La dimensione familiare nell’agricoltura italiana: fra mutamenti e fra-intendimenti

La dimensione familiare nell’agricoltura italiana: fra mutamenti e fra-intendimenti

Premessa

La finalità di questo articolo è quella di presentare alcune prime - e, pertanto non esaustive - riflessioni sul concetto di famiglia agricola e sul suo grado di pertinenza nell’analisi dell’odierna agricoltura familiare. Nello specifico, ci si interroga se la sua definizione, oggi fondamentalmente di uso statistico-economico, sia funzionale e, soprattutto esaustiva, a cogliere l’essenza delle molteplici forme di relazioni che alimentano (regolandoli) i rapporti fra soggetti - legati da vincoli di parentela di vario tipo e grado - che ruotano attorno ad un progetto economico comune, coincidente appunto con l’attività di un’impresa agricola1. Oppure, se le trasformazioni che hanno interessato l’istituzione della famiglia dal dopoguerra in poi (e tuttora in corso), e che hanno determinato la scomposizione e ricomposizione - anche attorno all’impresa agricola - di nuove aggregazioni familiari e parentali, necessitino di una rilettura più complessa e flessibile del concetto stesso di famiglia agricola. Rilettura che richiederebbe il ricorso, oltre che all’approccio economico-statistico, anche ad altri approcci, quali quello sociologico e psicologico, più interessati ad analizzare le relazioni fra i membri familiari, intesi in un’accezione più ampia di quella utilizzata normalmente per definire la stessa famiglia agricola.
L’interrogarsi sulla famiglia agricola e sulle sue potenziali declinazioni, potrebbe rivelarsi estremamente utile per tre ragioni. In primo luogo, aiuterebbe nel processo definitorio del modello teorico dell’agricoltura familiare e, di riflesso, delle variabili discriminatorie che vengono normalmente utilizzate per contrapporlo, in una visione dualistica, a quello dell’agricoltura capitalistica, quali la fonte di reddito e di occupazione2. Come alcuni studi dimostrano, anche in quest’ultima tipologia di agricoltura possono essere rintracciate tracce di legami familiari e parentali fra i soggetti che detengono la proprietà e/o la gestione dell’impresa, ma che potrebbero sfuggire ad una indagine volta a rilevare la sola presenza di nuclei familiari agricoli ristretti3.
In secondo luogo, il risvolto pratico di un’analisi più approfondita delle relazioni fra azienda agricola e famiglia è dato dal fatto che essa potrebbe essere d’aiuto nel dipanare la nebbia che avvolge gli aggregati statistici utilizzati per definire l’universo dell’agricoltura familiare che, come è noto, sono, numericamente parlando, molto ampi. In relazione all’esperienza italiana, quasi il 99% delle aziende agricole rientrano nell’agricoltura familiare4; percentuale assai elevata, che, proprio per questo, rischia di restituire l’immagine di un sistema agricolo poco caratterizzante, nebuloso appunto.
In sintesi, interrogarsi sulle relazioni fra azienda agricola e famiglia permette di arricchire il dibattito teorico sull’individuazione degli elementi che “(….)  allo stato, discriminano le diverse categorie di imprese agricole familiari italiane  (…)” (Idda, Pulina, 2011) dando così maggiore contezza della complessità e varietà che caratterizza la struttura del mondo agricolo. Si tratta di due rovesci della stessa medaglia che messi in causa potrebbero rilevarsi funzionali (terzo aspetto utilitaristico nell’analisi dei rapporti impresa agricola e famiglia) al superamento di politiche agricole e rurali indifferenziate, come quelle attuali.

La famiglia e la famiglia agricola: un “continuum” circolare

La duttilità del concetto famiglia

Il significato del termine “famiglia” può apparire scontato, ma in realtà, “se chiediamo a più soggetti di dare una definizione di famiglia e di indicarci i suoi confini (ovvero chi sta dentro e chi sta fuori), ci accorgeremmo che le risposte potrebbero differenziarsi notevolmente” (Lanz, Rosnati, 2002). Pur essendo un’istituzione sociale universalmente diffusa, la famiglia, di fatto, si diversifica in una molteplicità di modelli di riferimento, soggetti a profonde trasformazione nel corso dei secoli.
La sua flessibilità fa sì che essa sfugga ad una definizione di carattere generale e onnicomprensivo. Basti pensare al modello odierno della famiglia nucleare, il quale, pur se considerato (ma non necessariamente apprezzato) come forma modale più diffusa, può essere scomposto, almeno dal punto di vista numerico, in molteplici forme familiari a seconda dei risultati ottenibili dalla combinazione di variabili quali l’avere o non avere figli, vivere in coppia o da soli, essere coniugati o non, la presenza o meno nell’unità di coabitazione di membri aggregati, etc.
Sul piano concettuale, le trasformazioni della famiglia occidentale, e delle relazioni al suo interno sono sempre state oggetto di studio delle scienze sociali. Negli ultimi decenni, attorno ad esse si è sviluppato un acceso dibattito fra i sociologici italiani, volto a comprendere il passaggio dal modello tradizionale di famiglia complessa a quello, come già indicato, moderno di famiglia nucleare. Fra essi si citano Donati (1973), Balbo (1976), Saraceno (1978), Melograni (1989), Barbagli (2000), i quali, pur riconoscendo che in alcuni momenti storici - almeno statisticamente parlando - prevalgono alcune forme familiari, prendono atto, nei loro studi, della duttilità del concetto stesso e quindi della difficoltà a individuarne una definizione univoca.
Dal punto di vista metodologico, e sempre in una chiave di lettura sociologica, lo studio della famiglia può essere ricondotto a due prospettive (Barbagli, 2000): gli studi orientati ad analizzare la struttura della famiglia e quello, più recente, orientato a prendere in esame le relazioni interne ed esterne alla famiglia.
Per lungo tempo gli scienziati sociali hanno privilegiato il primo filone, focalizzando l’attenzione sulle forme di organizzazione degli aggregati domestici. Alcuni di loro hanno anche provato a classificare le molteplici espressioni delle relazioni familiari, riconducendo le stesse a potenziali tipologie5.
Negli ultimi anni, il quadro delle conoscenze disponibili sulla struttura della famiglia è stato arricchito da un’altra prospettiva di ricerca, che concentra l’attenzione sull’analisi delle relazioni familiari. In questo caso, oggetto di studio sono le relazioni di affetto e di autorità fra i componenti della famiglia (relazioni interne) nonché i vincoli e gli obblighi derivanti da rapporti con aggregati esterni al nucleo coniugale, quali quelli che intercorrono con la comunità di appartenenza e la parentela (relazioni esterne) (Barbagli, 2000). Sul piano empirico, l’approccio relazionale distingue tre livelli di studio della famiglia6: il livello individuale (le relazioni familiari sono studiate dal punto di vista del singolo membro); il livello relazionale (i dati sono prodotti grazie alla collaborazione di due o più membri della famiglia, collegati fra loro dal ricercatore mediante adeguate tecniche di elaborazione); il livello transazionale (si riferisce a misure prodotte da strumenti di tipo osservativo). Il valore aggiunto dell’approccio relazionale, dal nostro punto di vista è che esso, a differenza di quello strutturale, oltre che favorire l’analisi del ruolo ricoperto da ciascun componente familiare (utile, ad esempio, in un’ottica di studio di genere), offre l’opportunità di indagare sulle relazioni fra gruppi parentali che, pur se non coresidenti, condividono le attività di un’azienda agricola.
Il dibattito sui due approcci è tuttora in corso. Quello che risulta interessante è che la loro copresenza può essere di stimolo ad assumere, nello studio della famiglia, compresa quella agricola aggiungiamo noi, una “prospettiva pluralista che ha nella molteplicità delle specificità familiari il suo punto di riferimento(Friggeri, 1998).

Dalla famiglia agricola vs la famiglia moderna e viceversa

L’attenzione della gran parte degli studiosi sull’evoluzione della famiglia odierna è stata, e lo è tutt’ora, focalizzata sugli agglomerati familiari urbani, dove, a seguito del processo di industrializzazione che interessa, a partire dal secondo dopoguerra - e pur se con ritmi lenti e tardivi - il nostro Paese, ha preso piede la famiglia nucleare. Essa, espressione della nuova vita, è contrapposta al tradizionale modello familiare patriarcale, espressione di quel mondo rurale destinato ad essere sopraffatto e riempito di nuovi valori e contenuti (“Il mondo dei vinti” raccontato in modo magistrale da Nuto Revelli, (1977)).
È indubbio, però, che le profonde trasformazioni che hanno investito la famiglia italiana hanno avuto degli impatti anche su quella agricola, pur se con differenti capacità di compenetrazione rispetto, in primis, alla stessa famiglia urbana, ma anche alle differenti tipologie di aree rurali (fra aree interne, montane e peri-urbane, nella localizzazione al nord e al sud del Paese). I flussi migratori dalle campagne, la pervasività di nuovi stili di vita e di consumo, l’erogazione, da parte della sfera pubblica, di servizi di natura sociale (pensioni, assistenza sanitaria, istruzione), l’introduzione di innovazioni nei processi produttivi agricoli hanno minato il tradizionale modello familiare agricolo, rappresentato tout court da quello patriarcale. Quest’ultimo era espressione per lo più di aggregati domestici multipli (presenza di più unità coniugali), le cui relazioni fra i singoli membri erano gerarchicamente ordinati per sesso (asse orizzontale) e per età (asse verticale). Un modello familiare rigido ed autoritario, ma strettamente funzionale ai ritmi di vita e di lavoro delle unità produttive agricole di allora. La sua organizzazione, oltre che essere frutto di tratti culturali, trovava ragione nel fatto che “c’era una famiglia unita attorno ad un progetto economico comune, come il lavoro nel podere che presuppone una base economica comune” (Landini, 2003). La co-abitazione nella stessa unità abitativa di differenti generazioni (genitori, figli, nipoti, zii) garantiva la presenza di un gruppo familiare coeso, fonte di forza lavoro flessibile e a buon mercato, che permetteva il massimo sfruttamento della proprietà, da scomporre e ricomporre in differenti assetti familiari, a seconda delle necessità del momento.
Le trasformazioni demografiche, sociali ed economiche intervenute a partire dal secondo dopoguerra consolidano, man mano, i processi di mutamento dei territori rurali (sempre più orientati alla diversificazione economica), e fanno sì che la stessa attività agricola perda progressivamente il proprio potere di condizionamento delle scelte familiari, “in quanto il nucleo familiare si rivolge ad altre fonti di reddito, anche nelle aree a forte vocazione agricola, per far pronte ai propri bisogni“ (Idda, Pulina, 2011). Tale fenomeno riguarda, in primo luogo, la componente familiare femminile, la quale, così come in altri periodi, si trova a svolgere un ruolo di compensazione reddituale, favorendo l’entrate di risorse con attività extra-agricole. Quello che distingue questa fase da quelle precedenti è una maggiore consapevolezza delle proprie capacità e del ruolo anche nel nucleo familiare, che è frutto sì di una crescente scolarizzazione ma, anche, di dure lotte emancipatorie condotte a livello nazionale. Esso, però, riguarda anche la componente familiare filiale, la quale, dal dopoguerra in poi, cambiando gli agenti socializzanti, costruisce la propria socialità sempre più all’esterno degli steccati dell’impresa agricola (scuola, attività ricreative, utilizzo di internet) che li spinge verso nuovi modelli di vita e di lavoro, lontani dai propri luoghi di origine.
Il processo di nuclearizzazione delle famiglie, comprese quelle agricole, si porta dietro dei forti cambiamenti nelle relazioni familiari, che risultano essere non più esclusivamente gerarchiche, ma più egualitarie. Esse liberandosi dai vincoli posti dalla pura dipendenza reciproca o dall’ossequio a norme accettate supinamente, diventano “figlie di un’intenzionalità che le riconferma quotidianamente” (Di Nicola, 2008). E, in questo nuovo quadro relazionale, sempre più membri familiari rivedono la propria posizione rispetto all’attività agricola, prendendo in considerazione la possibilità di trovare una collocazione lavorativa al suo interno. È in questa ottica che andrebbe anche letto l’interesse crescente dei giovani verso l’agricoltura, così come il ruolo propulsivo che le donne hanno svolto nell’introduzione e consolidamento della diversificazione delle attività in azienda.

Alcuni spunti di riflessione per una nuova definizione della famiglia agricola

Il concetto di famiglia agricola è oggi sostanzialmente ricondotto alla definizione utilizzata in ambito statistico, frutto, a sua volta, dell’incrocio della componente istituzionale, la famiglia, con un ambito produttivo specifico, che è l’agricoltura. La chiave di lettura che unisce i due termini è data dall’incidenza dell’attività di produzione agricola nella formazione del reddito familiare. Nello specifico, “Gli standard statistici di riferimento individuano come agricole le famiglie i cui redditi provengono da lavoro autonomo agricolo. Non sono considerate come agricole, almeno in senso statistico, le famiglie nelle quale i redditi provengano da lavoro dipendente in agricoltura” (Rocchi, 2014).
Partendo da tali presupposti, la letteratura internazionale7 distingue due tipi di famiglia agricola: quella in senso stretto, “per la quale l’esercizio dell’attività aziendale agricola rappresenta la fonte di reddito prevalente” e quella in senso lato, “per la quale l’attività di produzione agricola figura fra le fonti di reddito, qualunque sia la sua importanza” (Rocchi, 2014). All’interno della famiglia agricola stretta (definita da Eurostat di tipo A), possono essere, a loro volta, distinte le famiglie per le quali l’agricoltura rappresenta oltre la metà dei redditi familiari e quelle per le quali l’agricoltura rappresenta la prima fonte di reddito in senso relativo.
Se certamente utile nelle indagini sulla formazione e distribuzione del reddito in agricoltura, detta distinzione risulta meno esaustiva in quelle volte ad analizzare le forme di organizzazione degli aggregati familiari agricoli, nonché le relazioni al loro interno. Ci sono, però, in essa alcuni elementi interessanti, di cui tenere in conto in una possibile riformulazione del concetto di famiglia agricola. Fra di essi, segnaliamo:

  • la definizione di famiglia utilizzata trova origine in una descrizione molto ampia che arriva, in alcuni casi, a includere anche soggetti non legati da legami parentali. I criteri discriminatori principali utilizzati sono la coabitazione e la partecipazione alla formazione del vitto8.;
  • tale approccio non si limita a fornire una definizione univoca di famiglia agricola, ma, partendo dalla constatazione che, ormai, in casi sempre più ristretti le attività agricole rappresentano la principale o esclusiva occupazione dei membri familiari, fornisce una definizione più rispondente alla realtà, compresa quella italiana.

Un’altra definizione di famiglia agricola è quella utilizzata da C. Barberis nella sua veste di consolidato commentatore dei dati relativi ai Censimenti Generali dell’Agricoltura italiana9. Barberis, pur riconoscendo la necessità di tener conto delle relazioni familiari in senso lato ogni volta che si fa riferimento all’azienda, riconduce la famiglia agricola ad una definizione ristretta, la cui caratterizzazione distintiva è data, oltre che dalla componente lavoro, dalla coabitazione dei suoi membri all’interno dell’azienda. Pertanto, la famiglia agricola è composta dal conduttore dell’azienda e dai coadiuvanti che, legati ad esso da vincoli di parentela di vario tipo e grado, lavorano e vivono nell’unità di produzione agricola. Allargare la sfera familiare anche a quei parenti che, sebbene lavorino in azienda, abitano al di fuori dei suoi confini (e tra i quali possono rientrare anche i figli del conduttore), sempre secondo Barberis, “sarebbe un errore (…) (in quanto essi) pur lavorando nell’azienda di famiglia, sono componenti – a norma di statistica – di un altro nucleo abitativo” (Barberis, 2013).
Si pone, dunque, una distinzione fra famiglia agricola, i cui componenti sono ridotti al minimo (fino all’estremo, di un solo componente), e azienda di famiglia, la quale, invece, - svincolandosi dal requisito della coabitazione – può raccogliere attorno a sé una platea più ampia di membri familiari, che lavorano (e si suppone condividano) un progetto economico comune.
​La prima definizione, quella di famiglia agricola in senso stretto, ricalca quella utilizzata dall’Istat nelle sue rilevazioni censuarie generali sulla popolazione, ed è quella che più si avvicina alla forma modale familiare più diffusa oggi che è quella della famiglia nucleare. Per siffatte ragioni, il suo utilizzo può risultare più agevole nella lettura dei dati statistici ufficiali, soprattutto nelle analisi comparate. Nello stesso tempo, però, il fatto che al suo interno siano compresi anche i nuclei familiari composti da una sola persona, che nel nostro caso coincide con la sola figura del conduttore dell’azienda, ridimensiona il suo uso ai fini delle analisi delle relazioni familiari e parentali, le quali, in quanto tali, presuppongono la presenza di almeno un altro membro.
Cosa diversa, invece, la definizione di azienda di famiglia. Essa, inglobando anche i membri familiari e parentali che vivono fuori dall’azienda, ma che lavorano al suo interno, permette studiare le molteplici relazioni che possono intercorrere fra il conduttore e i suoi “parenti”, nonché fra i parenti stessi, in funzione delle attività produttive dell’azienda di famiglia. La sua definizione si presta, quindi, maggiormente a leggere le trasformazioni che hanno interessato la famiglia agricola nel corso degli ultimi decenni.
Nello stesso tempo, rimangono alcuni elementi di rigidità nella sua definizione che non permettono di cogliere, nella loro interezza, la complessità dettata dai nuovi legami familiari e parentali. Ci riferiamo, al fatto che tale definizione si porta dietro un’idea ancora forte di quello che potremmo definire il requisito della “presenza fisica del lavoratore” (ma questo non riguarda soltanto la definizione utilizzata da Barberis, ma i vari approcci orientati a indagare sul lavoro in agricoltura). Per dirla in altro modo, quando si pensa al lavoro familiare in agricoltura si riconduce lo stesso principalmente al legame fisico con la terra e alle mansioni materiali che sono svolte all’interno dell’azienda stessa. In realtà, il processo produttivo ingloba anche una serie di funzioni, spesso di natura immateriale, che non necessariamente richiedono la presenza del soggetto in azienda. Ci si riferisce, ad esempio, alla progettazione e gestione di siti informatici a fini promozionali o di marketing (commercio elettronico, prenotazioni per soggiornare in azienda, ecc), così come lo svolgimento di tutte quelle operazioni di programmazione e progettazione (di natura fisica ed economica) necessarie per realizzare interventi strutturali in azienda, ma anche per ottenere eventuali autorizzazioni dagli enti preposti o per accedere a finanziamenti pubblici (piani di investimento, di comunicazione, ecc), comprese quelle (di tipo relazionale) necessarie per interloquire con gli stessi uffici pubblici (non sempre facilmente raggiungibili da chi sta in azienda). Si tratta di attività che, per la loro natura, non richiedono la presenza fisica costante in azienda e che quindi possono essere svolte anche da membri familiari e/o parentali che risiedono lontano dall’azienda, in quanto dotati dei saperi (intesi in senso lato) necessari per svolgerle e, dei mezzi che permettono loro di interloquire, pur se non quotidianamente, con il resto dei familiari che vivono in azienda o nella sua prossimità. Certo, si tratta di attività spesso svolte in modo informale10, non sempre rilevabili con strumenti statistici ufficiali, ma che trovano una loro ragione nel senso di appartenenza a quel progetto economico, al quale abbiamo più volte fatto riferimento, che è rappresentato dalla gestione dell’azienda di famiglia. Sono comunque fattori di novità e in una prospettiva futura rappresentano delle piste di analisi da approfondire per meglio comprendere le dinamiche del mondo agricolo, chiamato a interfacciarsi in un contesto esterno sempre più complesso e in cui i rapporti e le posizioni dei singoli sono molto più fluide.

Considerazioni conclusive

Lungi dal volere essere esaustive11, le riflessioni sviluppate nei paragrafi precedenti hanno cercato di evidenziare come l’analisi del termine famiglia, anche nel contesto agricolo, si porti dietro una complessità di situazioni che, negli ultimi decenni, hanno reso sempre più mobili e sfumati i suoi confini. Le attuali convivenze quotidiane fra gli individui legati da rapporti di parentela si consolidano, allentano, scompongono e ricompongono secondo schemi contingenti e instabili, con ripercussioni anche sulle forme e modalità di gestione delle aziende agricole. Adottando un’ottica agricola, si potrebbe affermare che oggi non sia tanto il nucleo familiare a caratterizzare l’azienda agricola, quanto piuttosto sia quest’ultima a tenere in rete i legami familiari e di parentela. Pertanto, lo studio delle strutture delle aziende agricole e delle relazioni interpersonali che si sviluppano attorno ad esse potrebbe rilevarsi estremamente utile per leggere le antinomie che rimangono ancora latenti nel sistema agricolo, ma anche nell’uso moderno del concetto stesso di famiglia.
Non è più soltanto l’invenzione del modello teorico capace, una volta per tutte di spiegare i comportamenti dell’azienda-famiglia ad attirare l’attenzione degli studiosi, ma, e in ciò sta la grossa novità, sono ora anche e soprattutto i “dintorni” dell’impresa agraria a divenire gli angoli visuali da cui ricercare una migliore comprensione del comportamento e delle trasformazioni strutturali delle imprese stesse (De Benedictis, 1995). Se non “ora” quando!

Riferimenti bibliografici

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  • Barbagli M. (2000), Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Il Mulino, Bologna

  • Balbo L. (1976), Stato di famiglia: bisogni, privato, collettivo, Volume 5 di Biblioteca politica e sociale, Etas, Milano

  • Barberis C. (a cura) (2004), Capitale umano e stratificazione sociale nell’Italia agricola. L’agricoltura italiana fra passato e presente, Rapporto n. 40, Cnel-Insor, Roma

  • Barberis C. (a cura) (2013), Capitale umano e stratificazione sociale nell’Italia agricola secondo il 6° censimento generale dell’agricoltura 2010, Istat, Ed. Variagrafica Alto Lazio, Nepi 

  • Campanini A. (2002), L’intervento sistemico. Carocci Faber, Roma

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  • Eurostat (1980), Metodologia delle indagini sui bilanci familiari

  • Friggeri L., (1998), I concetti di mononuclearità e plurinuclearità nella definizione di famiglia, in Connessioni, n. 3

  • Idda L., Pulina P. (2011), Impresa agricola familiare, capitale umano e mercato del lavoro, Franco Angeli, Milano.

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  • Melograni P. (a cura) (1989), La famiglia italiana dall’Ottocento ad oggi, Laterza, Bari

  • Revelli N., (1977), Il mondo dei vinti. Testimonianze di vita contadina, Torino, Einaudi, 1977

  • Rocchi B. (2014), I redditi agricoli nelle indagini sulle famiglie, in Agriregionieuropa, n.36

  • Saraceno C. (1978), Anatomia della famiglia, De Donato, Bari

  • Salvioni C.,  Colazilli  G. (2006), Redditi, consumi e ricchezza delle famiglie agricole e rurali italiane, in Basile E., Cecchi C. (2006)

  • Diritto all’alimentazione agricoltura e sviluppo, Atti del XLI Convegno Studi (Roma, 18-20 settembre 2004), F. Angeli, Milano

 

 

  • 1. Pur condividendo la necessità di un utilizzo più rigoroso dei termini azienda e impresa (Arzeni, Sotte, 2013), in questo saggio, per l’uso che se ne è fatto, si è preferito utilizzare il termine impresa al posto di azienda in quanto le riflessioni riportate fanno riferimento più all’aspetto “soggettivo” (scelte economiche e gestionali compiute dal soggetto che ne è a capo) che “oggettivo” (l’insieme dei fattori produttivi disponibili) dell’unità di produzione agricola (secondo la distinzione operata da Serpieri).
  • 2. Si fa riferimento, nello specifico, all’utilizzo della manodopera familiare nelle unità agricole produttive di appartenenza (che si riconduce normalmente anche ad una presenza fisica in azienda), oppure all’incidenza del reddito agricolo sulla formazione del reddito del nucleo familiare sempre presente in azienda.
  • 3. La contaminazione di tracce familiari nelle “azienda agricole capitalistiche” è ben presente, ad esempio, nel dibattito teorico sull’agricoltura spagnola, come ben evidenziato nell’articolo degli studiosi spagnoli riportato nel presente numero di Are (O. Moreno-Pèrez, R. Gallardo-Cobos, P. Sanchezzamora, F. Ceña-Delgado). Ma anche in Italia, la necessità di porre maggiore attenzione nel delineare i confini fra le due tipologie di agricoltura è accennata dallo stesso Corrado Barberis nelle sue analisi sociologiche dei dati censuari agricole. A tal proposito, in occasione di un incontro sull’agricoltura familiare, tenutosi nel 2014 all’Inea (oggi, Crea), lo stesso Barberis dichiarava “… perché, ripeto, si tratta di grosse aziende che sono prevalentemente capitalistiche, ma continuano a chiamarsi familiari perché alla loro guida c’è un agricoltore che non ha paura di sporcarsi le mani con la morchia del trattore, che non ha paura di avere le mani callose, etc. Tutti questi fatti portano al fatto che ci sia un’agricoltura familiare che, però, di fatto è capitalistica.”
  • 4. Per un’analisi delle fonti e dei dati statistici utilizzati per identificare le imprese agricole facenti parte dell’universo dell’agricoltura familiare si rimanda all’articolo di Massimo Greco, contenuto nel presente numero di Are.
  • 5. Fra gli sforzi fatti in tale direzione, risulta interessante, dal punto di vista esaustivo ma anche per il costante richiamo nei vari studi sociologici, la classificazione proposta da Peter Laslett (in Campanini, 2002), il quale individua cinque tipologie di strutture familiari: la Struttura Semplice (famiglia formata dalla coppia coniugale con o senza figli o da un singolo genitore con figli); la Struttura Estesa (famiglia semplice con uno o più parenti conviventi, ascendenti, discendenti o collaterali); la Struttura multipla (presenza di due o più coppie con figli); la Senza Struttura (famiglia in cui non ci sono né rapporti di sesso né di generazione, formata da persone conviventi); la Struttura Solitaria (famiglia formata da una sola persona).
  • 6. La distinzione, operata da Fisher, è riportata in Lanz M, e Rosnati R. (2002), Metodologia della ricerca sulla famiglia, Collana Strumenti e metodi per le Scienze Sociali, Università Cattolica del S. Cuore di Milano.
  • 7. Cfr. Salvioni C., Colazilli G. (2006), Rocchi (2014).
  • 8. Questa la definizione di Eurostat: “Per famiglia si intende una persona o un gruppo di persone che indipendentemente dal grado di parentela, vivono normalmente allo stesso indirizzo e provvedono al vitto in comune” (Eurostat, 1980).
  • 9. Le sue brillanti analisi possono essere lette nelle numerose opere realizzate all’interno dell’Istituto Nazionale di Sociologia Rurale, che Barberis presiede sin dalla sua creazione. Le ultime due pubblicazioni in merito sono riportate in bibliografia (Barberis, 2004 e Barberis, 2014).
  • 10. Ma non necessariamente. Ad esempio, la loro remunerazione potrebbe essere compresa nella ripartizione degli utili fra i partecipanti alla società (semplici e di capitali) che, a sua volta, rientra fra le nature giuridiche adottabili dalle aziende agricole. Partecipanti che possono appartenere alla sfera di relazioni familiari e/o parentali di ogni grado.
  • 11. Potrebbero essere molteplici le angolazioni attraverso le quali leggere il rapporto impresa agricola e famiglia. Ad esempio, una chiave di lettura potrebbe essere rappresentata dai cicli di vita della famiglia agricola e di come essi influiscano sulla vitalità e performance della stessa impresa. Quest’ultima, ad esempio, è stata utilizzata, fra le altre, nella ricerca Arkleton fine anni ottanta e metà anni novanta (De Benedictis, 1995; Gaudio, De Rose, Pieroni, 1992).
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