altra, invece, la permanenza di imprese marginali, meno efficienti, frenando la ristrutturazione impedisce l’ammodernamento delle strutture e quindi limita la produttività complessiva.
Un quarto meccanismo fa invece riferimento al legame che esiste, sia negli USA che nell’UE, tra l’erogazione degli aiuti disaccoppiati e il possesso di terra. Trattandosi di aiuti erogati annualmente per un numero di anni imprecisato, il loro valore dovrebbe essere capitalizzato nei valori fondiari, e quindi nei corrispondenti canoni d’affitto. Questo ha un impatto potenzialmente molto forte sul mercato di un fattore di produzione cruciale per l’agricoltura, come la terra, e implica che i beneficiari dei provvedimenti di politica agraria (i proprietari terrieri) possano essere anche al di fuori del settore. Inoltre, l’aumento dei prezzi della terra si ripercuote sulla mobilità fondiaria, rendendo più oneroso l’acquisto di terra e dunque l’entrata nel settore e/o l’espansione dell’attività agricola.
Un quinto meccanismo ha a che fare con un altro fattore di produzione molto importante, il lavoro agricolo familiare. In generale, prendendo a riferimento modelli di produzione familiare, l’erogazione di sussidi disaccoppiati dovrebbe ridurre l’intensità di utilizzo del fattore lavoro familiare, o, in alternativa, grazie alla riduzione dei rischi, dovrebbe ridurre la prestazione di lavoro extra-aziendale, considerata tradizionalmente una fonte di diversificazione dei redditi della famiglia rurale.
Un sesto meccanismo, in parte già menzionato, coinvolge invece le decisioni di lungo periodo dell’azienda, in particolare quelle relative agli investimenti. Un altro risultato classico della letteratura economica si riferisce al fatto che, se il mercato dei capitali presenta delle imperfezioni (tassi di interesse differenziati a seconda dei soggetti coinvolti; limitazioni al credito; legislazioni restrittive relative all’esposizione debitoria e ai fallimenti,…), l’erogazione di pagamenti disaccoppiati può stimolare gli investimenti aziendali e, nel medio termine, dare luogo ad un aumento stabile della produttività agricola. Inoltre, gli stessi aiuti possono influenzare la naturale ritrosia ad investire che caratterizza tutte le imprese, derivante dal cosiddetto “valore di opzione”, cioè dalla convenienza a posticipare le decisioni al momento in cui vengano rese disponibili nuove informazioni ritenute rilevanti per l’investimento in questione (Dixit e Pindyck, 1994).
Infine, un ruolo non irrilevante lo possono giocare le aspettative relative all’evoluzione dei provvedimenti di politica agraria. I pagamenti disaccoppiati attualmente erogati sia negli USA che nell’UE sono calcolati sulla base di parametri storici. L’ipotesi che questi parametri possano essere aggiornati (come è successo per le superfici e le rese di riferimento che stanno alla base dei sussidi statunitensi) può condizionare le scelte dei produttori agricoli, che potrebbero privilegiare quelle produzioni su cui vengono calcolati i pagamenti.
Le risposte della letteratura e i possibili sviluppi
Da una recente rassegna della letteratura teorica ed empirica relativa a queste tematiche (Moro e Sckokai, 2011) risulta chiaramente come le risposte alla domanda di ricerca fondamentale riguardante l’impatto dei pagamenti disaccoppiati sulle decisioni produttive degli agricoltori siano state soltanto parziali.
I lavori pubblicati negli ultimi anni sono in gran parte costituiti da casi di studio analizzati a partire da dati aziendali e, tipicamente, prendono in considerazione uno o più dei meccanismi illustrati in precedenza per valutarne l’impatto potenziale sulle scelte delle aziende. Questo approccio sembra coerente con l’idea che questi meccanismi abbiano a che fare con le scelte individuali, e che quindi possano essere analizzati compiutamente solo in questo contesto, in quanto i modelli aggregati costringerebbero il ricercatore a fare assunzioni troppo restrittive. Molti di questi studi si soffermano inoltre sull’impatto dei criteri di calcolo ed erogazione degli aiuti, che sono molto diversificati e che possono condizionare pesantemente il loro impatto concreto. Infine, un’altro elemento che li caratterizza è che, almeno per quanto riguarda gli studi relativi all’UE, essi sono condotti a partire da dati che riguardano il periodo antecedente il 2005, anno di avvio dell’applicazione del PUA, per cui i risultati derivano tipicamente da simulazioni che utilizzano parametri riferiti ad un sistema di incentivi completamente diverso. In questo caso, quindi, la necessità di analizzare ex post l’impatto del PUA, così come è stato fatto, almeno in parte, per il caso statunitense, è sicuramente un’esigenza ineluttabile.
L’insufficienza delle risposte fornite fino ad oggi dalla letteratura può essere compresa analizzando uno alla volta i meccanismi discussi in precedenza. Ad esempio, gli studi relativi all’impatto dei pagamenti sul rischio di reddito hanno già raggiunto importanti risultati, evidenziando come l’effetto “ricchezza” tenda ad essere molto limitato, mentre può essere molto più significativo l’effetto “assicurazione”, se gli aiuti incidono sulla volatilità dei redditi. Al tempo stesso, però, diversi studi hanno messo in discussione la metodologia adottata per raggiungere questi risultati, per cui, nei prossimi anni, ci si attende una nuova serie di lavori che, affinando la metodologia, siano in grado di fornire risposte più conclusive.
La stragrande maggioranza degli studi riguardanti l’impatto delle limitazioni al credito, delle decisioni di uscita dal mercato delle aziende, della capitalizzazione degli aiuti nei valori fondiari e della riallocazione del lavoro agricolo fanno riferimento alla realtà statunitense. Anch’essi hanno raggiunto alcune conclusioni rilevanti: ad esempio, l’impatto delle limitazioni al credito sembra essere particolarmente significativo, così come il rallentamento del processo di ristrutturazione del settore derivante dalla permanenza sul mercato di aziende inefficienti, mentre la capitalizzazione degli aiuti nei valori fondiari sembra essere soltanto parziale, probabilmente per effetto dei vincoli che condizionano l’erogazione degli aiuti (ad esempio la cross-compliance). Resta comunque in gran parte da verificare se questi risultati siano confermati nella realtà europea, dove tra l’altro l’estrema diversificazione delle situazioni nei singoli Stati membri rende necessario analizzare con attenzione i vari contesti locali.
Infine, gli studi relativi all’impatto degli aiuti sugli investimenti aziendali hanno portato a risultati molto contrastanti: alcuni sembrano individuare un impatto limitato, altri invece concludono che, nel lungo termine, i pagamenti disaccoppiati possano portare a forti variazioni della produttività delle aziende. Nel complesso, quindi, questi risultati rendono sicuramente necessario condurre ulteriori approfondimenti in tutte le aree analizzate in precedenza. Al tempo stesso però, è altrettanto importante che vengano analizzati altri temi che, fino ad ora, sono stati oggetto di scarsa attenzione. Un primo tema di grande interesse è il potenziale effetto dei pagamenti disaccoppiati sull’impatto ambientale delle attività agricole. Se fino ad ora ci si è interessati soprattutto all’impatto degli aiuti sull’uso della terra, e alla potenziale capitalizzazione degli stessi nei valori fondiari, è altrettanto interessante verificarne l’impatto su input cruciali come l’acqua irrigua o i prodotti chimici. Un altro tema di analisi riguarda la possibile ridistribuzione del PUA tra aree e beneficiari, vista l’obiettivo di fondo di una maggiore uniformità dei pagamenti contenuto nelle recenti proposte di riforma; la conoscenza dei meccanismi mediante i quali gli aiuti diretti agiscono sulle scelte produttive è importante per valutare l’impatto di una eventuale ridistribuzione degli aiuti. A questo problema si collega un altro aspetto che è quello della modulazione, che comporta un taglio progressivo degli aiuti, spostando risorse nel secondo pilastro.
Infine, un tema sostanzialmente inesplorato, ma che è stato fortemente enfatizzato nella comunicazione della Commissione sulla PAC post-2013, è quello relativo all’impatto dei pagamenti disaccoppiati sulla filiera agro-alimentare e sulla distribuzione del valore aggiunto tra i vari attori della stessa filiera. In questa area di ricerca gioca un ruolo fondamentale la struttura non concorrenziale dei mercati nei settori della trasformazione e soprattutto della distribuzione alimentare, mentre tutti gli studi relativi all’impatto delle politiche agricole tendono ad assumere che i mercati siano perfettamente concorrenziali. Le poche evidenze disponibili sembrano indicare come l’eventuale potere di mercato esercitato da questi soggetti possa, in generale, influenzare significativamente l’impatto delle politiche (Soregaroli et al., 2011). Rimane inoltre aperto il quesito se, in presenza di strutture di mercato non concorrenziali nella filiera agro-alimentare, gli aiuti disaccoppiati costituiscano ancora lo strumento ottimale per sostenere il reddito degli agricoltori. Su questo punto, la ricerca sia teorica che empirica non ha ancora prodotto risultati conclusivi.
Nell’affrontare questa complessa agenda di ricerca, gli economisti agrari non dovrebbero però perdere di vista quello che è uno degli obiettivi fondamentali delle loro analisi, e cioè la generalizzazione, a livello aggregato, dei risultati riguardanti casi di studio analizzati con dati individuali. Il fatto che molti degli studi europei utilizzino la banca dati europea FADN (Farm Accounting Data Network) costituisce un buon punto di partenza, in quanto le aziende presenti in questo database sono soggette ad un sistema di pesi che vengono calcolati sulla base della loro rappresentatività nella popolazione di riferimento e che possono servire per impostare un metodo rigoroso di riporto all’universo dei dati campionari. E’ dunque possibile che questi studi forniscano i parametri che servono a sviluppare simulazioni più accurate dell’impatto dei pagamenti disaccoppiati sul mercato globale.
Riferimenti bibliografici
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Balkhausen, O., Banse, M. and Grethe, H. (2008). Modelling CAP Decoupling in the EU: A Comparison of Selected Simulation Models and Results. Journal of Agricultural Economics 59: 57–71
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Dixit, A.K. and Pindyck, R.S. (1994). Investment Under Uncertainty. Princeton: Princeton University Press
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Gohin, A. (2006). Assessing CAP Reform: Sensitivity of Modelling Decoupled Policies. Journal of Agricultural Economics 57: 415-440
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Hennessy, D. A. (1998). The Production Effects of Agricultural Income Support Polices Under Uncertainty. American Journal of Agricultural Economics 80: 46-57
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Moro, D., Sckokai, P. (2011). The impact of the CAP ‘pillar I’ support on farm choices: conceptual and methodological challenges. Paper presentato al 122 EAAE Seminar, "Evidence-based agricultural and rural policy making: methodological and empirical challenges of policy evaluation, Ancona, 17-18 Febbraio, 2011
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OECD (2001). Decoupling: A conceptual overview. Paris: OECD
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Soregaroli, C., Sckokai, P. and Moro, D. (2011). Agricultural policy modelling under imperfect competition. Journal of Policy Modeling 33: 29-52