La politica agraria svizzera: il dilemma fra tradizione e competitività

La politica agraria svizzera: il dilemma fra tradizione e competitività

La politica agraria svizzera è internazionalmente nota per gli importanti contributi finanziari con cui sostiene il settore. Negli anni Novanta il dibattito sulla necessità di rendere le strutture più competitive promuovendo nel contempo una produzione più rispettosa dell’ambiente hanno portato ad un’importante riforma agraria nella quale si è applicato il principio di un deciso disaccoppiamento tra le produzioni agricole e l’intervento dello Stato.
Anche in Svizzera, come in Europa (Commissione europea, 2007), ad una quindicina d’anni dall’inizio della graduale applicazione delle nuove misure, vi è la necessità di un’ampia riflessione su quanto sia stato raggiunto e su quando rimanga ancora da fare. Il presente contributo si sofferma in particolare su tre temi che possono essere di un certo interesse anche in ambito internazionale:

  • il primo prende spunto dall’incidenza, rispettivamente dalla “non incidenza” della riforma agraria elvetica sul sistema internazionale utilizzato per quantificare il sostegno agrario interno dei vari paesi, il Pse (Producer support estimate);
  • la seconda riflessione, incentrata sulla relazione fra l’applicazione del concetto del disaccoppiamento e la competitività del settore, ha un carattere più interno, ma contiene alcuni spunti che potrebbero essere di un certo interesse anche a livello internazionale;
  • in conclusione il contributo si sofferma su alcune osservazioni svolte in Svizzera in merito alla “multifunzionalità” dell’agricoltura: rispettivamente sul grado di “jointness” nel processo produttivo agrario. Queste ultime riflessioni si inseriscono nell’attuale ricerca di una finalizzazione nell’amministrazione delle risorse più congrua al contesto europeo (Sotte, 2008) e, in generale, di difficoltà economica a livello internazionale.

Al fine di collocare le riflessioni a cui si è accennato sopra nel loro giusto contesto, esse sono precedute da alcune considerazioni sull’attuale strutturazione del settore agricolo svizzero e da alcuni appunti dedicati alla politica agraria e alla sua riforma negli anni Novanta sul cui sfondo si sono evolute le strutture stesse.

Le politiche agrarie svizzere del passato e del presente

Il settore agricolo non riveste più in Svizzera lo stesso ruolo di alcuni decenni fa, sia in termini di occupazione, sia in termini di contributo al prodotto nazionale lordo. Nonostante la significativa diminuzione del numero, le aziende attuali restano di proporzioni modeste se comparate a quelle europee o dei paesi dell’Oecd (vedi Tabella 1).

Tabella 1 - Strutture aziendali europee a confronto (dati del 2005)

Fonte: Unione Svizzera dei contadini, varie pubblicazioni 1940-2007

La “vecchia” politica agraria della Confederazione, e forse anche la “nuova” politica agraria, hanno frenato il cambiamento strutturale del settore che, senza la protezione statale, sarebbe stato di ben più ampia portata. Forse perché nella discussione politica il settore ha ancora un “peso specifico” che va ben oltre quello che si potrebbe presumere dai dati economici. I cambiamenti strutturali a cui si è accennato sono stati generati sostanzialmente dal rapporto fra i redditi medi conseguiti in agricoltura e quelli conseguiti in altre branche dell’economia. Quest’ultimi sono economicamente dei costi di opportunità per le aziende agricole (vedi per esempio Rieder et al., 1999) e, al più tardi al momento del cambio generazionale, sono un fattore di peso nella ripresa o abbandono dell’attività agricola da parte di un successore. Il reddito medio conseguito in agricoltura non è tuttavia tanto il risultato dei meccanismi di domanda ed offerta ma in gran parte la conseguenza di una volontà politica ben precisa.

La “vecchia” politica agricola

Dall’immediato dopoguerra, per più di 40 anni si è seguita in Svizzera la strategia “dell’agricoltura produttiva”. L’obiettivo fondamentale era il mantenimento di un alto numero di aziende agricole per assicurare al paese un alto grado di auto-approvvigionamento alimentare. Per raggiungere questo obiettivo la Confederazione Elvetica ha assicurato redditi agricoli elevati attraverso l’amministrazione dei prezzi e la garanzia di smercio della produzione. In questo modo, sono stati favoriti gli agricoltori delle zone più produttive del paese generando differenze sempre maggiori di reddito fra aziende dell’altopiano e aziende di montagna. Per correggere questa evoluzione indesiderata, la politica è intervenuta a più riprese in favore delle regioni di montagna. Tale sostegno mirato è stato reso possibile dalla suddivisione già negli anni Settanta dell’intera superficie agricola in “zone di produzione”. Il sistema di sussidio per zone di produzione, perfezionato nel corso degli anni e attualmente ancora utilizzato, si differenzia con riferimento a tre zone di pianura, una collinare prealpina e quattro di montagna.
Fino all’inizio degli anni Ottanta ci si ponevano poche domande sui costi di tale politica, soprattutto su chi dovesse sopportarne l’onere, a quanto questo dovesse ammontare, e sulle sue conseguenze ambientali. Per le singole aziende agricole le cose andavano bene, poiché l’amministrazione federale ritoccava, di anno in anno, i prezzi verso l’alto. Il mantenimento del potere d’acquisto delle aziende era garantito, e quest'ultime non erano quindi obbligate ad aumentare i carichi di lavoro o ad adottare strategie di razionalizzazione dei processi produttivi. Per i cittadini svizzeri l’obiettivo dell’auto-approvvigionamento in caso di crisi è stato per lunghissimo tempo prioritario sia rispetto ad altri obiettivi, sia rispetto ai costi conseguenti a questo tipo di politica.

Il cambiamento degli anni Novanta

Con il tempo però l’amministrazione dei prezzi agricoli, alterando i segnali del mercato, ha determinato l'insorgere e l'aggravarsi di problemi seri per la politica agraria della Confederazione. Lo testimoniano, in particolare, la sovrapproduzione di prodotti agricoli e la diffusione di una produzione intensiva poco rispettosa dell’ambiente. A quest’evoluzione indesiderata si è sopperito in un primo tempo con l’introduzione di vincoli alla produzione (per esempio il contingentamento lattiero) e con proibizioni (per esempio imponendo un limite in termini di carico di bestiame per ettaro di superficie agricola). Si tratta tuttavia di correttivi non abbastanza efficienti e non in grado di eliminare i problemi alla radice.
I motivi interni sopraccitati (eccedenze di mercato non più finanziabili e produzione intensiva poco rispettosa dell’ambiente) rafforzati da motivi esterni (conclusione di accordi internazionali con i quali la Svizzera si impegnava a diminuire il suo sostegno al settore agricolo) hanno portato ad un mutamento di approccio della politica agraria. I cittadini, prima ancora dei consumatori, hanno cominciato a chiedere un’agricoltura più sostenibile. In particolare si richiedeva con sempre più insistenza un’agricoltura più rispettosa dell’ambiente. Ma anche da un punto di vista economico non si ritenevano più giustificati i costi sopportati per perseguire quale unico obiettivo un alto grado di auto-approvvigionamento. Sullo sfondo di queste nuove sensibilità è stato progettato un radicale riassetto della politica agraria svizzera. Il nuovo concetto è stato costruito sul principio di un deciso disaccoppiamento tra le produzioni agricole e l’intervento dello Stato. Tale concetto, espresso nei termini della “multifunzionalità” dell’agricoltura, dopo il consueto iter parlamentare, è stato approvato con votazione popolare nel 1996 ed ha assunto addirittura rilievo costituzionale (art. 104 della Costituzione Elvetica). Con questo articolo si è praticamente stabilito che:

  • le aziende agricole devono diventare più competitive nell’offerta di beni di consumo;
  • al fine di raggiungere questo obiettivo la Confederazione non intende più interferire nei meccanismi di domanda e offerta dei prodotti agricoli di base;
  • ma piuttosto essa adotta incentivi mirati alla produzione di beni ambientali e altri beni/servizi di interesse collettivo per i quali non esistono mercati.

La riforma agraria, implementata in modo graduale, non può essere considerata a tutt’oggi conclusa. Quali cambiamenti siano subentrati risulta evidente dall'andamento delle spese per l’agricoltura della Confederazione (vedi Figura 1).
Nel periodo 1990-92 la Confederazione impiegava gran parte del suo budget a favore del sostegno ai mercati agricoli. Nel 1992, con la parziale revisione della legge sull’agricoltura, si sono create le basi legali per l’adozione di pagamenti diretti generalizzati a tutte le aziende, e non solo a quelle delle zone di montagna; i riflessi di questa politica sono chiaramente visibili nella composizione della spesa agricola. I contributi sono commisurati alla superficie coltivata ed elargiti in maniera differenziata a seconda delle zone di produzione, come lo erano già precedentemente i sussidi alle aziende delle zone di montagna.
Dal 1997 le spese della Confederazione Elvetica a favore dell’agricoltura raggiungono una quota che rimane praticamente immutata fino ad oggi (circa 3.5 miliardi di franchi svizzeriper anno). L’evoluzione delle singole posizioni rispecchia la strategia fondamentale della riforma agraria voluta negli anni Novanta, cioè di progressivo abbandono del sostegno diretto ai mercati agricoli in favore dei pagamenti diretti non legati alla produzione. A circa quindici anni dall’inizio del processo di riforma, caratterizzato dal principio del disaccoppiamento, e dopo aver implementato in varie tappe varie misure per conferirle concretezza, attraverso alcune analisi empiriche, si è cercato di trarre alcune prime conclusioni dal processo di riforma. Nei prossimi paragrafi si darà spazio a tre osservazioni che dal nostro punto di vista sono di particolare interesse e che possono essere spunto di riflessione:

  • l’impatto della riforma sulla quantità e la qualità del sostegno pubblico all’agricoltura visto in un’ottica internazionale,
  • l’impatto della riforma sulla competitività del settore agrario, e
  • le implicazioni della riforma agraria sulla questione della “jointness” nella produzione agricola (la connessione multifunzionale tra produzione e tutela ambientale).

Figura 1 - Evoluzione dei flussi finanziari destinati al sostegno dell’agricoltura in Svizzera

Fonte: Ufficio Federale per l’agricoltura, rapporto sull’agricoltura 2002. Dati dal 2000: Unione Svizzera dei contadini, “Statistische Erhebungen und Schätzungen” 2007

Il sostegno pubblico all’agricoltura in un’ottica internazionale

Il sostegno pubblico concesso all’agricoltura elvetica è ampiamente noto e documentato anche a livello internazionale (vedi ad esempio Oecd 2009). Quale indice per comparare il sostegno fra i vari paesi si utilizza spesso il Pse (Producer support estimate). Il Pse è un indicatore del valore monetario dei trasferimenti lordi dai consumatori e dai contribuenti a beneficio degli agricoltori. Si tratta di uno strumento di facile comunicazione, anche se il suo calcolo è, per vari motivi, non altrettanto semplice (vedi BYERLEE e MORRIS, 1993; DOYON et al., 2001).
Purtroppo il dato sul sostegno globale non contempla natura, obiettivi o ripercussioni di questi trasferimenti sulla produzione o sul reddito agricolo e non è in grado di dare delle indicazioni analitiche sulla qualità di una determinata riforma agricola. Ci riferiamo per esempio al fatto che il Pse non è in grado di distinguere fra sostegno pubblico che interferisce, a volte pesantemente, con il funzionamento dei mercati e sostegno pubblico più neutro da questo punto di vista.
D’altra parte, a livello internazionale, sarebbe più che utile avere a disposizione un indicatore complessivo del sostegno (e del protezionismo) pubblico nel settore agricolo in grado di rispecchiare non solo cambiamenti quantitativi ma anche qualitativi del sostegno pubblico all’agricoltura. La Svizzera, delusa dal fatto che del concetto di disaccoppiamento non sia tenga praticamente conto attraverso gli indicatori internazionali ha promosso una riflessione su come eventualmente modificare il calcolo dei rilevatori in modo da avere indicazioni più utili (vedi Rieder, Flury e Giuliani, 2003).
Il concetto è molto semplice e propone di affiancare al Pse tradizionale un Pse “ponderato”. Per il calcolo del Pse “ponderato” sarebbe necessario suddividere le misure di politica agraria in tipi differenti. Il criterio di suddivisione sarebbe correlato al grado di “distorsione del mercato” provocata dalla misura adottata: le misure che più interferiscono sul meccanismo di domanda e offerta dei prodotti agricoli avrebbero un’incidenza (un peso) maggiore nel calcolo del Pse “ponderato” (vedi Tabella 2).

Tabella 2 - Calcolo del PSE “ponderato”; esempio per il settore lattiero svizzero

Fonte: Rieder, Flury e Giuliani, 2003

Applicando questo semplice concetto al settore lattiero svizzero si sono ottenuti dei risultati alquanto interessanti. In particolare il Pse “ponderato” dimostra che sarebbe in grado di intercettare eventuali cambiamenti d’impostazione delle politiche agrarie nazionali (vedi Rieder, Flury e Giuliani, 2003).
Gli addetti ai lavori concordano che in Svizzera il livello del sostegno pubblico all’agricoltura è e rimarrà alto, a meno di improbabili stravolgimenti delle posizioni politiche in campo, e che indicatori come il Pse, ma anche il Pse “ponderato” non potranno far altro che rispecchiare questo dato di fatto. Si è anche consapevoli che, considerato il volume della produzione agricola, il caso svizzero non è rilevante tanto da alterare gli equilibri di mercato e che quindi, in ottica internazionale, esso possa essere tollerato.
In fin dei conti, si può concludere che il contributo pubblico all’agricoltura sia una questione interna dei singoli paesi, fin tanto che l’applicazione di tali misure non influisca sul funzionamento dei mercati mondiali. Considerato però che qualsiasi forma di sostegno ha un’incidenza anche sui mercati, nelle trattative sulla liberalizzazione dei mercati agricoli si segue da tempo la strategia della suddivisione delle misure nelle tre “scatole” (box) – arancione, blu e verde; a seconda dell’incidenza delle rispettive misure vi è una priorità e una tolleranza differente per il loro mantenimento. In questo contesto un indicatore semplice che sia in grado di riprodurre la qualità dell’intervento, come potrebbe essere un Pse “ponderato”, potrebbe dare indicazioni utili sull’evoluzione della politica agraria applicata soprattutto nei player mondiali di maggior peso.

L’impatto della riforma sulla competitività del settore agrario

Dai dati della Tabella 1 traspare in modo piuttosto evidente che, nonostante la riforma agraria, le strutture osservabili nel settore agrario sono ben lontane dall’essere competitive a livello internazionale. Alcune microaziende (<10 ha) hanno pure cessato la loro attività, ma questo non ha portato ad un significativo aumento del numero delle aziende medio-grandi, in termini “elvetici”, di aziende con più di 30 ha. È evidente che questo tipo di frammentazione delle strutture è accompagnato da alti costi di produzione per unità prodotta, sia dei beni agricoli di base ma anche delle prestazioni complementari per esempio in campo ambientale. Empiricamente è facilmente dimostrabile, che con un aumento del dimensionamento medio anche di non grandissima entità si potrebbe approfittare di una diminuzione del costo per unità prodotta considerevole. Il tutto senza abbandonare il principio della sostenibilità. Ma quali potrebbero essere le cause di questo mancato progresso nonostante le riforma agraria?
Rifacendosi al modello della scelta della professione di Rosen (1986) è facilmente ipotizzabile che in Svizzera la scelta di riprendere l’azienda agricola gestita da un genitore sia piuttosto attrattivo. Questo perché il sostegno pubblico all’agricoltura è importante. Inoltre sono attualmente in vigore delle misure (incentivi) monetari volti ad invogliare i giovani agricoltori a ritirare l’azienda di famiglia. Analizzando questa situazione, Mann (2008) giunge alla conclusione che in questo modo non si raggiunge un sufficiente volume di scambio sul mercato delle superfici agricole; la mancanza di volume di scambio infine non permetterebbe un aumento più celere della taglia media delle aziende che rimarrebbero quindi poco competitive.
Gli esperti del settore concordano inoltre sul fatto che la taglia delle aziende agricole non è determinante nel processo di acquisto o affitto di superfici agricole. A tale conclusione giungono sia attraverso constatazioni empiriche, sia attraverso delle riflessioni teoriche. Il sistema Svizzero, che per varie ragioni anche storiche già favorisce delle strutture familiari tendenzialmente piccole, è costellato inoltre da numerosi parametri che limitano per esempio il carico animale per ettaro. In questo modo si generano dei costi d’opportunità estremamente elevati per unità di superficie, soprattutto nelle aziende di taglia medio-bassa. Tali aziende posseggono quindi un’alta propensione all’acquisto (o all’affitto). Dall’altra parte dello spettro invece, a partire da un determinato numero d’ettari, alcuni tipi di contributi, per esempio quelli riconosciuti per la cura del territorio, vengono ridotti in modo proporzionalmente inverso alla taglia di un’azienda. Questo modo di applicare determinate misure riduce notevolmente l’incentivo alle aziende medio-grandi (in termini “elvetici” aziende con più di 30 ha) ad espandersi.
Il risultato complessivo dell’applicazione delle misure di cui sopra nelle modalità a cui si è brevemente accennato è un quasi stallo nell’evoluzione strutturale nel settore agricolo. Da alcune prime indicazioni risultanti da uno studio commissionato dall’Ufficio federale d’agricoltura risulterebbe comunque che, anche non aumentando di molto il volume di scambio di superfici, ma riducendo l’attrattiva d’entrata nel settore e di ripresa dell’azienda nell’ambito del cambio generazionale e non svantaggiando de facto le aziende in espansione, sarebbe possibile indurre un cambiamento strutturale che nell’arco di una ventina d’anni porterebbe a strutture nettamente più competitive.

Le implicazioni della riforma agraria sulla questione della “jointness” nella produzione agricola

In agricoltura, nel corso del processo produttivo si generano sia prodotti agricoli di base scambiati sui mercati, sia prestazioni “multifunzionali” per le quali non si osserva l’insorgere di un meccanismo di mercato. Fondamentalmente l’obiettivo dell’attuale politica agraria svizzera è quello di sopperire contemporaneamente ai vari bisogni sia del “cittadino consumatore” sia della società. Un elemento cardine per determinare quali misure siano particolarmente efficaci per raggiungere gli obiettivi prefissi e il grado di “jointness” fra la produzione di beni di consumo e le prestazioni multifunzionali. Se la produzione di beni di consumo base e le prestazioni multifunzionali non sono “collegate” (“unite”) fra di loro si potrebbe pensare ad una produzione separata dei beni e delle prestazioni, sfruttando le cosiddette “economie di scopo”, sempre che le prestazioni multifunzionali siano generabili anche con metodi alternativi. Se però la produzione congiunta è più razionale, le misure atte a favorire la produzione agricola sono efficienti (Oecd 2001).
Nell’ambito della discussione sulla volontà o necessità di rendere l’agricoltura elvetica più competitiva, con la questione della “jointness” si pone la domanda se strutture più competitive produrrebbero gli stessi quantitativi di prodotti agricoli di base e le stesse “quantità” di prestazioni “multifunzionali” di un’agricoltura con strutture più tradizionali. Pur tenendo conto della complessità del compito analitico, allorché si volesse valutare in modo differenziato tutti i contributi delle attività agricole (Flury e Huber, 2008), si è giunti alle seguenti sommarie conclusioni:
sia la produzione di beni agricoli di base (e quindi il grado di autonomia alimentare del paese), come pure la cura integrale del territorio e la conservazione delle sue peculiarità paesaggistiche possono essere garantite in misura simile a quella attuale anche con un’agricoltura più competitiva e quindi tendenzialmente a costi inferiori (Huber 2007; Hättenschwiler e Flury 2008). l’evoluzione verso un’agricoltura più competitiva comporterebbe un’importante diminuzione del numero di addetti in agricoltura. Determinante affinché l’agricoltura non venga meno al suo compito di contribuire in modo importante al mantenimento di insediamenti in zone periferiche è l’importanza relativa che il settore assume nelle economie locali (Flury, Buchli e Giuliani, 2008); in alcune aree, dove l’agricoltura riveste ancora un ruolo importante nell’economia locale, il cambiamento strutturale agricolo darebbe avvio al declino dell’intera comunità dell’area. L’incidenza dell’avvio di tali fenomeni di regresso socio-economico sarebbe tuttavia circoscritto ad un numero limitato di aree classificate “critiche” (Buchli et al. 2005).
Una maggiore competitività del settore, quindi, non sembra compromettere la capacità di generare in modo “unito” sia prodotti agricoli di base sia prestazioni multifunzionali. La complessità dei meccanismi di fondo alla base della “jointness” nella produzione agraria, soprattutto per delle implicazioni di carattere temporale e regionale, suggeriscono tuttavia di affrontare la questione dell’efficienza produttiva in ottica “jointness” in modo regionalizzato (Flury e Huber, 2008).

Conclusioni

Nonostante il fatto che in Svizzera si sia affrontata nel corso degli anni Novanta un’ampia riforma agraria orientata al principio del disaccoppiamento tra le produzioni agricole e l’intervento dello Stato, varie sono le questioni che sono ancora aperte. Una in particolare è fonte di ampie discussioni nella Confederazione: la volontà, da una parte, di rendere il settore più competitivo e in grado di mantenere un suo ruolo anche in un ambito in cui i mercati agricoli internazionali vengano ulteriormente integrati e, dall’altra parte, il desiderio di conservare un settore tradizionale, costruito soprattutto sul modello delle aziende familiari. Entrambe le alternative sembrano praticabili nel rispetto del principio del disaccoppiamento; nel secondo caso tuttavia, a nostro modesto avviso, con un carico maggiore per i cittadini-contribuenti e con minori garanzie di sostenibilità. Alcuni studi indicano che applicando pochi accorgimenti mirati sarebbe possibile accelerare in modo socialmente accettabile un progresso del cambiamento strutturale in agricoltura. Una competitività più accentuata non sembrerebbe infine minacciare la produzione di gran parte delle prestazioni multifunzionali dell’agricoltura ad eccezione di un certo contributo agli insediamenti in alcune delle aree più a rischio di spopolamento. Per quest’ultima prestazione si pone in ogni caso la domanda se non vi siano misure più mirate e più efficaci che la “conservazione” indiretta attraverso la politica agraria.

Riferimenti bibliografici

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