Editoriale n. 53 - Intervista a CAP-MAN

Editoriale n. 53 - Intervista a CAP-MAN

Abbiamo avuto recentemente il piacere di incontrare un alieno che, osservando le vicende della Pac dal suo remoto pianeta, tenta, e a volte gli riesce, di vedere più lontano di quanto non succeda a noi abitanti di questa terra. Noi che, condizionati dal fatto di osservare dal basso, abbiamo un orizzonte più limitato. Sia in senso spaziale: occupandoci di agricoltura, spesso non vediamo oltre il nostro campo. Così come, con riferimento al tempo, il continuo flusso di informazioni contingenti ci impedisce una visione di lungo periodo.
Questo alieno, che per l’occasione ha scelto per sé di chiamarsi CAP-MAN, ci ha cortesemente concesso una intervista che riportiamo integralmente. Il suo punto di vista, comunque, ha voluto precisare, è quello di esterno agli interessi agricoli. Da cittadino del suo pianeta, però, ha a cuore il futuro dell’agricoltura (anche di quella europea).

Domanda: Gentile Cap-Man, lei che vede le cose molto da lontano ci dia innanzitutto il suo parere complessivo sul ruolo della Pac in Europa?

CAP-MAN: La Pac ha avuto un ruolo fondamentale nella fondazione e nel consolidamento dell’Unione europea. Per decenni è stata l’unica politica compiutamente comune e, a parte i meriti settoriali (uno fra tutti: ha garantito in pochi anni la sicurezza alimentare), ha indubbiamente consentito al progetto dell’Unione europea di superare la profonda crisi politica che, negli anni Sessanta e Settanta e fino all’Atto Unico europeo di Delors del 1985, avrebbe potuto spezzare il patto sancito nel 1957 con il Trattato di Roma. Nel nostro pianeta abbiamo studiato a fondo la vostra Pac per farne tesoro nel costruire la nostra politica agricola comune.
Insomma, senza Pac forse non ci sarebbe stata l’Unione europea che avete oggi, con le sue grandi contraddizioni, ma anche con il suo enorme potenziale geopolitico ed economico.

D: Il suo giudizio dunque appare complessivamente positivo. La Pac ha avuto un ruolo fondativo dell’Unione e dei meriti settoriali. Da dove originano i problemi?

CAP-MAN: Praticamente dalla vostra Conferenza di Stresa, della quale in questi giorni ricorre il 60° anniversario, e dalle successive scelte di puntare tutto su prezzi garantiti particolarmente alti attraverso acquisti pubblici, dazi alle frontiere e premi all’esportazione. Quello era uno sviluppo drogato, che favoriva le agricolture continentali già ben strutturate e soltanto alcune specializzazioni: cereali e colture industriali (le cosiddette commodity) oltre che latte, carne bovina e pochi altri prodotti.
Restava fuori gran parte dei prodotti mediterranei e di qualità che, proprio voi in Italia, siete specializzati a produrre, come vino, ortaggi, frutta, agrumi. E poi, soprattutto, mancava il sostegno necessario alle agricolture, come ancora quella italiana, che avrebbero avuto bisogno di interventi infrastrutturali e strutturali per costituire imprese agricole di dimensioni adeguate, dotate di tecnologie competitive e guidate da imprenditori professionalmente preparati.

D: Da quella volta, però, la Pac è profondamente cambiata, siamo passati con Mac Sharry nel 1992 ai pagamenti compensativi, poi con Fischler nel 2003 al pagamento unico aziendale disaccoppiato ed ora alla graduale convergenza verso un aiuto al reddito uguale per tutti gli ettari dell’Unione

CAP-MAN: Chi guarda troppo da vicino a volte si concentra sui cambiamenti di facciata. Dovete guardare oltre le apparenze. Quello che conta è capire chi nel tempo ha beneficiato maggiormente dei fondi della Pac. Se osservate la distribuzione dei pagamenti diretti (e, dato il loro peso, della Pac complessivamente) sia tra i beneficiari, che territoriale, noterete ancora delle forti concentrazioni nel Centro-Nord dell’Unione (e in Italia in Valpadana e alcuni altri territori già naturalmente favoriti). Tant’è che tra grado di ruralità e pagamenti diretti c’è una evidente correlazione inversa, solo parzialmente compensata dai fondi dello sviluppo rurale. Al tempo stesso, i cosiddetti aiuti al reddito si concentrano nelle tasche di soggetti che hanno già redditi elevati.
La convergenza verso un pagamento ad ettaro uguale per tutti è ancora di là da venire. E comunque quella soluzione rivela esplicitamente la vera natura dei pagamenti diretti: quella di sostegno alla rendita fondiaria, che premia maggiormente le agricolture che utilizzano la terra con un ridotto impiego di manodopera e forte intensità di mezzi tecnici (capitale fisso e circolante). Al tempo stesso è penalizzata l’agricoltura che, concentrando lavoro su superfici più ridotte, produce prodotti di qualità ad alto valore aggiunto.
Anche questo penalizza la vostra Italia, il cui peso in termini di ettari è relativamente modesto, mentre primeggia in Europa in termini di lavoro e valore prodotto per unità di superficie. Nella vostra stessa Agriregionieuropa avete stimato che, se il peso dell’agricoltura italiana nei confronti di quella dell’UE-15 fosse misurato, non solo con gli ettari, ma anche con l’occupazione, il valore aggiunto o il numero di aziende, l’Italia, rispetto alla media dell'UE-15, avrebbe dovuto e dovrebbe avere dalla Pac il 46% di fondi in più.

D: Converrà comunque che un aiuto al reddito come quello dei pagamenti diretti sia necessario per sostenere le imprese agricole che altrimenti non riuscirebbero a sopravvivere

CAP-MAN: Nel mio pianeta non esistono settori produttivi nei quali, nel lunghissimo periodo (come quello in cui c’è stata la Pac), le imprese non riescano a sopravvivere. Alcune certamente, le meno efficienti, chiudono, ma le restanti fanno profitto. D’altra parte, come hanno fatto a sopravvivere le imprese vitivinicole, frutticole, orticole (ce ne sono tantissimi esempi) o tutte quelle che si sono diversificate con l’agriturismo, l’agricoltura sociale, la trasformazione o la vendita diretta? Nonostante non abbiano beneficiato per niente (o poco) degli aiuti Pac, non solo sono sopravvissute, ma si sono anche sviluppate e inserite con successo nel mercato.
La verità è che i vostri aiuti Pac sono come una droga che, specie se assunta per tanti anni, con il tempo crea dipendenza e attenua lo spirito imprenditoriale. Si finisce per coltivare il contributo anziché innovare e confrontarsi con il mercato.
Certamente l’agricoltura ha le sue difficoltà a svilupparsi. Ma nel nostro pianeta invece di “aiutare” gli agricoltori con integrazioni di reddito, prendendo spunto proprio dalla vostra Pac ma evitando i suoi limiti, abbiamo concentrato selettivamente i fondi della politica agricola nel formare imprese moderne, inserite in un sistema di infrastrutture efficiente, favorendo l’aggregazione dell’offerta in modo appropriato per contrastare i monopoli e gli oligopoli della catena alimentare. Poi per lo sviluppo imprenditoriale abbiamo investito fondi adeguati in formazione tecnica e professionale, educazione al calcolo economico e alla gestione del rischio, all’informazione ed alla valutazione sulle prospettive di mercato.
Se anche voi aveste adottato una politica del genere, sarebbe bastata anche soltanto la metà dei fondi spesi fin qui per la Pac.

D: Mi permetta di definire la sua una visione economicista. Lei non tiene conto del ruolo dell’agricoltura nella protezione dell’ambiente, nella cura del paesaggio, nel contrasto al cambiamento climatico. Non pensa che sia giusto che l’UE paghi questi servizi?

CAP-MAN: Certo che debbono essere pagati. I costi per i beni pubblici vanno coperti dalla collettività. Ma occorrono politiche che, senza ambiguità, siano esplicitamente ed esclusivamente mirate allo scopo. Invece che la cross-compliance ci vorrebbero misure dirette alla compliance, cioè finalizzate su base contrattuale al comportamento che si vuole che sia tenuto dall’agricoltore e commisurate ai maggiori costi sopportati e ai minori ricavi conseguiti.
Come avete potuto illudervi davvero che il greening fosse effettivamente finalizzato alla salvaguardia ambientale? Bisogna dirlo chiaramente, anche per non ricadere nello stesso errore nella futura Pac. A chi ha inventato il greening la salvaguardia ambientale non interessava affatto. Interessava piuttosto dare una mano di verde ai pagamenti diretti pur di giustificarli in qualche modo e mantenere i soldi Pac nelle tasche dei soliti percettori. Prova ne sia il fatto che fosse ammesso dall’UE (e prontamente adottato dall’Italia) il computo del pagamento individuale del greening in proporzione al pagamento base. Come se la tutela ambientale costasse di più a chi già riceve di più dalla Pac. Comunque neanche un aiuto flat uguale per tutti ha un senso: per curare l’ambiente alcuni (paid for doing nothing) non debbono fare assolutamente niente ed altri incorrono in costi e perdite di reddito elevate.
La politica di sviluppo rurale, pur con i suoi (seri) limiti, svolge meglio questo compito, anche perché non impone una soluzione unica per tutte le latitudini, ma attraverso i programmi di sviluppo rurale tiene conto delle specificità territoriali. Se davvero avete a cura l’ambiente, perché non spostate ora i fondi del greening nel secondo pilastro evitando inutili duplicazioni?

D: Lei critica pesantemente i pagamenti diretti. Ma almeno con quella più semplice soluzione i fondi arrivano a coprire tutto il territorio dell’Unione imponendo con l’eco-condizionalità un minimo di rispetto delle regole ambientali. Invece con la politica di sviluppo rurale i fondi restano a lungo inutilizzati e si rischia anche di vederseli risucchiati dal bilancio dell’UE.

CAP-MAN: Ho sentito che questa tesi dei pagamenti diretti che arrivano su tutti gli ettari dell’UE per far rispettare le leggi ambientali (ritenute più severe in Europa che in altri contesti) è sostenuta con determinazione da qualche suo collega, ma non mi convince affatto. Si individui chi, dove e quando è effettivamente penalizzato e si intervenga puntualmente a livello territoriale o di tipologie di agricoltura.
Quanto alla necessità di rendere la politica di sviluppo rurale più efficiente ed efficace, non c’è dubbio che questo sia un obiettivo imperativo. Dovete rimuovere gli ostacoli che in Europa, in Italia o nelle Regioni rallentano le procedure, ostacolano l’accesso e ritardano i pagamenti. È anche fondato il sospetto (qualche volta più che un sospetto) che attorno ai Psr, specie in alcune regioni, ronzino i calabroni della spesa fraudolenta. Dovete quindi non solo velocizzare ma anche controllare bene in quale direzione vengono spesi i soldi, specie in quei periodi in cui le erogazioni sono effettuate in fretta e furia per non rischiare di perdere i finanziamenti comunitari. Ma, come si dice, non dovete gettare il bambino con l’acqua sporca.

D: Lei propende dunque per la politica di sviluppo rurale, ma come concilia questa sua posizione con l’obiettivo reiteratamente sostenuto nell’Unione europea di semplificare la Pac?

CAP-MAN: L’obiettivo della semplificazione è continuamente invocato a Bruxelles ma mai realmente perseguito. Basti osservare quanta complicazione è stata introdotta anche nel primo pilastro con il suo frazionamento in diverse componenti (base, greening, giovani, accoppiato, ecc.), con la duplicazione delle misure tra primo e secondo pilastro, con l’incerta definizione di “agricoltore attivo”, con l’inestricabile architettura del greening. Per non dire poi delle complicazioni che gli Stati membri hanno aggiunto con le loro decisioni attuative.
Se si volesse affrontare sul serio il tema della semplificazione, occorrerebbe entrare nel merito di cosa frena e ostacola la messa in atto di una politica mirata e a misura degli obiettivi che si intendono perseguire. La semplificazione viene da voi evocata spesso più per impedire la finalizzazione della spesa e la selezione dei beneficiari. È evidente che chi resterebbe escluso si batta per la semplificazione e attacchi sulla troppa burocrazia e sui ritardi della spesa. Ma il modo più semplice di spendere tutti i soldi disponibili è gettarli dalla finestra. Subito dopo viene la soluzione dei pagamenti diretti.

D: Sta di fatto che con le nuove proposte di bilancio per il periodo 2021-2027 i pagamenti diretti verranno confermati e sarà piuttosto la politica di sviluppo rurale a subire i tagli più pesanti

CAP-MAN: È una logica che non condivido e che temo preluda a pesanti conseguenze proprio sul futuro bilancio della Pac. Il taglio alla Pac che viene proposto non è un modesto 4-5% come dice il Commissario Hogan. Se si tiene conto dell’inflazione siamo a circa 15% in media (-11% nel primo pilastro e -25% nel secondo). Ma la proposta di bilancio della Commissione deve adesso passare al vaglio del Parlamento e del Consiglio europeo e qui possono essere dolori. Perché per quadrare i conti la Commissione ha proposto che le entrate siano accresciute fino a rappresentare l’1,114% del reddito nazionale lordo degli Stati dell’Unione. Un aumento consistente rispetto al presente. Bisogna poi tenere anche conto che, per compensare i minori fondi allo sviluppo rurale e alla politica di coesione, si è proposto di chiedere agli Stati membri un aumento del cofinanziamento nazionale e regionale. Un modo indiretto di chiedere fondi per finanziare le politiche comunitarie.
Ricordo che nel 2013 il bilancio settennale fu tagliato, non aumentato. E dal mio pianeta non vedo le condizioni oggi per una inversione di rotta. Ma posso sbagliarmi, si capisce. Così è concreto il rischio che la scure dei tagli si abbatta ulteriormente sulla Pac. Di fronte alla necessità di far quadrare i conti, tutte le politiche saranno ulteriormente passate al vaglio del cosiddetto “valore aggiunto europeo”, cioè dell’efficienza e dell’efficacia della spesa. Ed è noto che la politica agricola, che si propone sia ancora più centrata sui pagamenti diretti, attira (non senza buone ragioni) pesanti critiche.
Non dimenticate poi che, in alternativa, il cofinanziamento nazionale anche del primo pilastro potrebbe essere riesumato dal limbo dal quale ogni tanto fa capolino.

D: Cosa ne pensa poi dell’ulteriore trasferimento di competenze sia per il primo che per il secondo pilastro a livello nazionale? L’introduzione dei piani strategici nazionali assicura maggiore sussidiarietà. Non le sembra una buona idea che responsabilizza maggiormente gli Stati membri?

CAP-MAN: Intendiamoci innanzitutto sulla questione della sussidiarietà. La sussidiarietà è un principio. Un principio non si estende né si restringe, ma si applica. L’UE, avete scritto nei Trattati, deve intervenire dove espressamente previsto dai Trattati stessi e soltanto dove ci sia “valore aggiunto europeo” cioè dove l’azione a livello comunitario produca risultati migliori o aggiuntivi. Al centro della Pac c’è da sempre il mercato unico e il principio di assicurare agli operatori di tutti gli Stati membri pari condizioni senza distorcere la libera concorrenza. Su questa base si giustifica che la Pac sia stata impostata come politica europea comune.
Con il trasferimento delle decisioni agli Stati membri, di fatto si smentisce quel principio e, lo si ammetta o meno, di fatto si avvia la rinazionalizzazione della Pac. Questa volta si passano le competenze e (forse anche) parte del finanziamento agli Stati membri. La prossima volta, chi vivrà vedrà, si potrà dire agli Stati membri, ormai la politica agricola è vostra: pagatevela.
Poi c’è la questione del cosiddetto new delivery model, cioè del passaggio dalle regole dettagliate dettate da Bruxelles ad una Pac orientata ai risultati. Ciascuno Stato membro avrà maggiore autonomia, ma dovrà dimostrare di aver raggiunto dei risultati prefissati. È evidente che, se restano i pagamenti diretti, questo è velleitario. Dal momento che i loro obiettivi non sono affatto definiti, non esistono misure in grado di dimostrare che gli obiettivi sono stati raggiunti. Se gli unici indicatori a disposizione consentissero di sostenere che, ad esempio, la superficie coperta dal pagamento ridistributivo è aumentata di qualche punto percentuale o che tutti i fondi disponibili sono spesi, non si avrebbe nessuna concreta evidenza riguardo all'efficienza e all'efficacia dell'intervento.
Ve li immaginate poi quanti conflitti tra Stati membri e tra questi e l’Unione europea possono prodursi se gli obiettivi sono incerti o indefiniti e le misurazioni sono sulla sabbia? E che conflitto Stato-Regioni si rischia di innescare in Italia per la governance di tutto questo!

D: Adesso comunque si apre il confronto con Parlamento e Consiglio. Molti dei problemi potranno gradualmente essere risolti

CAP-MAN: Temo proprio di no. Se vuole la mia interpretazione, Hogan, conscio dei tempi stretti (nel 2019 si rinnova il Parlamento europeo e poi anche la Commissione) ha presentato la proposta minimale tra quelle possibili. Così ha deciso di lasciare i due pilastri, di non aprire una riflessone critica sui pagamenti diretti, di passare agli Stati membri la patata calda delle modalità attuative (sulle quali ovviamente ci sarebbe stato scontro), di difendere per quanto possibile il budget. Con la speranza di attivare meno conflitti ed arrivare in tempo alla decisione finale.
Ma adesso siamo già fuori tempo massimo. Sul tavolo delle istituzioni dell’Unione europea ci sono una trentina di dossier da chiudere praticamente entro la fine del 2018. Alcuni di questi, ad iniziare da quello del budget, per non dire di quelli della sicurezza, della gestione delle frontiere esterne, dell’immigrazione, delle relazioni esterne, aprono fronti di confronto e scontro estremamente complessi e urgenti.
Così sarà per voi difficilissimo, sarei tentato di dire impossibile, chiudere il dossier agricolo in tempo. D’altra parte il Partito Popolare Europeo (Ppe), il gruppo maggioritario del Parlamento europeo, ha già avanzato la proposta di spostare tutto al 2024, dando alla futura Commissione ed al futuro Parlamento europeo il compito di prendersi tutto il tempo per una riforma più ponderata della politica agricola e di sviluppo rurale.
E sapete cosa penso io dal mio lontano pianeta? Che tutto sommato per voi non sarebbe male. D’altra parte, siete ad un punto di svolta cruciale non soltanto della Pac, ma pure dell’UE. Che va ripensata rilanciando il sogno europeo che aveva ispirato i suoi fondatori nell’immediato dopoguerra e che avete perso per strada, nonostante i successi, le successive nuove adesioni e le conquiste irreversibili. Nella futura Europa va ripensata anche la Pac.
Non si costruisce per il futuro una agricoltura europea realmente competitiva e sostenibile e al passo con le esigenze dei consumatori e dei cittadini se vi lasciate condizionare dalla path dependency e dal sistema delle lobby che mirano a conservare i privilegi del passato. Datevi tempo, studiate e ascoltate i risultati della ricerca, mettete al lavoro gli esperti, e poi progettate e mettete in atto una nuova politica agricola comune davvero al passo con i tempi.

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Commenti

Caro CAP-MAN, dall'alto del tuo pianeta si vedono molte cose con perspicacia e puntualità. E tu hai visto molto bene quel che di buono siamo riusciti a fare e anche il "casino" in cui siamo.
La prossima volta - chi vivrà vedrà!?- dovremmo allargare VERAMENTE lo sguardo al nostro pianeta - piccolo, rumoroso, complicato, litigioso e...a volte anche talentuoso e creativo: il piccolo pianeta Terra!
...sai, noi ne siamo anche innamorati e, perciò - come tutto gli innamorati (da voi ci sono quelle strane sensazioni che noi qui chiamiamo "illusioni ottiche"?) spesso vediamo "lucciole per lanterne" (...chissà come potrai tradurre nella tua lingua questa espressione...sarei curioso di saperlo).
Insomma, nella prossima nostra chiacchierata, vorremmo concentrarci di più sulle Prospettive reali che questa nostra Unione Europea ha di sopravvivere come "integrazione". Nel frattempo   la Gran Bretagna. -  quella parte del pianeta che sta sempre in bilico tra gli oceani e la zolla del Continente, un'isola insomma, che spesso si è creduta "ombelico del mondo" (...come tradurrai questa espressione nella lingua del tuo pianeta?) ,   dimenticando la grande lezione di uno dei suoi figli,  poeta e maestro di vita, John Donne che diceva: "Nessun uomo è un'isola....se anche solo una zolla venisse lavata dal mare, l'Europa ne sarebbe diminuita, come se venisse a mancare una dimora di amici tuoi, o la tua stessa casa." - ha lasciato l'Unione. Nello stesso tempo, una parte dei recenti Stati membri dell'Europa centrale, che agognano tanto gli aiuti  per l'agricoltura e le aree rurali  e soprattutto gli aiuti diretti al reddito della Politca Agricol Comune / Integrazione europea,  mostrano di non apprezzare né la solidarietà europea e neppure la democrazia europea e il patrimonio dello Stato di diritto (TUE art. 2 , 6, 9, 10). Noi quindi, siamo inquieti per il nostro futuro....Si è ripreso a parlare con forza e rabbia di "Nazionalità” e di nazionalismi...e non più di "Stati membri" o almeno di "Stati nazionali Membri." E anche quei popoli che hanno in tasca la stessa moneta (non con la faccia di un Re e neppure di una sola Repubblica, ma dei Paesaggi  meravigliosi dei diversi Popoli)  spesso manifestano di non  sentirsi più un insieme o una sintesi  di diversità in cammino verso una integrazione ( che potrebbe anche essere chiamata e valorizzata come "integrazione differenziata") forte, democratica, libera e utile ai suoi figli e alle sue figlie.
Perciò dobbiamo affrontare tempi burrascosi e i "Pagamenti diretti"- che già sono quel vestito di Arlecchino (ricordi questa maschera simpatica e urticante della nostra cultura iItaliana?)....cucito per servire/piacere TROPPI PADRONI! - non sono più una politica COMUNE, ma tante "politiche".  Molti di noi, allora,  riflettono, pensando:  prima che tutto si sbricioli in tanti egoismi nazionalistiche, popoli e stati membri che hanno ancora la volontà di stare insieme è bene che si guardino negli occhi e si chiedano: "dove vogliamo andare"? Dove vogliamo condurre questo Partimonio di Mercato Unico, di movimento di persone e merci, di libertà e diritti?
E' tempo di RI- DECIDERE il nostro destino o i nostri destini, in questi termini:
a) Unione politica tra chi ha (e vuole ancora avere ) la moneta unica;
b) un nuovo patto tra DUE pari SOVRANTA' ( quella della Unione Federale e quella degli Stati nazionali MEMBRI);
c) un percorso di integrazione differenziata ( quella di chi  ha sulle spalle la responsabilità di una moneta esposta al mondo, con un BILANCIO e  una fiscalità diretta e federale e quella di chi sta bene nel Mercato Unico e lì vuole rimanere. MA tutti - eurozona e mercato unico - sono MEMBRI dell'UNIONE tout court, obbligati (per loro scelta e senza doppiezze) al rispetto ed alla vaolizzazione e promozione dei valori dello Stato di Diritto e alla Democrazia Europea.
d) una redistribuzione delle "competenze" tra le DUE pari SOVRANITA' – sia nella Unione politica sia nella Unione-Mercato Unico - che potrebbe anche considerare l'attribuzione di una parte della Politica Agricola Comune alla Sovranità degli Stati nazionali Membri: in primis i pagamenti diretti!...( non si tratta di “rinazionalizzazione”, bensì di “ridefinizione” delle due-rispettive  Sovranità). Perché ALTRE SFIDE STANNO ARRIVANDO SULL'EUROPA E SULLE SUE PRESENTI E FUTURE  GENERAZIONI: Sicurezza, Difesa, Welfare!  e non possiamo attardarci e neppure giocare a rimpiattino (vedi  gli stati del gruppo di Visegrad e…altri compagni di strada...)
...Nella prossima intervista porteremo in mano l'attuale Trattato UE (poco letto e mai citato nei noiosi dibattiti televisivi e negli arroganti scambi sui social; per nulla insegnato nelle scuole e nelle altre istituzioni che formano le coscienze e le sensibilità dei popoli di questa Unione): gli articoli 49 (quella liturgia laica per entrare ed essere Soggetti Liberi  della stessa UNIONE) che alcuni Stati  e ( forse anche ?)  i loro popoli hanno DIMENTICATO), l'art. 2 (lo Stato di Diritto) , l'art. 50 (la modalità di uscrire  dalla integrazione europea che NON è una PRIGIONE: chi non ci sta bene, può - amichevolmente - uscirne) e poi tutti gli altri articoli sulla moneta e/o sul mercato unico e le sue politiche e gli aiuti (...che non piovono dal cielo ma provengono dalle tasse di acluni popoli e Stati membri per il benessere di altri popoli e Stati membri...ecco il mistero della Unione comune!!!
Un saluto amichevole dal piccolo pianeta TERRA.
 
Mario, già agricoltore-olivicoltore