L’hobby farming in Italia: evidenze e prospettive

L’hobby farming in Italia: evidenze e prospettive

Introduzione

L’idea di approfondire un tema di “confine” per il sistema primario italiano quale quello dell’agricoltura amatoriale prende spunto da diverse ragioni. In primo luogo, l’analisi dei dati statistici ufficiali riferiti alla superficie agricola italiana, se confrontati nell’arco di tempo che va dal 1970 al 2000, mostra una forte contrazione della Superficie Agricola Utilizzata (SAU), che tuttavia non implica che quel tipo di superficie abbia cambiato completamente destinazione (diventando residenziale, commerciale, ecc.). Questa considerazione si basa sull’analisi della metodologia di rilevazione della SAU nelle statistiche di settore, la quale non considera la tipologia d’uso delle superfici bensì la figura del proprietario1 (Istat, 2004); in altre parole, se un terreno agricolo non è (più) di proprietà o in possesso (ad esempio tramite l’affitto) di un imprenditore agricolo in qualche modo può “sfuggire” alla rilevazione statistica. Tale valutazione viene in parte suffragata dalle risultanze di un’altra fonte relativa al progetto europeo Corine Land Cover (CLC), che fornisce dati sull’uso e sulla copertura del suolo derivanti dall’interpretazione di immagini satellitari, compresi i valori di SAU (APAT, 2005). Gli “indizi” statistici sono stati successivamente verificati attraverso la ricognizione dei più importanti contributi disponibili sul tema dell’agricoltura hobbistica (Barberis, 2009; Boyd, 1998; INEA, 2009), allo scopo di contestualizzare le valutazioni rispetto alle evidenze principali già disponibili in letteratura. Infine, accertato che al momento in Italia non esiste una definizione/classificazione di coloro che dedicano il proprio tempo libero all’agricoltura, gli obiettivi di analisi che ci si è posti hanno riguardato l’approfondimento informativo a livello nazionale, tramite l’ausilio di un’indagine diretta, della figura dell’hobby farmer, ossia di tutti quei soggetti esterni all’attività agricola (in termini di tempo e reddito) che dedicano il proprio tempo libero alla coltivazione di un fondo agricolo, con lo scopo ultimo di provare ad evidenziarne i principali tratti caratteristici. Inoltre, una volta individuati i profili di queste nuove figure di utenti degli spazi rurali e le relative motivazioni che spingono ad esercitare tale attività, si è proceduto a stimare l’impatto economico legato a questi soggetti2 nonché i risvolti di carattere ambientale che le attività di coltivazione del fondo possono determinare, anche se effettuate esclusivamente a fini hobbistici.

La verifica delle informazioni disponibili

I valori di SAU rilevati dall’Istat nel 1990 e nel 2000 se confrontati con la base informativa derivante dal Corine Land Cover per lo stesso periodo di tempo e riferiti sempre alla SAU, lasciano emergere lo scenario sintetizzato in figura 1.

Figura 1Superficie Agricola Utilizzata (SAU) rilevata dall’Istat e dal CLC (.000 ettari)

Fonte: elaborazioni Nomisma su dati Istat e APAT.

Il Censimento Generale dell’Agricoltura (CGA) indica nel periodo intercensuario 1990-2000 un calo di SAU di quasi 1,8 milioni di ettari, mentre il Corine Land Cover evidenzia una riduzione di SAU di poco superiore a 140.000 ettari. Al di là dei possibili e concreti casi di abbandono, è difficile immaginare che ben oltre 1,5 milioni di ettari (parte della differenza tra la SAU del CGA 1990 e 2000) siano stati tutti destinati ad altri usi, come ad esempio residenziali o infrastrutturali.
Come interpretare quindi la forte contrazione di SAU messa in luce dai Censimenti agricoli? Il raffronto tra le basi informative citate potrebbe suggerire che la SAU (o parte di essa) non più rilevata dal Censimento Istat non ha cambiato destinazione, ma solo possessore, passando da un agricoltore ad un altro soggetto “estraneo”, da un punto di vista lavorativo, al settore primario.
Questa “provocazione” trova parziali conferme, sia con riferimento ad indagini nazionali più o meno specifiche che nella letteratura sociologico-rurale (Barberis, 2009; INEA, 2009). Infatti, dall’indagine multiscopo sulle famiglie “I cittadini e il tempo libero” effettuata dall’Istat, emerge come nel 2006 il 37% di persone con 11 anni e più affermava di praticare nel tempo libero attività di cura dell’orto o di fare del giardinaggio (Istat, 2008).
Al tempo stesso, un’analoga indagine svolta da Nomisma in collaborazione con Demetra finalizzata a verificare l’eventuale maggior diffusione di tale attività tra le famiglie italiane in tempi più recenti ha effettivamente messo in luce come, nel 2009, tale percentuale sia sensibilmente cresciuta (coinvolgendo il 41% della popolazione).
Ancora, un recente contributo ha proposto un “ri-esame” dei dati di superficie agricola, parlando nel contempo di “analfabetismo statistico” quando si attribuisce a cementificazione la parte di aree che non sono più collocabili nel settore agricolo: “assumere la differenza fra le superfici agricole tra l’uno e l’altro Censimento come misura dell’urbanizzazione è indice di un analfabetismo statistico” (Barberis, 2009). Su questo solco il lavoro citato propone una stima della SAU al 2010 che, secondo tale fonte, diverrebbe pari a 12,7 milioni di ettari. Dunque, tra l’inizio degli anni ’80 e il 2010 la SAU avrebbe subito una contrazione di oltre 3 milioni di ettari, “ma non per questo si tratta di 3 milioni di ettari cementificati” (Barberis, 2009).
Queste evidenze più o meno indirette, testimoniano come un numero crescente di italiani dedichi una parte significativa del tempo libero alla cura dell’orto e come la diminuzione della SAU negli intervalli intercensuari non significhi automaticamente cementificazione. Ciò induce ad ampliare il campo di indagine e verificare a livello internazionale il fenomeno dell’agricoltura amatoriale, al fine di comprendere se anche in altri paesi è possibile individuare nuove forme di gestione e nuovi fruitori degli spazi rurali.
Le verifiche condotte non consentono tuttavia di pervenire ad un quadro omogeneo in ambito internazionale, sia perché l’agricoltura amatoriale va contestualizzata nell’ambito del più ampio sistema primario – e delle sue peculiarità strutturali - sia in ragione del fatto che in molti Stati (es. Germania) la diffusione degli orti sociali appare significativa e, quando presenti, gli approfondimenti informativi sono spesso legati a questo tema piuttosto che al possesso e alla cura di un terreno agricolo (Holmer et al., 2005).
In questo quadro tuttavia i casi più interessanti si segnalano nel Regno Unito e in Canada, dove l’agricoltura amatoriale trova una sua specifica collocazione. In particolare, nel Regno Unito una recente indagine (RICS3) ha evidenziato come siano in crescita esponenziale gli acquisti di edifici rurali con 8-20 ettari di pertinenza agricola da parte di coloro che vivono l’attività agricola come un passatempo e non come un’impresa, mettendo in luce un interesse nuovo verso stili e comportamenti di vita particolari (Newlands, 2006).
In Canada, invece, uno studio realizzato dalla Divisione Agricoltura dell’ufficio statistico nazionale individua una particolare categoria di agricoltori con finalità hobbistiche all’interno del Censimento agricolo come coloro che hanno svolto almeno 190 giornate di lavoro fuori azienda durante l’anno e, nello stesso periodo, non hanno impiegato manodopera salariata; secondo lo studio, il 60% degli hobby farmer registra redditi aziendali netti negativi (Boyd, 1998).
A prescindere dalle specifiche forme di classificazione in ambito internazionale, che riconoscono o meno questo fenomeno nel più ampio panorama delle statistiche agricole, è interessante segnalare come anche in altri contesti l’agricoltura esercitata come hobby nel tempo libero sia soggetta ad un interesse crescente da parte della società civile.

Metodologia di analisi e valutazione

Tenuto conto che non esiste una definizione ed un inquadramento classificatorio di coloro che per passione si dedicano alla coltivazione di un fondo agricolo (di proprietà o in affitto/uso gratuito) e dunque neanche un patrimonio informativo direttamente collegabile, si è deciso di indagare il fenomeno ricorrendo ad una metodologia indiretta. In particolare, per poter raccogliere informazioni utili agli obiettivi di analisi è stato somministrato un questionario agli abbonati della rivista “Vita in Campagna”, un mensile che da oltre due decenni dedica spazio e approfondimento informativo per coloro che vivono la ruralità e la campagna come una passione.
Pur riconoscendo i limiti di un tale approccio di analisi basato su una fonte informativa “parziale”, si è ritenuto che gli elementi conoscitivi che ne potessero derivare fossero comunque in grado di offrire un’istantanea sufficientemente esplicativa del fenomeno dell’agricoltura amatoriale, sulla cui base, poter successivamente affinare la metodologia di analisi e classificazione.
Il questionario di indagine inviato in allegato alla rivista4 è stato strutturato in diverse sezioni, ognuna volta ad approfondire un ambito ben preciso; le sezioni possono essere così schematizzate:

  • informazioni relative al terreno coltivato (forma di possesso, estensione, localizzazione, principali destinazioni produttive, ecc.);
  • motivazioni che hanno determinato la volontà di intraprendere l’attività di coltivazione di un fondo agricolo per fini amatoriali e giudizio in merito alle “esternalità” che un tale impegno determina dal punto di vista ambientale;
  • tempi e modalità collegati all’impegno di coltivazione amatoriale;
  • ricognizione dei canali di offerta più significativi, input acquistati ed utilizzati, stima della spesa media e grado di soddisfazione in merito a prodotti e attrezzature possedute;
  • individuazione delle principali fonti e modalità informative alla base delle attività poste in essere;
  • profilo socio-demografico.

Oltre a queste informazioni il questionario prevedeva anche alcune domande di “controllo”, come ad esempio se l’intervistato fosse mai stato contattato dall’Istat per la compilazione del questionario del CGA.
Il questionario ha visto un ottimo tasso di risposta e, nel mese di riferimento adottato per l’invio e la restituzione, sono stati compilati 4.000 questionari. Le informazioni sono state dapprima codificate e inserite in un database su cui poter effettuare delle elaborazioni statistiche e successivamente, tramite l’analisi della banca dati così creata, è stato possibile definire il profilo degli hobby farmer italiani.

I principali risultati dell’indagine diretta

Le evidenze provenienti dall’analisi hanno messo in luce la presenza di un insieme di soggetti fortemente differenziato, anche se con presenza di tratti simili in rapporto ad alcune motivazioni che guidano la nascita e il “governo” dell’agricoltura amatoriale.
La categoria degli hobby farmer risulta infatti molto eterogenea dal punto di vista occupazionale; le principali categorie fanno riferimento a pensionati, impiegati, operai ma anche dipendenti pubblici, liberi professionisti e lavoratori autonomi. Si tratta nella maggior parte dei casi di uomini (89%), con un’età media di 56 anni e con un grado di istruzione medio alto (il 21,6% è laureato e il 46,3% possiede un diploma di licenza media superiore). Le componenti della società civile coinvolte risultano dunque differenziate e non schiacciate su una specifica dimensione.
L’attività di coltivazione hobbistica è esercitata su terreni di proprietà (nel 92% dei casi), localizzati per lo più in collina (53,3%) e montagna (8,3%), la cui estensione media è tutt’altro che trascurabile: 1,2 ettari spesso anche con presenza di parti a bosco. Tuttavia, l’analisi della distribuzione del terreno per classi di ampiezza dimensionale (tabella 1) evidenzia come la gran parte dei terreni (64%) ricada nella categoria fino a 0,6 ettari di superficie (posseduti soprattutto da operai e pensionati), anche se il 24% mostra dimensioni maggiori di un ettaro (in capo maggiormente a liberi professionisti e dipendenti pubblici).

Tabella 1 – Distribuzione dei terreni per classe dimensionale

Fonte: elaborazioni Nomisma su dati indagine diretta.

Le produzioni poste in essere risultano diversificate e orientate verso prodotti “facilmente fruibili”, anche se circa il 40% dichiara di praticare una qualche forma di allevamento e dunque di destinare a tali pratiche un impegno non marginale. Le produzioni più comuni riguardano la coltivazione di ortaggi (88,6%), frutta (65%), vite (34,3%) e olivo (32,3%), in molti casi (72%) accompagnate anche da processi di trasformazione (confetture e marmellate, conserve, vino, olio) ovviamente su piccola scala. Il tempo necessario per realizzare queste attività è rilevante e determina un impegno medio di circa 10 ore a settimana, anche se in parecchi casi supera di molto questo limite (tabella 2).

Tabella 2 – Tempo dedicato all’attività di coltivazione amatoriale

Fonte: elaborazioni Nomisma su dati indagine diretta.

A testimonianza del fatto che chi svolge agricoltura amatoriale è decisamente convinto del proprio impegno basti pensare che mediamente i terreni sono coltivati da quasi 20 anni. Contestualmente la proiezione futura per i prossimi 10 anni è quella di mantenerlo allo stato attuale se non di ampliarlo o apportare una qualche forma di miglioramento (solo il 2,6% dichiara di volerlo vendere). Neppure i negativi aspetti congiunturali che permangono ormai da più di un anno sembrano aver influenzato in alcun modo le scelte relative alla volontà di continuare o disattivare la produzione amatoriale, evidenziando in tal modo come questa attività risulti slegata dagli effetti del ciclo economico.
Per quanto riguarda la destinazione delle produzioni ottenute, siano esse trasformate o meno, si evidenzia come vi sia un quasi esclusivo autoconsumo familiare/amicale: oltre il 95% dichiara di autoconsumare o regalare ad amici e parenti i prodotti ottenuti. L’obiettivo degli hobby farmer non è infatti lo sfruttamento del terreno per l’ottenimento di un reddito, ma riguarda motivazioni (extra-economiche) di benessere personal, sociale e psicofisico che l’attività agricola può determinare quando condotta esclusivamente per hobby, oltre ovviamente alla generazione di benefici e vantaggi ambientali, di tipo collettivo, che derivano dalla gestione sostenibile degli spazi agricoli/rurali.
Infatti, nonostante alcuni elementi di diversità, tutti i rispondenti sono accomunati dalla passione per la coltivazione di un fondo agricolo per puro scopo “extra-mercantile” (senza cioè l’obiettivo di ricavarne un reddito), come ad esempio la possibilità di esercitare attività all’aria aperta, consumare prodotti più sani e genuini, così come dalla volontà di valorizzare un terreno acquistato o ereditato.
Dal punto di vista strettamente economico poi, le attività praticate tendono a configurarsi come una fonte di costo più che di reddito. Più in dettaglio, sebbene si tratti di pratiche hobbistiche, queste determinano comunque la necessità di utilizzare input “classici” (tabella 3), come ad esempio sementi, concimi, agrofarmaci, mangimi, ecc., che vengono acquistati sullo stesso mercato cui si rivolgono gli imprenditori agricoli.

Tabella 3 – Principali input acquistati per la coltivazione del fondo agricolo

Fonte: elaborazioni Nomisma su dati indagine diretta.

I canali di fornitura per l’acquisto di prodotti necessari alla coltivazione sono essenzialmente due: consorzi agrari e rivendite specializzate. Per cui, anche se si tratta di un hobby, gli “elementi propedeutici” alla sua realizzazione sono gli stessi (ovviamente con scala molto ridotta) dell’agricoltura esercitata in forma di attività economica. Proprio per queste ragioni, ossia la necessità di utilizzare gli stessi canali di offerta dell’agricoltore professionale, il grado di soddisfazione degli hobby farmer rispetto al sistema di fornitura complessivo è sostanzialmente negativo. Questo giudizio deriva dal fatto che l’offerta non è adeguata a sostenere una domanda di cui non conosce esigenze, forma e aspettative e che, negli ultimi anni, è apparsa in forte espansione e con caratteri di anticiclicità rispetto all’andamento generale del comparto primario5.
Tuttavia, anche se il giudizio complessivo sul mercato degli input è tendenzialmente negativo bisogna considerare che il fatto stesso di rivolgersi ad un mercato per l’acquisto dei mezzi tecnici genera, comunque, un’attivazione di spesa che, secondo prime stime, è pari mediamente ad un costo ad ettaro di 950-1.000 €, che si incrementa di circa il 50% se sul terreno viene esercitata una qualche forma di allevamento.

Alcune riflessioni suggerite dall’indagine

La ricerca svolta, sinteticamente riportata nelle sue dimensioni più significative, ha evidenziato alcuni tratti caratteristici che consentono di provare ad ipotizzare gli elementi che definiscono un agricoltore amatoriale e di individuare i risvolti più importanti dal punto di vista statistico, economico, ambientale e di policy.
Una prima constatazione riguarda il coinvolgimento delle diverse componenti della società civile; i dati testimoniano come le figure coinvolte nell’attività di coltivazione hobbistica sono diverse e tendono ad interessare profili socio-demografici anche molto distanti tra loro. Questi soggetti non vanno in alcun modo confusi o sovrapposti con l’agricoltore part-time o con le piccole e piccolissime aziende agricole, in quanto la discriminante forte è che chi svolge la coltivazione di un fondo agricolo per fini amatoriali è un soggetto completamente estraneo al mondo agricolo, sia in termini di lavoro che di reddito. A riprova di tale concettualizzazione basti pensare che all’interno del campione considerato oltre il 90% ha dichiarato di non esser mai stato contattato dall’Istat per la compilazione del questionario censuario. Questo conferma la presenza di superfici agricole che, pur potendo essere efficacemente ricondotte al concetto di SAU, in un qualche modo “sfuggono” alle rilevazioni statistiche ufficiali del settore.
Gli agricoltori part-time e i conduttori di piccole strutture aziendali dedicano invece una parte del loro tempo lavorativo all’attività agricola e rientrano a pieno titolo nelle statistiche agricole (Nomisma, 2009); tuttavia, la letteratura economico-agraria aveva già evidenziato che all’interno dei dati ufficiali di settore ricadono strutture aziendali che sono molto più vicine al carattere hobbistico e di fruizione dello spazio rurale che non a quello produttivo e mercantile (Sabbatini, 2006; Sotte, 2006).
Un elemento trasversale che accomuna la maggioranza degli hobby farmer riguarda le motivazioni alla base dell’attività di coltivazione hobbistica; questa infatti non presenta finalità reddituali (a differenza dell’agricoltore professionale) e le motivazioni che sottendono la volontà di intraprendere e praticare l’agricoltura amatoriale riguardano soprattutto la possibilità di poter consumare prodotti più sani e genuini e di esercitare attività all’aria aperta. Di un certo rilievo anche le ragioni legate alla volontà di valorizzare un terreno di proprietà.
A questi aspetti classificatori e motivazionali si legano altri ambiti direttamente collegati allo svolgimento delle attività di coltivazione hobbistica e, in particolare, i risvolti di carattere economico ed ambientale. Sul primo punto è innegabile come gli hobby farmer attivino una domanda economica orientata verso prodotti e attrezzature necessarie per lo svolgimento dell’attività agricola e che, seppur marginale rispetto a quella espressa dal settore primario, risulti vitale e anticiclica. Tuttavia, come emerso dai giudizi forniti in merito al grado di soddisfazione per prodotti e attrezzature, il mercato stenta a soddisfare le specifiche esigenze degli agricoltori amatoriali e dunque la fornitura adeguata di prodotti per usi non professionali, molto probabilmente anche perché si tratta di un insieme di soggetti non riconosciuto e di cui non si conoscono profili, esigenze e altri tratti caratteristici.
Sul versante ambientale e territoriale le attività hobbistiche determinano dei benefici assolutamente non evidenti e dunque spesso sottovalutati; queste “esternalità positive” sono una diretta conseguenza delle modalità di realizzazione dei processi produttivi, fortemente improntati alla difesa ambientale e paesaggistica e alla sostenibilità tout-court, in quanto la quasi totalità delle produzioni viene autoconsumata.
Dunque, sia in termini economici che ambientali la sottovalutazione dell’importanza degli hobby farmer deriva da quello che può essere definito un “vuoto informativo”, che limita la conoscenza del fenomeno e non consente di approcciarlo nei modi più appropriati, soprattutto in relazione ai diversi risvolti collegati sia all’attività di coltivazione che alla produzione di esternalità positive.
Le implicazioni più evidenti del lavoro sono quindi riconducibili sia ad aspetti di produzione del dato statistico che in relazione alle possibili politiche di valorizzazione/gestione del fenomeno. In merito al primo aspetto si ritiene che una valorizzazione adeguata dell’agricoltura amatoriale passi necessariamente per una sua migliore conoscenza, ottenibile tramite l’istituzionalizzazione (ad es. all’interno di indagini periodiche ufficiali) di appropriate metodologie di rilevazione delle innovative forme di fruizione delle aree rurali. Dal punto di vista delle politiche (in particolare volte alla tutela ambientale) si segnala invece come una recente Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio per un uso sostenibile degli agrofarmaci (Direttiva 2009/128/CE), definisca chiaramente l’esistenza degli usi non professionali, rinviando ai singoli Stati membri il compito di regolarne (tramite dei piani di azione nazionali) l’utilizzo secondo obiettivi di tutela ambientale. Tuttavia, al fine di una corretta implementazione di questi piani, sarebbe quanto meno opportuno conoscere – in termini quantitativi - la domanda e gli utenti di tali mezzi tecnici: una lacuna che questo studio ha permesso di colmare soltanto in parte.
L’auspicio è quindi che in futuro la ricerca possa contribuire a chiarire meglio e ad approfondire questi aspetti al fine di supportare adeguatamente le innovazioni statistiche e di politica, anche alla luce della crescente importanza che le aree rurali italiane ed europee vanno assumendo nel più ampio scenario di crescita della popolazione mondiale.

Riferimenti bibliografici

  • APAT (2005), La realizzazione in Italia del progetto europeo Corine Land Cover 2000, APAT, Rapporti 36/2005, Roma.
  • Barberis C. (a cura di) (2009), La rivincita delle campagne, Donzelli editore, Roma.
  • Boyd S. (1998), Hobby Farming – For Pleasure or Profit? Working paper n. 33, Agriculture Division, Statistics Canada.
  • Direttiva 2009/128/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce un quadro per l’azione comunitaria ai fini dell’utilizzo sostenibile dei pesticidi, Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, L 309/71 http://eur-lex.europa.eu.
  • Holmer R.J., Drescher A.W. (2005), “Allotment gardens of Cagayan de Oro: their contribution to food security and urban environmental management” in Knie C. (a cura di), Urban and Peri-urban developments: structures, process and solution, Colonia, Germania.
  • INEA (2009), Mondi agricoli e rurali, proposte di riflessione sui cambiamenti sociali e culturali, INEA, Roma.
  • Istat (2004), Le imprese agricole, Volume tematico, ISTAT, Roma.
  • Istat (annate varie), Indagine multiscopo sulle famiglie “I cittadini e il tempo libero”, Collana Informazioni, ISTAT, Roma.
  • Newlands W. (2006), Hobby Farm. Ideas for the new countryside, Souvenir Press Ltd – Londra.
  • Nomisma (2008), XI Rapporto Nomisma sull’agricoltura italiana. La competitività dell’agricoltura italiana di fronte ai nuovi scenari evolutivi, Edagricole, Milano.
  • Sabbatini M. (2006), “Competitività e strategie emergenti nelle imprese agricole”, in Boggia A., Martino G. (a cura di), Agricolture e mercati in transizione, Atti del XLIII Convegno di Studi SIDEA, Assisi, Franco Angeli, Milano.
  • Sotte F. (2006), “Quante sono le imprese agricole in Italia?” Agriregionieuropa, Anno 2, Numero 5 [link].
  • 1. In realtà l’individuazione delle unità da rilevare è molto più complessa e si basa sull’incrocio di diverse basi informative; quella proposta in questa sede è un’esemplificazione della metodologia complessiva.
  • 2. Gli input utilizzati nei processi di produzione sono sostanzialmente gli stessi riconducibili agli agricoltori professionali, seppur quantità ed impiego fanno ovviamente riferimento ad un’attività hobbistica e quindi in piccola scala.
  • 3. www.rics.org
  • 4. Il questionario poteva essere compilato sia online tramite un’interfaccia collegata ad un database che in forma cartacea e successivamente rispedito.
  • 5. Un esempio emblematico in tal senso è legato alle macchine agricole; infatti, mentre il 2009 è stato un anno di forte contrazione del fatturato per i segmenti classici, quello delle piccole macchine non ha registrato flessioni, anzi ha mostrato segnali di tenuta.
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