Anche nel Lazio partono i distretti rurali e agroalimetari

Anche nel Lazio partono i distretti rurali e agroalimetari

Con la recente approvazione del Regolamento “Disciplina dei distretti rurali e dei distretti agro-alimentari di qualità”, la Regione Lazio si appresta ad attuare la propria L.R. 23 gennaio 2006 n.1 che li istituisce stabilendo una triplice finalità: favorire lo sviluppo rurale, valorizzare le vocazioni naturali del territorio e consolidare l’integrazione tra i diversi settori produttivi in ambito locale; con questo sottolineando conseguentemente lo stretto legame tra le politiche distrettuali e quelle di sviluppo rurale.
A siffatta indicazione strategica fanno seguito nella legge regionale altri due aspetti di notevole importanza. Il primo riguarda la possibilità per i distretti rurali di caratterizzarsi anche per la presenza di zone individuate ai sensi della L.R. 22 dicembre 1999 n. 40 “Programmazione integrata per la valorizzazione ambientale, culturale e turistica del territorio” e di percorsi realizzati ai sensi della L.R. 3 agosto 2001 n. 21 “Disciplina delle strade del vino, dell’olio d’oliva e dei prodotti agro-alimentari tipici e tradizionali”. Il secondo, fortemente innovativo, concerne la possibilità di riconoscere nel perimetro di un distretto rurale anche le aree agricole periurbane che, pur in contesti di forti dinamiche insediative extragricole, presentino uno spiccato interesse agricolo di carattere multifunzionale coerente con le politiche di sviluppo rurale e con le tradizioni e le vocazioni naturali del territorio.
L’inserimento delle aree agricole periurbane, comprese quelle presenti in contesti metropolitani come il Comune di Roma e il suo vasto hinterland, nella programmazione dello sviluppo rurale costituisce peraltro una delle scelte strategiche della Regione Lazio. I sistemi territoriali urbani, infatti, non vengono più visti semplicemente come “vuoti” non rurali, ma come degli insiemi di forze che si propagano in tutta la Regione, influenzando i comportamenti di coloro che vivono e agiscono nei territori circostanti. In altre parole, si vuole fare in modo che le azioni per lo sviluppo rurale si ripercuotano su un bacino di popolazione molto più ampio di quello direttamente coinvolto nel territorio rurale e interagiscano con politiche e soggetti che hanno abitualmente come riferimento esclusivo il territorio urbano.
Il Regolamento di attuazione è, pertanto, mirato in primo luogo a disciplinare le modalità di integrazione tra i fondi stanziati dalla legge regionale sui distretti, le risorse previste dalla programmazione 2007-2013 per lo sviluppo rurale e quelle derivanti da altre politiche territoriali e di coesione. Questo deriva dalla consapevolezza che il successo della politica distrettuale nella Regione Lazio dipenda proprio dalla capacità di far confluire i diversi canali di finanziamento in una progettualità unitaria in grado di servirsi di risorse sufficienti per soddisfare i bisogni di competitività dei territori, di redditività delle imprese e di qualità della vita dei cittadini. Sicché, dovendo i distretti essere individuati quali strumenti di programmazione integrata di filiera e/o territoriale strettamente collegati al futuro Piano regionale di sviluppo rurale 2007/2013 e alle altre politiche di coesione, il Regolamento prevede che le aree distrettuali siano identificate in aderenza alle analisi e alle proposte di zonizzazione formulate nell’ambito di definizione del nuovo Psr regionale.

Procedure per individuare i distretti

In base al Regolamento, l’iniziativa per la creazione dei distretti potrà seguire un doppio binario: il percorso “dal basso” su spinta delle rappresentanze istituzionali e sociali dei singoli territori (Province ed altri enti locali, parti sociali, autonomie funzionali ed altre strutture di sviluppo locale); oppure, in alternativa, quello “dall’alto” per iniziativa diretta della Regione, previo confronto con le istituzioni e le forze sociali locali. Qualora si intenda percorrere la strada più lineare, quella ovviamente che parte dal territorio, i sistemi locali dovranno predisporre e presentare alla Regione proposte documentate e motivate.
Nel deliberare l’individuazione del distretto, la Regione potrà disporre che venga costituito un comitato, denominato “comitato promotore”, con l’incarico di promuovere e coordinare, nel periodo intercorrente tra l’adozione della delibera con cui viene individuato il distretto e la costituzione del soggetto giuridico che lo dovrà gestire, le azioni di tutti gli enti e organismi interessati all’elaborazione del piano di distretto ed alla costituzione del soggetto gestore. Il comitato promotore potrà anche assumere la forma di associazione temporanea tra i suddetti enti ed organismi e le imprese interessate.

Il piano di distretto e il soggetto gestore

Il piano di distretto sarà adottato dalla Regione ed avrà validità triennale, anche se potrà essere finanziato per stralci annuali. Alla sua elaborazione concorrerà il sistema rappresentativo locale, a cui viene data la facoltà di presentare uno schema di piano, anche per il tramite del comitato promotore.
Il piano dovrà, tra l’altro, contenere l’elaborazione di una strategia di sviluppo coerente con le altre politiche di programmazione, a partire dal Psr regionale, e l’identificazione delle risorse disponibili, sia pubbliche che private. Esso potrà, inoltre, prevedere due tipologie di progetti, distinguendo quelli finanziabili in tutto o in parte attraverso la L.R. 1/2006, dai progetti realizzabili con le risorse reperite attraverso le altre forme di finanziamento previste dalla normativa comunitaria, statale e regionale e dalle altre risorse provenienti da soggetti pubblici e privati. Con tale disposizione è evidente l’intenzione di accentuare il ruolo di integrazione progettuale del piano, che dovrà, infine, indicare il soggetto gestore, denominato “società di distretto”, da costituire sottoforma di società per azioni anche consortile per iniziativa del comitato promotore, ove esistente, oppure per impulso delle Province e dei rispettivi sistemi rappresentativi locali.
La società di distretto avrà il compito di elaborare e gestire direttamente determinati tipi di progetti e di coordinare quelli che verranno realizzati da terzi, pubblici e privati, individuati secondo procedure concorsuali o attraverso strumenti di programmazione negoziata. Non marginale ai fini del coordinamento delle azioni di sviluppo locale è la norma che regola i rapporti tra i distretti e gli altri strumenti di intervento territoriale. E’ difatti previsto che, qualora il distretto dovesse riguardare aree in cui insistono programmi leader, strade dei prodotti tipici, piani di sviluppo socio-economico delle comunità montane, i soggetti gestori di tali strumenti ovviamente conservino le rispettive prerogative e spazi di operatività, ma debbano anche ricercare forme di integrazione con la nuova struttura, acquisendo quote di partecipazione della società di distretto.

Le modalità di finanziamento dei progetti di sviluppo

A copertura delle spese la L.R. 1/2006 ha stanziato 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008. Tali fondi sono destinati a finanziare le spese di avviamento e di gestione dei distretti per i primi tre anni di attività e fino ad un massimo di 50 mila euro nonché i progetti di sviluppo, sia quelli che saranno realizzati direttamente dalle società di distretto che quelli presentati dai soggetti terzi pubblici e privati. Le spese relative ai progetti gestiti direttamente dalle società di distretto potranno però essere coperte fino al 100 % di quelle ammesse e riguardare attività di animazione, marketing territoriale e di filiera, promozione, valorizzazione e commercializzazione dei prodotti di qualità; quelle riferite ai progetti di altri proponenti potranno godere di una copertura fino al 40 % delle spese consentite e dovranno caratterizzarsi con altre tipologie di intervento.

I problemi sul tappeto

Nel Lazio il processo di individuazione dei distretti risente in larga misura dell’esperienza, per certi versi positiva e per altri problematica, finora compiuta con l’attuazione dei programmi LEADER e di altre iniziative di valorizzazione del territorio, come i percorsi eno-gastronomici, che hanno fatto emergere non solo capacità progettuali, competenze e conoscenze diffuse, ma anche una forte propensione alla frammentazione delle strutture di gestione e all’identificazione delle aree rurali esclusivamente con quelle caratterizzate da processi di declino economico.
Manca in realtà la piena e convinta consapevolezza nei policy maker che i distretti sono sistemi già esistenti in embrione, caratterizzati da una particolare foltezza e qualità delle relazioni che intercorrono tra le imprese e tra queste ed il contesto locale e la cui competitività dipende essenzialmente dal consolidamento di tali tipologie di relazioni in una strategia di sviluppo. Pertanto, vi è il rischio che il confronto per individuare i distretti si riduca alla scelta casuale, benché sostenuta da un relativo consenso, di talune aree rispetto ad altre, dove essenzialmente allocare le risorse per far fronte alle spese di gestione e funzionamento delle società di distretto e per sostenere i progetti di animazione territoriale da queste elaborate, senza una visione d’insieme delle opportunità e dei bisogni di tutti i sistemi territoriali, nonché dei relativi elementi che li differenziano e nel contempo li connettono.
Andrebbe, invece, aperto un confronto a tutto campo sui contenuti di un progetto di valorizzazione delle esternalità territoriali, in riferimento alle analisi e alle informazioni già acquisite e predisponendo ulteriori strumenti conoscitivi da individuare attraverso un approccio interdisciplinare; il solo in grado di leggere le profonde connessioni presenti nei territori tra le dinamiche che sorgono dalla multifunzionalità dell’agricoltura con gli altri elementi dello sviluppo socio-economico, coi nuovi e più complessi bisogni espressi o latenti delle città e con l’evoluzione delle politiche di intervento riguardanti i sistemi urbani e metropolitani verso obiettivi di sviluppo sostenibile.
Si tratta in buona sostanza di far acquisire gradualmente ai distretti che già operano nel concreto la coscienza di esserlo e di adattare, mediante l’utilizzo di “attrezzi” flessibili, il loro dimensionamento “istituzionale” a reticoli concretamente operanti.
E’ dunque necessario attivare un approccio distrettuale ovunque sia possibile utilizzando competenze e risorse laddove già esistano e favorendo nelle diverse realtà territoriali del Lazio modelli cooperativi di governance, processi di razionalizzazione delle agenzie di sviluppo locale e leadership ampiamente riconosciute.
La piena valorizzazione delle competenze presenti sul territorio è essenziale per convogliare maggiori risorse nella creazione di strutture di gestione dello sviluppo locale nelle aree meno dotate, ma anche per ottenere la più estesa e generalizzata densità progettuale territoriale in grado di far emergere le connessioni tra le diverse dinamiche dello sviluppo, che altrimenti in una scala ridotta non apparirebbero mai. L’utilizzo efficiente dell’insieme degli aggregati tecnico-amministrativi, che in questi anni hanno accumulato esperienze nei processi di sviluppo locale, è infine conveniente per le stesse aree con caratteri di declino economico, in quanto permette di acquisire nuove e aggiuntive risorse finanziarie per le attività che contribuiscono allo sviluppo rurale dell’intero territorio regionale, intercettando politiche e soggetti finanziatori che hanno usualmente come riferimento esclusivo il territorio urbano del Lazio.

Riferimenti bibliografici

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  • Pascale A. (2002) "Partire dal territorio. Agricoltura, rappresentanza e politica nell'Italia che cambia", RCE Edizioni.
  • Pascale A. (2002) Introduzione al Seminario dell'Unioncamere, svoltosi a Roma il 6/7 maggio 2002, sul tema "Distretti agricoli e programmazione negoziata", disponibile on line: [link]
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