Il sistema di ricerca agricolo: organizzazione e ruolo delle regioni

Il sistema di ricerca agricolo: organizzazione e ruolo delle regioni
Istituto Nazionale di Economia Agraria

Introduzione

In Italia, il soggetto istituzionale Regione promuove la ricerca per l’agricoltura sin dagli anni Ottanta-Novanta; infatti, gli assessorati all’agricoltura, pur non avendo strutture regionali dedicate, né indirizzi politici specifici, hanno finanziato studi inerenti problematiche territoriali specifiche o hanno partecipato ad attività sperimentali organizzate dal Ministero fornendo siti per le prove in campo per il tramite degli Enti di Sviluppo. La natura stessa delle tematiche agricole, evidentemente legate alle specificità locali e alle differenze climatiche e orografiche, ha reso utile e necessario un rapporto sempre più intenso fra le università e gli enti di ricerca dislocati nei diversi territori e le strutture regionali di governo dell’agricoltura tant’è che, nell’ambito della stima del finanziamento complessivo nazionale alla ricerca, l’Annuario dell’agricoltura INEA introduce il dato per regione già nel 1987; la spesa stimata passa dai circa 30 miliardi di lire del 1987 ai 130 del 2000.
Le prime Regioni che hanno avviato un processo di riflessione strutturata sulla propria attività di promozione della ricerca e hanno cominciato a delineare indirizzi di politica e percorsi di governance dei finanziamenti sono state quelle del Centro/Nord (Bolzano, Trento, Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana); la prima normativa di riferimento risale agli anni Settanta (Bolzano, Piemonte); le Regioni del Sud hanno promosso un’analoga attività a partire dal 2000. Fra le motivazioni di questo “ritardo” l’impegno profuso in iniziative di promozione della ricerca e del trasferimento delle innovazioni nei Programmi Operativi per le regioni Obiettivo 1 finanziati dalla Commissione europea dal 1989 al 2001.
Un ruolo ufficiale nella promozione della ricerca è stato dato alle Regioni dalla Legge costituzionale n. 3 del 18/10/2001 che, modificando il Titolo V della parte seconda della Costituzione, ha indicato la ricerca scientifica e tecnologica e il sostegno all’innovazione per i settori produttivi quale materia di legislazione concorrente: spetta cioè alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata allo Stato. Da quel momento, l’impegno regionale si è intensificato, come dimostrato dal moltiplicarsi di norme e programmi di indirizzo e dall’incremento dell’investimento finanziario.

Le caratteristiche dell’impegno regionale negli ultimi dieci anni

Per verificare quali siano gli elementi caratterizzanti l’intervento pubblico regionale sia in riferimento agli indirizzi politici che alle eventuali peculiarità rispetto agli altri livelli istituzionali, (Stato e Unione Europea), è utile prendere in considerazione due aspetti:

  • le tipologie, i contenuti, i risultati delle ricerche finanziate che sono indicativi della produzione scientifica promossa;
  • i ruoli, le modalità, le procedure previste nelle diverse normative che consentono di capire quali sono gli obiettivi “di sistema” che le Regioni si pongono (Vagnozzi et al., 2006).

La banca dati della ricerca agricola regionale disponibile sul sito web dell’INEA(1) è un’iniziativa promossa dalle Regioni di concerto fra loro per avere a disposizione uno strumento che raccolga le informazioni salienti delle ricerche finanziate e consenta di realizzare analisi periodiche. E’ ad oggi l’unica fonte di dati sulla ricerca agricola pubblica declinata per regioni (2) con un sufficiente dettaglio di informazioni; da essa provengono gli elementi descrittivi che seguono.
Volendo fare un sintetico identikit della ricerca agricola regionale (Tabella 1), si può dire che è sostanzialmente di tipo applicato (56%) e sperimentale (43%), riguarda per la gran parte le produzioni vegetali (57%) - a fronte dell’11% rivolto alle produzioni animali -, promuove in maniera molto ricorrente due obiettivi: la riduzione dei costi di produzione (31,7%) e la messa a punto di nuovi prodotti o di prodotti di migliore qualità (26,5%), anche se sono piuttosto frequenti gli obiettivi della protezione delle coltivazioni (16,9%) e della gestione equilibrata delle risorse naturali (14,7%).
Le innovazioni prodotte sono per la gran parte di processo (80%). In coerenza con i contenuti delle ricerche sopra evidenziati, tali innovazioni riguardano soprattutto l’ambito agronomico (21%), biologico (15%) e le tecniche di produzione (8%) e vengono veicolate mediante supporti classici a stampa (71% - manuali, articoli su riviste ecc.).
I progetti di ricerca sono di norma realizzati da un gruppo articolato di soggetti coordinati in genere dalle università (34%) o da enti di ricerca regionali (11%), quando non vengono create Associazioni temporanee di impresa (Ati) o Consorzi (15%) per la gestione dei progetti più complessi. Un elemento peculiare delle ricerche regionali è di comprendere al loro interno le attività di collaudo, divulgazione e informazione (75%).

Tabella 1 – La ricerca regionale tipo

Fonte: INEA

Il costo totale dei progetti presenti nella banca dati al 2004 è pari a poco più di 131 milioni di euro, con una media per progetto di circa 123 mila euro. Le regioni con il costo medio per ricerca ed il corrispettivo contributo pubblico medio superiore sono Friuli, Emilia-Romagna, Lombardia e Sicilia.
Sul versante della governance, negli ultimi 10 anni, le Regioni hanno investito molto sia in termini normativi che procedurali. Due sono stati gli obiettivi perseguiti: da un lato delineare modelli organizzativi fluidi, in grado di accompagnare gli indirizzi di politica, dall’altro promuovere una pianificazione dei finanziamenti che risponda ai reali bisogni dell’agricoltura dei diversi territori rurali.
Pertanto, è stata data grande importanza al processo di definizione della domanda di ricerca il cui scopo è di individuare problematiche concretamente esistenti e sufficientemente sentite a livello territoriale, così da massimizzare l’efficacia dei risultati in un’ottica di sviluppo delle filiere produttive e/o degli ambienti rurali regionali. Allo scopo, la formulazione della domanda di ricerca che, fino a non molti anni fa, veniva realizzata in quasi tutte le Regioni consultando solo i rappresentanti del sistema ricerca, oggi viene effettuata mediante il confronto con una più vasta gamma di soggetti (operatori dei servizi, organizzazioni agricole, portatori di interesse della società civile ecc.), nonché attraverso modalità più o meno articolate e strumenti diversificati (quali incontri, riunioni, tavoli di concertazione tecnica, comitati consultivi e di indirizzo, specifici forum, questionari ed anche richieste pubbliche di segnalazioni di interesse).
In merito, invece, ai modelli organizzativi ed alle procedure di attuazione (Vagnozzi et al., 2006), le regioni e province autonome presentano situazioni molto differenziate, ma se ne possono distinguere essenzialmente due, spesso compresenti (Figura 1):

  • realizzazione diretta delle attività di ricerca, attraverso l’adesione a consorzi o associazioni tra organismi di ricerca pubblici e privati (modello “semi-accentrato”) oppure attraverso propri enti strumentali, finanziati parzialmente o totalmente dalla Regione o dalla Provincia (modello “accentrato”), in genere sulla base di un programma di interventi da approvare (oltre che per rispondere a particolari esigenze) (3);
  • affidamento delle attività di ricerca a strutture esterne (modello “decentrato”), tramite bandi o avvisi pubblici (Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia-Romagna, Toscana, Marche, Molise, Umbria, Lazio, Campania-Assessorato Ricerca, Sardegna, Sicilia), assegnazione diretta (Piemonte-Direzione Foreste, Umbria, Calabria), oppure con procedura mista (4) (Trento, Piemonte-Direzione Agricoltura, Liguria, Basilicata, Puglia).

L’attuale ampia diffusione dell’approccio “decentrato” deriva dal fatto che, negli ultimi anni, molte Regioni - nel rispetto delle norme comunitarie sulla concorrenza - hanno revisionato le disposizioni sulla ricerca e sui servizi in generale, attivando la procedura concorsuale per l’accesso ai finanziamenti da parte di istituzioni sia pubbliche che private. L’affidamento diretto è invece molto meno presente, riguardando progetti che sono generalmente di piccole dimensioni finanziarie.
La procedura concorsuale è indubbiamente più complessa da gestire, ma meno “corporativa” e garantisce meglio le istituzioni pubbliche rispetto a:

  • maggiore efficienza ed oggettività del processo di selezione, nel senso che, in una situazione di carenza di fondi, si può scegliere il soggetto più idoneo dal punto di vista scientifico e meglio organizzato sotto il profilo gestionale;
  • possibilità di incidere, tramite i criteri di scelta, sui contenuti e sulla qualità organizzativo-gestionale dei progetti di ricerca.

Figura 1 - Modelli regionali per la realizzazione degli interventi di ricerca

La Rete dei referenti regionali della ricerca: un’esperienza di coordinamento istituzionale

Un aspetto di grande interesse dell’esperienza regionale di finanziamento della ricerca per l’agricoltura è l’intensa attività di coordinamento interregionale che è stata attuata sin dagli anni Novanta. I temi sui quali è maturata un’esigenza di confronto e cooperazione sono stati sia tecnici che metodologici. Tale attività, in una prima fase realizzata quasi a livello volontaristico, è stata ritenuta interessante anche a livello politico e, nell’ottobre del 2001, la Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome ha approvato l’istituzione della Rete dei referenti regionali per la ricerca agraria, forestale, in acquacoltura e pesca. Gli obiettivi di fondo di questo strumento tecnico e di governance sono riportati nel Documento di intenti approvato dalla stessa Conferenza (dicembre 2001):

  • operare in maniera integrata per risolvere problematiche comuni ai differenti ambiti territoriali italiani, migliorare l’uso delle risorse, sviluppare capacità di lavoro di rete, stimolare la competitività del sistema nazionale della ricerca, assicurare l’economicità e l’efficacia;
  • adottare procedure comuni che, in base a Linee Guida condivise, permettano la gestione di progetti interregionali di innovazione e ricerca.

La scelta delle tematiche rispetto alle quali promuovere la ricerca pubblica è stata il banco di prova del coordinamento fra le Regioni. La Rete ha costituito i cosiddetti “gruppi di competenza”, organizzati per filiere e temi trasversali, composti da personale tecnico delle Regioni a cui ha dato il compito di proporre argomenti di studio sulla base della domanda emersa nei territori rurali. Il lavoro dei gruppi di competenza ha portato alla redazione per i trienni 2003-2006 e 2007-2009 del documento “Obiettivi ed azioni prioritarie di ricerca e sperimentazione individuate dalla Rete interregionale per la ricerca agraria, forestale, acquacoltura e pesca” che raccoglie schede sintetiche con gli argomenti che la Rete ritiene prioritari per la ricerca regionale. Un altro interessante risultato del coordinamento regionale è stata l’attività di riflessione, realizzata mediante specifici seminari, sulle modalità e gli strumenti utilizzati dalle Regioni per promuovere ricerca. Sul fronte dei metodi, l’interesse dei referenti regionali si è concentrato soprattutto sui temi della progettazione delle attività di ricerca e della ricognizione della domanda di ricerca, mentre riguardo agli strumenti c’è stato un ampio dibattito sull’utilizzo del bando e dell’avviso pubblico per scegliere i progetti da finanziare.
L’ultima iniziativa della Rete, ancora in corso di attuazione, è la promozione dei Progetti interregionali di innovazione e ricerca, cioè progetti con una Regione capofila ed altre partecipanti che hanno come obiettivo problematiche agricole comuni sulle quali le attività di studio sono carenti. Gli 11 progetti avviati (Regione siciliana, 2006), per un costo complessivo di circa 10 milioni di euro (5), sono stati assegnati a gruppi di istituzioni di ricerca che sono stati selezionati con apposito bando di gara. Le Regioni hanno attribuito molta importanza a questa iniziativa. Essa ha consentito loro di verificare modalità comuni di lavoro che sono state codificate in un documento ufficiale e saranno la base di partenza per nuove attività interregionali (Tabella 2).

Tabella 2 - Elementi essenziali della gestione dei Progetti Interregionali di innovazione e ricerca

Conclusioni

Alla luce di quanto sinteticamente descritto nei paragrafi precedenti, si può senz’altro concludere che il peso delle Regioni nell’ambito delle politiche per la ricerca agricola è importante ed è destinato ad aumentare in considerazione sia dell’impegno finanziario sia dell’attenzione rivolta all’implementazione di regole e strumenti di azione. Le Regioni mostrano un interesse molto marcato verso la promozione di una ricerca applicata strettamente interrelata alle politiche regionali di sviluppo dell’agricoltura e alle specifiche esigenze di territori e imprese. Si tratta di una ricerca finalizzata alla pratica agricola in senso stretto e a quegli aspetti di essa che rivestono scarso interesse da parte di soggetti privati, tanto é che riguardano più le colture che l’allevamento, più la riduzione dei costi di produzione delle imprese agricole rispetto ai processi di produzione dell’industria agroalimentare. E’ molto evidente, in definitiva, la concentrazione dello sforzo regionale rispetto alle problematiche correlate all’asimmetria informativa nei suoi vari aspetti, all’approccio problem solving e alla promozione dell’innovazione nel sistema delle imprese.
Per il raggiungimento delle proprie finalità le Regioni investono molto in termini di governance, di procedimenti amministrativi, di creazione di reti, di costituzione di gruppi di ricerca strutturati: l’obiettivo è “il controllo del risultato” non soltanto nell’accezione amministrativo-contabile, ma rispetto ai contenuti e all’applicabilità delle innovazioni prodotte dalle ricerche. L’effetto positivo di tale impostazione è la notevole diffusione di processi di concertazione nell’impostazione e nell’attuazione dei progetti di ricerca, che ha contribuito a modificare l’approccio dei ricercatori verso i finanziamenti pubblici e le loro modalità di lavoro.
È tuttavia possibile evidenziare anche i rischi dell’approccio regionale. Si tratta di effetti indiretti che possono derivare dal condizionamento della libertà di ricerca e, quindi, della sua capacità di contribuire all’avanzamento della conoscenza: infatti, la promozione di studi eminentemente applicativi, la cui struttura ed il cui percorso di approfondimento vengono definiti in sede di contrattazione con l’istituzione finanziatrice, rischia di limitare la creatività e le potenzialità dell’attività di ricerca (Dosi et al. 2005), trasformandola in una buona sperimentazione applicata, ma nulla di più. Un altro elemento problematico è rappresentato dalla eccessiva complessità delle procedure attivate dalle Regioni, sia per le strutture amministrative che le governano, sia per gli enti di ricerca che vi sono sottoposti. In proposito, va osservato che, oggi, i maggiori ostacoli possono derivare proprio dai costi aggiuntivi che una così complessa attività di management richiede, più che dalla pur problematica carenza di personale competente e di strutture adeguate.

Note

(1) [link]
(2) Le informazioni presenti nella Banca dati della ricerca agricola regionale riguardano, al momento, le ricerche e gli studi finanziati da 12 Regioni: Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Campania, Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia. Il periodo di riferimento, dovendo rispondere ai procedimenti messi in atto da ciascuna regione e alle diverse specifiche esigenze, è variabile da regione e regione, potendo partire dal 1995 (Basilicata), 1997 (Toscana e Puglia), 1999 (Lombardia, Friuli e Sicilia), 2000 (Veneto ed Emilia) o 2002 (Piemonte e Campania), per terminare nel 2002 (Basilicata), 2003 (Piemonte, Lombardia, Friuli, Veneto e Puglia), 2004 (Emilia, Campania e Sicilia) o 2005 (Toscana), con una concentrazione della maggior parte delle ricerche rilevate negli anni che vanno dal 2000 al 2003.
(3) Il modello organizzativo di tipo “accentrato” è l’unico che si è affermato in realtà con dimensioni geografiche ridotte (Valle D’Aosta e Provincia di Bolzano).
(4) È considerata mista quella procedura che contempla sia l’assegnazione diretta di importanti quote di risorse finanziarie sia il ricorso a bando, mentre quando l’affidamento diretto è limitato ad alcune specifiche situazioni (urgenze, tematiche dai forti legami con il territorio, diritti esclusivi, ecc.) si considera che la scelta regionale è quella del bando (è il caso della Lombardia, della Toscana, ecc.).
(5) La fonte finanziaria dei progetti di ricerca è la legga nazionale n. 499. del 23/12/1999 gestita dal MIPAF e oggi non più operante

Riferimenti bibliografici

  • Dosi G., Llrena P., Sylos Labini M. (2005) : “Science-Technology-Industry links and the “European Paradox”: some notes on the dynamics of scientific and technological research in Europe” LEM Working paper 2005/02.
  • Regione Siciliana, Assessorato agricoltura e foreste (2006), “Innovazione e ricerca in campo agro-forestale”, Atti del Convegno di Palermo su la ricerca agricola regionale, 13 ottobre 2006.
  • Vagnozzi A., Di Paolo I, Ascione E. (2006), “La ricerca agro-alimentare promossa dalle Regioni italiane nel contesto nazionale ed europeo. Quali peculiarità nei contenuti e nella gestione”, Rivista di Economia Agraria, LXI (4), pp. 479-518.
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