Rapporto città - campagna e sviluppo rurale

Rapporto città - campagna e sviluppo rurale
a Università di Perugia, Dipartimento di Scienze Economiche-Estimative e degli Alimenti
b Università di Perugia

Introduzione

Il rapporto città-campagna costituisce una chiave di lettura del processo di sviluppo economico sia nei paesi industrializzati sia nei paesi in via di sviluppo, e può essere analizzato da prospettive molto diverse. Guicidini (1998) propone tre diversi approcci al problema del rapporto città-campagna: un approccio cultural-naturalista, dove città e campagna hanno una loro specifica valenza culturale e dove un vero sviluppo non può prescindere dalla combinazione dei loro tratti più significativi; un approccio strumentale dove le due realtà concorrono a costruire un modello cooperativo-funzionalista secondo le specifiche necessità del momento; un approccio urbanistico-pianificatorio, dove l’accento viene posto sulle forme abitative e/o di organizzazione dello spazio. Gli economisti ritengono che il rapporto città-campagna sia mutato nel tempo in relazione ai cambiamenti intervenuti nel sistema economico. In particolare Basile e Cecchi (2001) sostengono che la crisi del fordismo e la successiva ristrutturazione, se osservate in una prospettiva centrata sul cambiamento rurale, sono all’origine di una profonda modifica dei rapporti fra città e campagna osservabile in relazione sia alla “distribuzione spaziale” delle attività produttive, sia alla “distribuzione delle funzioni” che le varie aree svolgono nell’economia capitalistica. Gli autori discutono la rilevanza dei processi osservati per il cambiamento rurale e avanzano un’ipotesi interpretativa sulla natura dell’economia rurale, quale sistema produttivo differenziato e integrato, che nasce dalla ristrutturazione socio-spaziale post-fordista e che diviene l’ossatura economica delle campagne, sostituendosi all’agricoltura. I cambiamenti socio-spaziali, avviati fin dai primi anni Settanta, che hanno profondamente cambiato il rapporto città-campagna, sono individuabili nei seguenti: i) la dispersione territoriale dell’industria; ii) la contro-urbanizzazione; iii) i cambiamenti dei modelli di consumo. Questi avvenimenti hanno permesso alla campagna di recuperare gran parte delle funzioni (produttive e culturali) sottrattele dalla città durante lo sviluppo capitalistico. Oggi si preferisce parlare di rapporto tra urbano e rurale proprio per sottolineare il nuovo atteggiamento della società nei confronti dell’ambiente rurale al quale si attribuiscono valori positivi come quelli della bellezza del paesaggio, della tranquillità, della salubrità dei luoghi, della presenza di alimenti genuini e delle relazioni sociali. In questo lavoro cercheremo di dare alcune interpretazioni del rapporto città-campagna e di come l’argomento sia centrale nell’ambito dello sviluppo rurale prestando attenzione ai documenti dell’Unione Europea e privilegiando l’approccio strumentale e quello urbanistico-pianificatorio.

I termini del problema

I grandi economisti classici hanno interpretato il rapporto città-campagna come binomio scaturito da una complementarità e dalla divisione funzionale del lavoro, e come luogo di “conflitto” nell’utilizzazione delle risorse. Nel progredire del sistema economico gli elementi del conflitto sono stati individuati in quattro ambiti specifici: 1) nel livello e nell’andamento dei prezzi relativi dei rispettivi prodotti; 2) nella diversa valorizzazione di mercato dei rispettivi patrimoni fondiari; 3) nell’erosione dei suoli agricoli operata dall’espansione della città; 4) nell’imposizione di esternalità ambientali negative da parte della città. Nel 1994 Camagni sottolineava come, nell’era post-fordista, il conflitto tra città e campagna non possa essere confinato all’interno di una dicotomia in quanto il problema è ben più complesso e richiede una preliminare precisazione sul significato da dare al termine “campagna”. L’autore afferma che la “campagna” può essere intesa come l’attività agricola, cioè quell’attività legata all’utilizzazione di risorse naturali primarie come il suolo, oppure, come un insieme di risorse scarse, non necessariamente o interamente naturali ma comunque non riproducibili, date da aria, acqua, foreste, terre di diversa fertilità in un ambiente non urbanizzato. Nel primo caso il conflitto potrebbe considerarsi superato poiché: 1) l’agricoltura ha usufruito di politiche di sostegno dei redditi e dei prezzi agricoli in modo consistente rispetto agli altri settori dell’economia; 2) i proprietari dei terreni agricoli si sono avvantaggiati del plusvalore creato con l’urbanizzazione; 3) la riduzione dei terreni agricoli è dovuta a diverse cause di tipo socio-culturale, economico-produttivo, economico-politico, demografico, e non solo all’espansione dell’urbanizzazione; 4) l’utilizzo di tecniche produttive intensive ha determinato elevati inquinamenti delle risorse naturali primarie. Nel secondo caso il conflitto resta forte poiché il valore ambientale delle risorse presenti in campagna non è incorporato nei beni e servizi privati scambiati sul mercato e di conseguenza non viene capitalizzato nel valore di mercato delle risorse stesse. Ciò determina, in assenza di interventi pubblici, una sovra utilizzazione di tali risorse lontana dall’ottimale in termini di benessere sociale complessivo. Il problema, quindi, diviene quello di “come passare da una condizione di conflitto e di “predazione” della città sulla campagna, a una condizione di cooperazione e di “simbiosi”, posto che si va estendendo la coscienza del nuovo ruolo della campagna, quello di riserva di risorse territoriali sempre più scarse e di produzione di valori ambientali; un ruolo che implica precise esternalità positive in direzione della città” (Camagni, 1994, p.57).
Il cambiamento degli stili di vita dei cittadini e le nuove prospettive di sviluppo rurale in chiave multifunzionale, favorite dalla politica agricola comunitaria, aprono spazi innovativi di integrazione tra contesti urbani e rurali e ciò si ripercuote sul piano teorico, nell’elaborazione di modelli di sviluppo coerenti, e in pratiche concrete elaborate su e per il territorio, in una prospettiva di rinnovata integrazione e complementarità (Di Iacovo, 2004). Ma ciò presuppone una ritrovata identità degli spazi rurali che hanno bisogno di ricercare la loro autenticità altrimenti rischiano di disattendere le aspettative dei cittadini.

Sviluppo rurale e sviluppo urbano: il superamento del binomio città-campagna

Le relazioni che intercorrono tra città e campagna in un dato territorio ne influenzano lo sviluppo socio-economico, soprattutto in termini di sostenibilità. A questo proposito Iacoponi (2004) afferma che la sostenibilità dello sviluppo significa la compatibilità fra la crescita del benessere economico della società e la capacità produttiva e riproduttiva degli ecosistemi (biocapacità): cioè fra la crescita del benessere economico, che ha il fulcro nella città, e la biocapacità degli ecosistemi che ha il fulcro nelle campagne. L’autore sostiene, a ragione, che esiste un evidente parallelismo tra le politiche di sviluppo rurale e quelle di sviluppo urbano sostenibile e scrive “i documenti sulle città sostenibili (Carta di Aalborg e Agende 21 locali) indicano la necessità di allargare il raggio di azione delle politiche ambientali dalle città agli spazi rurali circostanti secondo un’ottica di programmazione bottom-up simile a quella proposta dai documenti europei sullo sviluppo rurale (Carta rurale europea e Dichiarazione di Cork)” (Iacoponi, 2004, p. 443).
Nella Carta di Aalborg i principi del modello urbano sostenibile rispondono alla necessità di riconnettere città e territorio che, di fatto, implica il superamento del binomio città-campagna e lo sfruttamento della prima sulla seconda, proponendone una visione complementare.
Con la dichiarazione di Cork prima e nei progetti Leader poi, l’UE promuove un’attività di valorizzazione dello spazio rurale, finalizzata alla tutela dei valori e dei fattori produttivi direttamente legati al mondo rurale, con l’obiettivo di rivitalizzare e sostenere il tessuto socioculturale, seriamente minacciato dal predominio delle realtà urbane e industriali e dai fenomeni di abbandono e degradazione socio-economica. Ma è con il Regolamento 1257/1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (Feaog), che viene avviata la politica di sviluppo rurale riconosciuta come il secondo pilastro della Pac, con l’obiettivo di “ricostruire e rafforzare la competitività delle zone rurali, contribuendo in tal modo a mantenere e a creare posti di lavoro in queste zone” per evitare lo spopolamento delle campagne. A partire dalla Carta rurale europea fino all’introduzione della Politica di sviluppo rurale, si delinea il concetto di spazio rurale “multifunzionale”, che deve tenere conto del diritto di tutti i settori della società rurale a partecipare alle attività economiche che vi si svolgono e sviluppano. Nel nuovo modello di agricoltura, gli aspetti economici si associano con quelli relativi alla tutela e alla salvaguardia dell’ambiente e del territorio, allo sviluppo sociale delle aree rurali e alla valorizzazione delle risorse locali. In quest’ottica, Agenda 2000 sostiene che sia “essenziale preservare e sviluppare un’agricoltura polivalente”, individuando implicitamente un nuovo e unico modello imprenditoriale agricolo rivolto non solo alla produzione di beni, ma anche all’erogazione di servizi ai singoli e alla collettività. Si tende quindi ad un’agricoltura multifunzionale che deve ottenere un riconoscimento sociale ed economico.
Nel documento conclusivo formulato dalla seconda Conferenza europea sullo sviluppo rurale di Salisburgo (2003) vengono messe in evidenza le “nuove” richieste ed esigenze dei cittadini, con la crescente importanza attribuita “alla sicurezza e alla qualità dei prodotti alimentari, al benessere degli animali da allevamento e alla salvaguardia e alla valorizzazione dell’ambiente rurale”, e il ruolo essenziale che svolge l’agricoltura “modellando il paesaggio rurale e consentendo anche il mantenimento di comunità rurali vitali”. Inoltre nel documento conclusivo si parla di aree urbane e aree rurali come di due entità distinte e si riconosce che “il sostegno pubblico alla politica comunitaria di sviluppo rurale sia pienamente giustificato per favorire il processo di ristrutturazione del settore agricolo attualmente in corso, lo sviluppo sostenibile delle zone rurali e un rapporto equilibrato tra il territorio rurale e le zone urbane”.
Nel Regolamento 1698/2005, grazie alla considerazione e alla valutazione delle conclusioni del Consiglio di Lisbona e Goteborg, per la prima volta vengono menzionate le aree periurbane come zone di cui tener conto, specificando al punto 11 che “al fine di garantire lo sviluppo sostenibile delle zone rurali, è necessario concentrarsi su un numero limitato di obiettivi essenziali a livello comunitario, concernenti la competitività dei settori agricolo e forestale, la gestione del territorio e l'ambiente, nonché la qualità di vita e la diversificazione delle attività in tali zone, tenendo conto della diversità delle situazioni, che vanno dalle zone rurali remote colpite da spopolamento e declino alle zone rurali periurbane che subiscono la pressione crescente dei centri urbani”. Negli orientamenti si parla di “aree periurbane” in riferimento a una situazione particolare che si può riscontrare nelle zone rurali e anche di “pressione periurbana” come di un problema specifico delle aree rurali. In entrambi i casi si nota come il termine periurbano assuma solo connotazioni negative, come fosse una problematica da individuare e risolvere.
Nella bozza di risoluzione della Conferenza dell’Assemblea delle Regioni europee (Are) sullo sviluppo rurale di Lillehammer (2008) invece si cerca finalmente di superare questo dualismo e si parla di “approccio integrato”, inteso nel senso che “zone rurali ed aree urbane devono sviluppare sinergie concrete facendo uso dei rispettivi potenziali per affrontare assieme sfide simili. Le aree rurali devono, da un canto, diventare più che semplici «circondari» (c’è vita fuori dalla città) ma, dall’altro, essere strettamente associate e meglio collegate alle attività urbane”; e di “concertazione” nelle decisioni. Essa infatti invita ad un nuovo modo di lavorare dove “i policy-maker regionali devono lavorare assieme ad autorità locali, consigli comunali, sindacati, imprenditori agricoli, aziende di trasporto e tutti gli altri fornitori di servizi, associazioni locali e portatori di interessi coinvolti nella vita delle comunità locali per disegnare una strategia che parta dai potenziali esistenti”.

Né urbano né rurale: progettare i territori

La necessità di regolare i rapporti tra spazi urbani e rurali attraverso la pianificazione è emersa in Europa circa due secoli fa. I primi schemi di pianificazione territoriale, influenzati dai modelli teorici, si trovarono ad affrontare il rapporto urbano/rurale in città esistenti, dove la priorità era il contenimento della crescita urbana. Nella varietà delle risposte offerte, in relazione alle diversità delle condizioni ambientali, delle strutture economico-sociali e degli ordinamenti politico-amministrativi, si sono affermati alcuni modelli relazionali sostanzialmente riconducibili a tre “categorie” differenti: la “cintura verde”, che si propone di contenere l’espansione urbana all’interno, il “cuneo verde” che dall’esterno penetra dentro il tessuto urbanizzato, il “cuore verde”, che invece preserva gli spazi agricoli all’interno delle aree urbanizzate. Il rapporto tra città e campagna, dopo il progressivo affrancamento (sia di tipo alimentare che energetico) della città dalla campagna, grazie allo sviluppo di tecniche di conservazione degli alimenti e alla diffusione di mezzi di trasporto veloce, perde la sua connotazione “funzionale” e l’agricoltura e gli spazi agricoli rientrano negli schemi di pianificazione, in relazione alle strategie di sviluppo delle città e alle loro evoluzioni.
Nel corso degli anni sono aumentate le attese nei confronti degli spazi agricoli e dei sistemi di relazione in cui sono integrati e implicati. Questo si riflette anche negli schemi pianificatori, che si evolvono in “categorie” più complesse con il principale obbiettivo di mettere in rete e preservare la funzionalità degli spazi (agricoli, naturali), dove la funzione agricola si connette e si integra in quella ambientale, ecologica e paesaggistica attraverso la costruzione di “reti”, “trame” e “sistemi”. Allo stesso tempo nascono progetti specifici che cercano un nuovo equilibrio tra città e campagna, tra governo del territorio e agricoltura; forme che trovano e fondano le loro specificità in modelli ad hoc, che cercano di valorizzare al meglio le risorse, dove il riconoscimento della multifunzionalità dell’agricoltura gioca un ruolo fondamentale per la sua tutela (Duvernoy et al., 2005). Nascono così i primi “progetti agricoli” che hanno il merito di aver invertito lo sguardo, partendo dalla campagna fino ad arrivare alla città e che si differenziano dai precedenti, in quanto pongono al centro del progetto l’agricoltura produttiva e multifunzionale. Obiettivo principale è la tutela degli spazi agricoli dall’espansione della città e dalla “rurbanizzazione” della campagna e la valorizzazione dell’attività agricola, in risposta alla crisi del modello agricolo produttivista.
Queste esperienze, che spesso trovano applicazione su una scala intercomunale, si caratterizzano per la volontà di proteggere le aree agricole dall’espansione urbana attraverso l’esercizio dell’attività produttiva, connessa in modo più o meno rilevante a seconda dei casi, con funzioni ricreative, di tutela ambientale e del paesaggio. Si ricordano, come esperienze di riferimento, quelle del “Parco agricolo” (Italia, Spagna), del “Progetto agriurbano” (Francia) e della “Progettazione integrata territoriale” (Italia). In particolare i progetti agriurbani sono stati definiti come un projet de territoire (generalmente periurbano), in cui le necessità della città in termini di spazio o di infrastrutture e di qualità della vita, sono prese in considerazione al pari delle necessità di un’attività agricola funzionale (Vidal, Fleury, 2009b).
Oggi l’articolazione multifunzionale dell’agricoltura e le componenti strategiche che si vanno affermando nella pianificazione territoriale potrebbero consentire, più di ieri, di perseguire più ampi e organici obiettivi di tutela del territorio e di sviluppo locale nonché nel rapporto e nello sviluppo urbano-rurale. Gli urbanisti sono i primi a ritenere che non esista ancora un approccio consolidato per la trattazione della multifunzionalità agricola nella pianificazione territoriale ma solo una serie di esperienze da cui prendere spunto. Gli studiosi di economia ambientale, da canto loro, stanno cercando di costruire solidi strumenti di valutazione dei servizi ambientali e sociali prodotti dall’attività agricola e dal mantenimento dello spazio rurale, ritenuti indispensabili per giungere a includere pienamente tali valori nei criteri guida delle scelte pubbliche in materia di governo del territorio (Sali, 2009).
Alcuni studiosi dell’agricoltura periurbana stanno lavorando ad un nuovo approccio disciplinare e pianificatorio, nominato agriurbanisme (Vidal, Fleury, 2009) e agricultural urbanism o urbanisme agricole (Boucher, 2009), con l’intento di integrare l’agricoltura nella crescita urbana. Gli autori partono dalla considerazione che gli spazi rurali, circostanti le aree urbanizzate, presentano dei caratteri di complessità che devono essere analizzati secondo metodi e tecniche in grado di considerare la molteplicità degli usi e degli attori presenti. Lo spazio agricolo periurbano viene concettualizzato come un «terzo spazio» (Vanier, 2003) e l’agricoltura periurbana viene introdotta nell’elaborazione degli strumenti urbanistici. Un esempio di notevole interesse è fornito dalla metodologia adottata per la considerazione degli spazi aperti (agricoli, naturali e boscati) nello Schéma directeur de la Région Île-de-France (SDRIF), basata sull’analisi del funzionamento globale dello spazio rispetto allo spazio urbanizzato. Questo approccio nasce dall’esigenza di mantenere e assicurare la funzionalità degli spazi aperti e di proporre un metodo di analisi in grado di fornire degli strumenti chiari e oggettivi agli amministratori e ai progettisti per comprendere il funzionamento di questi spazi.
L’esperienza francese costituisce sicuramente un punto di riferimento per coloro i quali hanno interesse a promuovere una nuova gestione degli spazi agricoli periurbani che, in Italia, è lasciata alla discrezionalità dei Comuni, sempre più alle prese con problemi di bilancio.
Fino ad ora la sola tutela/protezione dei terreni dall’edificazione non è stata sufficiente a garantirne il mantenimento, pertanto, appare urgente la definizione di uno schema metodologico che faccia comprendere il funzionamento degli spazi agricoli e il valore di quest’ultimi in modo tale da ridurre il differenziale tra la rendita fondiaria e il valore dei terreni urbanizzabili.

Riferimenti bibliografici

  • Basile E., Cecchi C. (2001), La trasformazione post-industriale della campagna. Dall’agricoltura ai sistemi locali rurali, Rosenberg&Sellier, Torino
  • Boucher I. (2009), D’agriculture urbaine à urbanisme agricole : Une participation au développement durable, une contribution à la production alimentaire, URL: [link]
  • Camagni R. (1994), “Processi di utilizzazione e difesa dei suoli nelle fasce periurbane: dal conflitto alla cooperazione fra città e campagna”, in Boscacci F. e Camagni R. (a cura di), Tra città e campagna. Periurbanizzazione e politiche territoriali, il Mulino, Bologna, pp. 13-89.
  • Di Iacovo F. (2004), ““Welfare rigenerativo” e nuove forme di dialogo nel “rurbano” toscano”, in Rivista di Economia Agraria, n. 4, pp. 553-580.
  • Duvernoy I., Jarrige F., Moustier P., Serrano J. (2005), "Une agriculture multifonctionnelle dans le projet urbain : quelle reconnaissance, quelle gouvernance?", in Fleury A. (a cura di), Multifonctionnalité de l’agriculture périurbaine. Vers una agriculture du project urbain, Les Cahiers de la multifonctionnalité, n. 8, Mai 2005, INRA, CEMAGREF, CIRAD, pp. 87-104
  • Guidicini P. (1998), Il rapporto città-campagna, Jaca Book Spa, Milano.
  • Iacoponi L. (2004), “La complementarietà tra città e campagna per lo sviluppo sostenibile: il concetto di bioregione”, in Rivista di Economia Agraria, n. 4, pp. 443-478.
  • Sali G. (2009), “Il valore economico delle aree rurali periurbane”, in Per un’altra campagna. Riflessioni e proposte sull’agricoltura periurbana, Maggioli.
  • Vanier M. (2003), “Le périurbain à l’heure du crapaud buffle : tiers espace de la nature, nature du tiers espace”, in Revue du Géographie Alpine, vol. 91, n. 4, pp. 79-98
  • Vidal R. et Fleury A. 2009 : “Aménager les relations entre la ville et l'agriculture, de nouveaux enjeux territoriaux et une nouvelle approche «agriurbaniste»”. Revue Urbia n. 8, pp. 127-142, Institut de Géographie de Lausanne.
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