Vino: cosa cambia con DOP e IGP al posto di DOC e IGT?

Vino: cosa cambia con DOP e IGP al posto di DOC e IGT?
a Università degli Studi di Teramo, Facoltà di Bioscienze e Tecnologie Agro-Alimentari e Ambientali

Uno dei temi più rilevanti della riforma dell’OCM del mercato vitivinicolo, prevista dal Reg. (CE) n.479/2008, è quello dell’istituzione di un quadro omogeneo a livello comunitario per la protezione delle denominazioni di origine, riconducibile alla normativa comunitaria per i prodotti agricoli e alimentari, cioè alle Denominazioni di Origine Protetta (DOP) e alle Indicazioni Geografiche Protette (IGP). Nei consideranda del regolamento si legge infatti che “per permettere l’istituzione di un quadro trasparente e più completo che corrobori l’indicazione di qualità di tali prodotti (vini di qualità), si dovrebbe prevedere un regime che permetta di esaminare le domande di denominazione di origine o indicazione geografica in linea con l’impostazione seguita nell’ambito della normativa trasversale della qualità applicata dalla Comunità ai prodotti alimentari diversi dal vino e dalle bevande spiritose nel regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari.”
La precedente normativa a livello comunitario suddivideva i vini tra vini di qualità prodotti in regioni determinate (VQPRD) e vini da tavola; nell’ambito di questi ultimi era prevista un’ulteriore possibile distinzione tra vini da tavola senza indicazione geografica e vini da tavola con indicazione geografica. Una normativa specifica era stabilita per i VQPRD, quale minimo comune denominatore per le forme di riconoscimento previste a livello dei singoli Stati membri.
La via italiana alla qualità, definita dalla Legge 164/1992 e inserita nell’ambito della suddetta classificazione, prevede due tipologie di vini VQPRD, i vini DOC e quelli a Denominazione d’Origine Controllata e Garantita (DOCG), e una tipologia di vini da tavola con indicazione geografica, i vini IGT, Indicazione Geografica Tipica. La filosofia ispiratrice della legge è stata quella della definizione di una “piramide della qualità” con vini di pregio via via crescente per denominazioni di ordine superiore (da IGT a DOC a DOCG). Le basi per la costruzione di questa piramide sono la possibilità di coesistenza sullo stesso territorio (e per gli stessi vitigni) di più denominazioni, e le scelte vendemmiali e di cantina permesse ai produttori, cioè la possibilità di scegliere sia al momento della vendemmia che al momento della commercializzazione del prodotto in quale categoria iscrivere i propri vini, in modo da assicurare una coerenza tra qualità del prodotto e livello della denominazione. L’appartenenza dei vini DOC e DOCG alla classe dei VQPRD comporta delle differenze normative rispetto agli IGT, in particolare relativamente ai contenuti dei disciplinari e ai relativi controlli in termini di analisi fisico-chimiche ed organolettiche.
Sulle implicazioni giuridiche del passaggio previsto dalla riforma si rimanda all’articolo esaustivo di Ferdinando Albisinni apparso su Agriregionieuropa n.12, dove sono messe in evidenza alcune problematiche di non poco conto, quali:

  • l’assegnazione di una categoria superiore ai vini IGT, che divenendo IGP passano dalla categoria dei vini da tavola con indicazione geografica a quella dei vini di qualità (tra l’altro in condizioni di scarsa differenziazione percepita tra DOP e IGP per gli altri prodotti agroalimentari);
  • il rischio di una minore capacità di protezione delle denominazioni di origine rispetto ai marchi commerciali preesistenti, in quanto l’assimilazione della normativa a quella degli altri prodotti agroalimentari elimina la specificità, e quindi il regime particolare, riconosciuta ai vini anche dagli accordi internazionali (Accordo TRIPS);
  • la tendenza all’unificazione dei controlli di conformità al disciplinare (quindi di qualità in senso stretto) e dei controlli con finalità igienico-sanitarie nell’ambito del Reg. (CE) n. 882/2004, come già in essere per gli altri prodotti agroalimentari con denominazione d’origine.

Attualmente è in corso di definizione il regolamento attuativo relativo all’applicazione della normativa sulle denominazioni d’origine e indicazioni geografiche, che entrerà in vigore a partire dal 1° agosto 2009, e alle norme relative all’etichettatura e presentazione dei prodotti; il quadro giuridico non è ancora completamente definito e sono in corso consultazioni a livello nazionale per definire la posizione italiana nei confronti della proposta.
A dire il vero, questa parte della riforma non è stata sostanzialmente modificata a seguito del dibattito precedente l’approvazione dell’OCM e anche in seguito non ha avuto molto spazio nel dibattito pubblico interno, se si eccettua una recente (nei mesi di settembre e ottobre di quest’anno) escalation di notizie caratterizzate da toni allarmistici sulla stampa nazionale, presto sopitasi. Il tema però è uno degli aspetti più importanti di tutta la riforma e necessita di un dibattito serio ed approfondito.
In questo articolo, più che entrare negli schemi giuridici, che sono appunto ancora in corso di definizione, si cercherà di mettere in evidenza alcune problematiche di tipo economico e soprattutto si proporranno alcuni spunti di riflessione sulle conseguenze sulla competitività delle imprese e del settore che le diverse scelte potranno comportare.

Importanza economica delle denominazioni di origine in Italia

La rilevanza del tema in discussione è strettamente legata all’importanza quantitativa delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche e al loro ruolo nella competitività della viticoltura italiana.
Secondo i dati forniti dall’ISTAT, nel 2007, la produzione di vini con indicazione d’origine, intesa come somma dei vini DOC, DOCG e IGT è stata di oltre 26 milioni di ettolitri, ossia oltre il 64% del totale del vino prodotto sul territorio nazionale. I vini a denominazione d’origine (DOC-DOCG) con oltre 14 milioni di ettolitri rappresentano quasi il 35% del totale. I vini con indicazione geografica (IGT), con 12 milioni di ettolitri di produzione, rappresentano invece il 29%, mentre i vini da tavola senza denominazione il restante 36%.
Le differenze geografiche sono rilevanti in quanto al Nord i vini con indicazione d’origine rappresentano l’81% del vino prodotto, al Centro il 78% e al Sud solo il 36%. E’ prodotta al Nord la maggior parte del vino DOC e DOCG (60%) e del vino IGT (62%), mentre il Sud ha il primato per la produzione di vino da tavola (65%). Oltre a queste distinzioni a livello di macroregioni anche le differenze regionali sono molto rilevanti, ad indicazione sia di un diverso livello qualitativo delle produzioni sia di diverse scelte strategiche effettuate dalle Regioni nell’implementare la politica della qualità.
Anche l’andamento tendenziale mostra un’importanza crescente delle produzioni di qualità, che sono passate negli ultimi quattro anni dal 31% al 35% per quanto riguarda DOC e DOCG e dal 26% al 29% per gli IGT, pur in un contesto di generale diminuzione della produzione.
Il valore economico dei consumi domestici dei vini DOC e DOCG, secondo il panel ISMEA-AC Nielsen, è pari a 632 milioni di Euro e pesa per il 42,7% del totale dei consumi di vino (2005), anch’esso con una quota in crescita (ISMEA, 2007). Anche il valore delle esportazioni segnala l’importanza dei vini di qualità: i vini DOC e DOCG insieme agli spumanti hanno coperto nel 2006 il 55% degli introiti dell’export di vino, stimati in circa 3.200 milioni di euro, in totale (Mediobanca, 2008).
Oltre all’importanza economica è il caso di segnalare la complessità della struttura delle denominazioni d’origine dei vini in Italia, dove nel 2006 risultavano presenti 477 denominazioni, di cui 320 DOC, 34 DOCG e 123 IGT. Nel solo Piemonte sono presenti 55 denominazioni (ed in Piemonte non vi sono vini IGT), in Toscana 46 e nel Veneto 37. Nonostante questo numero così elevato, la concentrazione è abbastanza rilevante, in quanto le prime dieci denominazioni coprono il 43% del totale della produzione (ISMEA, 2007). L’elevato numero di denominazioni, la forte differenziazione regionale e la differente importanza delle varie denominazioni rende complesso il compito di valutazione degli effetti della riforma della OCM.

I problemi aperti dalla nuova normativa: quali possibili conseguenze?

Il primo tema di discussione riguarda i possibili effetti del cambiamento di status dei vini IGT, che trasformandosi in IGP assumono una categoria di qualità superiore e quindi dovrebbero poter ottenere un maggiore riconoscimento da parte dei consumatori.
Sicuramente la riforma supera in questo senso la logica della “piramide della qualità” impostata dalla normativa nazionale e che aveva mantenuto la sua struttura anche nella precedente OCM, da un lato perché le DOC e le DOCG, che nella normativa nazionale rappresentavano teoricamente un differente livello qualitativo, entrano a far parte entrambi del novero delle DOP, dall’altro perché appunto anche i vini IGT, trasformandosi in IGP, entrano a far parte della stessa categoria disciplinare dei precedenti.
In realtà questo approccio “a piramide”, per motivi di sviluppo storico delle denominazioni, di politiche regionali e di strategie di marketing, è rimasto in gran parte nelle intenzioni del legislatore e non si è trasferito nella dinamica della produzione e del mercato.
Vi sono regioni (es. il Piemonte) in cui non esistono vini a IGT e dove la differenziazione verticale è legata alla presenza di denominazioni d’origine specifiche territoriali (sia DOC che DOCG) e ad una denominazione di carattere regionale (la DOC Piemonte). Oppure casi (come il Chianti in Toscana) dove il prodotto DOCG non rappresenta una specificazione con caratteristiche maggiormente restrittive di una più ampia area a DOC, ma è la denominazione principale del territorio.
In altre regioni invece, come l’Abruzzo, tra i vini DOC (es. Montepulciano d’Abruzzo) e i vini IGT la differenziazione orizzontale prevale su quella verticale, in quanto i vitigni ammessi nei rispettivi disciplinari sono diversi (per i vini IGT non è previsto l’utilizzo del vitigno Montepulciano caratteristico della DOC). Così per ogni regione si potrebbero evidenziare caratteristiche specifiche sia per quanto riguarda gli aspetti qualitativi sia per quanto riguarda gli aspetti quantitativi relativamente all’importanza delle diverse denominazioni.
A livello nazionale abbiamo quindi una situazione in cui non prevale una differenziazione verticale basata sulla tipologia di denominazione (differenza tra denominazioni d’origine e indicazioni geografiche), cui il consumatore non sembra riconoscere una grande importanza; ma vi è una forte differenziazione orizzontale tra regioni e tra denominazioni di una regione, legata alla riconoscibilità delle diverse denominazioni o alla fama dei diversi territori, che si riflette in un forte differenziale di prezzo che mediamente i prodotti riescono a spuntare sul mercato.
E’ difficile fornire dei dati sistematici sui prezzi, ma un’indagine recente svolta da IRI Infoscan per Vinitaly sulla vendita di vino nella GDO (2008) fornisce delle interessanti indicazioni in tal senso (Tabella 1). Le tre principali denominazioni vendute sugli scaffali della grande distribuzione sono rispettivamente una DOCG (Chianti), una DOC (Montepulciano d’Abruzzo) e una IGT (Nero d’Avola: IGT Sicilia). Quest’ultimo prodotto presenta un prezzo medio a bottiglia più elevato di alcune DOC (Montepulciano d’Abruzzo o Lambrusco), così come alcune DOC hanno prezzi più elevati di alcune DOCG (es. Cannonau rispetto al Chianti) e la differenziazione di prezzo tra prodotti di regioni diverse e all’interno della stessa regione è molto elevata.

Tabella 1 - Graduatoria per dimensione delle tipologie di vino in bottiglia da 0,75l DOC, DOCG, IGT nella GDO (Ipermercati+Supermercati+Libero Servizio Piccolo) nel 2007

Fonte: IRI Infoscan

E’ vero quindi che la riforma non andrà ad incidere sulle denominazioni esistenti che potranno conservare, attraverso il meccanismo delle menzioni tradizionali previsto dall’art. 54 del Reg. (CE) 479/2008, la differenziazione esistente, mantenendo i termini DOC, DOCG e IGT insieme alla denominazione, ma è anche vero che questa differenziazione di tipo verticale andrà mano a mano perdendo di importanza.
Il passaggio delle IGT a IGP prevede invece degli ulteriori obblighi ed è questo il secondo tema di discussione che accompagna il citato cambiamento di status dei vini con indicazione geografica. Dai termini del Reg. (CE) 479/2008, i maggiori obblighi saranno relativi, in particolare, ai contenuti dei disciplinari, relativamente alla descrizione delle caratteristiche analitiche ed organolettiche, all’obbligo di vinificazione nell’area di produzione, alla necessità di effettuare le attività di verifica del disciplinare nel rispetto dei meccanismi di controllo previsti per tutti gli altri prodotti DOP e IGP.
A questo proposito si deve ricordare che le attuali IGT sono automaticamente protette dal nuovo Regolamento e che gli Stati membri hanno l’obbligo entro il 2011 di presentare alla Commissione i fascicoli tecnici contenenti i disciplinari di produzione; non è chiaro se questo obbligo comprenda anche l’obbligo di adeguamento dei disciplinari esistenti qualora non conformi con quanto previsto o se questo sia richiesto solo in caso di modifiche al disciplinare stesso o per l’istituzione di nuove indicazioni geografiche. In ogni caso, lo sforzo di uniformità ricercato a livello comunitario, anche a salvaguardia dei prodotti di maggiore qualità e degli Stati con una normativa più restrittiva, dovrebbe essere inteso verso una interpretazione più restrittiva della norma, che porti ad un innalzamento delle garanzie di qualità nei confronti del consumatore.
Diverso è invece il discorso per quanto riguarda i controlli: sicuramente i controlli relativi alle produzioni IGT dovranno uniformarsi a quanto previsto per le denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, con l’intervento delle Autorità pubbliche o di organismi di certificazione privati. Il sistema dei controlli deve cambiare anche per gli attuali vini a denominazione di origine, in quanto gli organismi di certificazione privati dovranno rispondere alla norma europea EN 45011 e, sotto quest’ultimo aspetto, occorre verificare se i Consorzi di Tutela, che solo recentemente e dopo un ampio dibattito hanno potuto ottenere l’affidamento dei controlli erga omnes (cioè per tutti i produttori appartenenti alla denominazione anche se non soci del Consorzio di Tutela), potranno continuare ad operare in questo modo alla luce della nuova normativa.
Infine, occorre segnalare un altro cambiamento nelle norme di etichettutura dei vini: la possibilità di indicare nei vini da tavola, sotto particolari condizioni, il vitigno e l’annata. Questo è un tema “caldo” in quanto è chiaro che la concorrenza dei vini da tavola ricade soprattutto sulle IGT, che in generale hanno basato il loro punto di forza più sulla comunicazione del vitigno, che sul territorio. Rispetto a questa norma, ed in vista delle scelte più o meno restrittive che dovranno essere compiute dagli Stati membri, è bene considerare un duplice possibile effetto. In primo luogo un riposizionamento della concorrenza interna (tra produttori), in quanto, se la norma è applicata in modo estensivo, possono essere favoriti i produttori con meno vincoli geografici (e quindi tendenzialmente di maggiori dimensioni) in grado di approvvigionarsi più facilmente su tutto il territorio nazionale, rispetto ad esempio alle cantine cooperative che hanno una forte connotazione territoriale. Dall’altro, però, un allargamento degli attributi di qualità con cui il prodotto può essere identificato (e il vitigno e l’annata sono tra questi) rende il prodotto europeo più competitivo sui mercati esteri, in quanto permette ai produttori di “giocare ad armi pari” con i produttori al di fuori della UE, utilizzando tutti i messaggi disponibili (territorio, vitigno, annata, ecc.).
In quest’ottica un effettivo spostamento verso l’alto del posizionamento dei vini IGT come dovrebbe essere previsto dalla loro trasformazione in IGP, se effettivamente percepito dai consumatori, può contribuire alla differenziazione di questi prodotti dai vini da tavola con indicazione del vitigno.

Considerazioni conclusive

La rilevanza quantitativa ed in valore dei consumi, sia nel mercato domestico che nelle esportazioni, dimostra l’importanza degli effetti che la riforma delle denominazioni dei vini può avere sul sistema produttivo nazionale.
Questa riforma non tocca nell’immediato le denominazioni di origine e le indicazioni geografiche esistenti, come era stato in un primo momento paventato dalla stampa, ma sicuramente ridisegna il sistema delle denominazioni e quindi modifica nel lungo periodo il sistema della qualità così come è oggi strutturato in Italia.
Se applicato in modo organico (da tutti i Paesi membri) potrebbe portare una serie di effetti positivi per la competitività dei prodotti italiani sui mercati internazionali: in primo luogo, perché costringerebbe tutti gli Stati membri ad uniformare (verso l’alto) la propria normativa e quindi dovrebbe favorire le produzioni di maggiore qualità; in secondo luogo, perché potrebbe spostare verso l’alto la percezione dell’intero sistema produttivo comunitario, qualificando le produzioni dei vini IGT attraverso la loro trasformazione in IGP ed introducendo la possibilità di utilizzare i nomi dei vitigni e l’annata come indicatori di qualità dei vini da tavola propriamente detti.
In termini di marketing, cambiare un marchio riconosciuto dal consumatore rappresenta sempre un costo e questo è il maggiore rischio che si corre quando ci si pone il dilemma se mantenere nei prodotti esistenti la menzione tradizionale (es. DOC) oppure spostarsi verso la nuova denominazione (DOP). E’ vero però che non cambiare potrebbe rappresentare nel lungo periodo una soluzione peggiore, in quanto potrebbe aumentare la confusione del consumatore e quindi abbassare la sua capacità di distinguere tra prodotti con diverse denominazioni (che è peraltro già oggi molto bassa). Basti pensare a cosa può succedere in un mercato dove permangono alcuni vini DOC (avvalendosi della possibilità di mantenere le menzioni tradizionali), altri cambiano la loro denominazione in DOP (per scelta o in seguito alla necessità di adeguamento del disciplinare) e si aggiungono delle nuove denominazioni DOP. La situazione potrebbe essere ancora peggiore se la scelta non fosse effettuata a livello di consorzi di tutela, ma di singolo produttore.
La coesistenza tra vecchie e nuove denominazioni potrebbe essere nel lungo periodo più negativa di una scelta netta. La difficoltà principale può essere legata a quei prodotti che hanno cercato attraverso la DOCG di differenziarsi verticalmente (con un disciplinare obbligatoriamente più restrittivo) dalle DOC ricadenti su uno stesso territorio, e che perderebbero in questo modo l’espressione della loro differenziazione: in questo caso potrebbe essere utile conservare il termine DOCG come menzione tradizionale!
Molto meno importante è invece il cambiamento per tutti gli altri prodotti in cui prevale la differenziazione orizzontale legata appunto alla denominazione d’origine (quindi al territorio o alla denominazione mista vitigno/territorio o ancora alla particolare menzione tradizionale), dove ha contato maggiormente la capacità di differenziarsi attraverso adeguate strategie di marketing a livello territoriale e quindi dove la denominazione conta più del marchio.
Nella riforma convivono quindi elementi di criticità con potenzialità che possono più o meno ampliamente esprimersi, quali il raggiungimento di una maggiore uniformità normativa a livello comunitario, la capacità di comunicare un messaggio più omogeneo ai mercati internazionali, l’allargamento della dimensione della qualità ad un maggior numero di prodotti. La riforma avrà degli impatti a livello strutturale e non è vero che tutto resterà come prima, ma al di là di facili allarmismi è bene avviare sulle scelte compiute e ancora da compiere una riflessione strategica e di lungo periodo.

Riferimenti bibliografici

  • Albisinni F. (2008), La OCM vino: denominazioni di origine, etichettatura e tracciabilità nel nuovo disegno disciplinare europeo, Agriregionieuropa, n.12, marzo 2008
  • Malorgio G., Camanzi L., Grazia C. (2007), Effectiveness of European Appellations of Origin on the International wine market, paper 105° EAAE Seminar, Bologna
  • INEA (2001), Il settore vitivinicolo in Italia
  • IRI Infoscan (2008), La grande distribuzione e la diffusione del vino italiano di qualità in Italia e all’estero. Presentazione per Vinitaly
  • ISMEA (2005), I vini Doc, Docg e Igt. Aspetti normativi, economici e di mercato
  • ISMEA (2007), I vini Doc e Docg. Una mappatura della vitivinicoltura regionale a denominazione d’origine
  • Pollini L. (2008), Cosa succede a DOC e DOCG?, MilleVigne, n.7, ottobre 2008
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