Come l'agricoltura familiare in Grecia sfida la crisi economica

Come l'agricoltura familiare in Grecia sfida la crisi economica
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Introduzione1

Il settore agricolo in Grecia è stato estremamente importante per la crescita economica del Paese, a partire dalla formazione dello Stato greco nel 1827 fino agli anni ’60. Ad ogni modo, il lungo processo dell’agricoltura greca verso la modernizzazione e la crescita è stato influenzato da trasformazioni di larga scala nella struttura della popolazione, da importanti cambiamenti nella divisione internazionale del lavoro e da modifiche significative nelle politiche economiche nazionali. L’economia agricola greca del XIX secolo, fortemente orientata alle esportazioni, si trasformò in una agricoltura molto autarchica e chiusa nel periodo tra le due guerre, a causa della crisi agricola e finanziaria (1892-1908) e del movimento delle grandi migrazioni transatlantiche (1900-1924), soprattutto dalle aree rurali verso gli Usa. L’economia agricola del dopoguerra si era modernizzata ed espansa, ma la crisi dei redditi agricoli determinò lo spopolamento delle aree rurali e una migrazione massiva verso l’Europa Occidentale, il Canada e l’Australia (1955-1974) (Petmezas, 2008).
L’agricoltura familiare è una forma predominante di organizzazione nell’agricoltura greca. Essa implica anche la capacità delle famiglie rurali di riorganizzare produzione, lavoro e fabbisogni a seconda delle condizioni socio-economiche generali e dei cambiamenti globali. Queste utilizzano le proprie risorse in maniera flessibile per sopravvivere economicamente e socialmente al peggioramento delle condizioni economiche causate dalla concorrenza e della recessione. È stato evidenziato come l’agricoltura familiare resti una pratica difensiva per numerose famiglie rurali nella lotta per fronteggiare un contesto globale in continua trasformazione (Kasimis e Papadopoulos, 1997).
Inoltre, va chiarito che l’agricoltura familiare non è solo il risultato di un processo di modernizzazione agricola incompleto, ma piuttosto una caratteristica sistemica delle famiglie, delle comunità e delle economie locali in Grecia. La struttura e le caratteristiche dell’agricoltura familiare sono parte integrante della capacità adattiva e della propensione alla sopravvivenza di un cospicuo numero di famiglie rurali, mentre la nozione di multifunzionalità riflette la relazione dinamica delle famiglie agricole rispetto al mercato del lavoro locale (Efstratoglou et al,. 2004).
Prima di presentare i dati relativi ai recenti cambiamenti nell’agricoltura familiare in Grecia a seguito della crisi economica che ha interessato gli ultimi sei anni, tratteremo brevemente i quattro maggiori temi utili per contestualizzare l’analisi empirica presentata nei paragrafi successivi.
Prima di tutto, in qualsiasi discussione sulla trasformazione dell’agricoltura, dobbiamo considerare il processo crescente di de-agricolturalizzazione della campagna greca. Questo processo si riferisce alla riduzione dell’attività agricola come principale occupazione da parte di numerosi abitanti rurali, come pure all’espansione del rurale per includere attività extra-agricole e/o multisettoriali e anche l’uso del suolo per scopi non agricoli. Comunque, questo processo non implica necessariamente che l’agricoltura assuma un’importanza minore nelle aree rurali, piuttosto il contrario (Kasimis e Papadopoulos, 2001; Kasimis e Papadopoulos, 2013).
Inoltre, c’è una combinazione di mobilità nelle aree rurali che può essere vista come il risultato della maggiore integrazione dello spazio rurale nella più vasta economia europea globale. Questa combinazione di mobilità consiste in un’aggregazione di diversi movimenti della popolazione in partenza, in arrivo e circolanti verso e tra le aree rurali (Halfacree, 2012). In particolare, si possono identificare tre gruppi di mobilità. Il primo tipo è il ben noto processo di esodo della popolazione da certe aree rurali a causa del declino delle attività agricole e della mancanza di opportunità lavorative, che è legato allo spopolamento delle aree rurali periferiche, marginali e svantaggiate. Il risultato finale è lo spostamento della popolazione verso aree urbane e zone rurali o peri-urbane più sviluppate. Il secondo tipo di mobilità è più recente nelle aree rurali e si riferisce all’afflusso di migranti provenienti o da aree urbane/peri-urbane o da altri paesi. Nel primo caso, la mobilità si identifica con il movimento di “contro-urbanizzazione” o “ritorno alla campagna” ed è descritta come una nuova realtà demografica nei paesi più sviluppati (Halfacree e Boyle, 1998; Mitchell, 2004). L’altro riguarda il nuovo fenomeno dei movimenti di migranti internazionali tra varie aree rurali nei paesi più sviluppati (Kasimis e Papadopoulos, 2003; Jentch, 2007). Il terzo tipo si riferisce alla crescente mobilità spaziale dei residenti rurali che si spostano per lavoro, svago e/o turismo, e possono anche essere considerati abitanti di una o più località. L’agricoltura hobbistica e le attività agricole part-time sono nuove forme ibride di coinvolgimento nell’agricoltura e rientrano in questa categoria di mobilità. Tutti e tre i tipi di mobilità si possono combinare in vario modo e sono sicuramente connessi agli aspetti di produzione e consumo delle aree rurali.
Inoltre, la capacità adattiva dimostrata dalle famiglie rurali, dai produttori, dagli attori rurali, dalle comunità e dalle economie locali rispetto alla crisi economica è un riflesso della cosiddetta resilienza delle aree rurali. La resilienza è evidente nella capacità delle aree rurali di assorbire le pressioni e di riorganizzarsi, nel corso del cambiamento, in modo da conservare funzioni, caratteristiche strutturali, identità e flessibilità delle loro attività (Schouten et al., 2009; Folke et al., 2010).
Infine, c’è un sempre maggiore riconoscimento del ruolo delle aree rurali nella preservazione dei beni comuni, come il cibo e la terra, e una conferma del valore di questi beni per lo sviluppo sostenibile delle aree rurali. La crescente attenzione per il locale e la qualità del cibo così come per le filiera corte e la preoccupazione nei confronti dell’appropriazione delle terre da parte di grandi corporation e gruppi di affari, cominciano a diventare questioni di interesse per gli agricoltori, la popolazione rurale e i cittadini delle zone urbane (Wall, 2014).
In sintesi, abbiamo menzionato quattro principali sfide affrontate dagli agricoltori e dalla popolazione rurale in Grecia. Ognuna di queste sfide è collegata ai processi di trasformazione che hanno un impatto sulle aree rurali. Comunque, dovremmo esplorare anche le interconnessioni tra queste sfide e i processi che le accompagnano, così da poter vedere l’agricoltura familiare non soltanto come produzione “funzionale” e unità demografica all’interno di un sistema che si sta trasformando completamente. Potremmo quindi affermare che i piccoli agricoltori – essendo la maggioranza degli agricoltori greci – tendono a coniugare una serie di caratteristiche che sono più compatibili con i prerequisiti dello sviluppo rurale sostenibile.

Le caratteristiche fondamentali dell’agricoltura familiare in Grecia

L’agricoltura è stata storicamente importante per la Grecia, e conta attualmente il 13,8% di occupati (476,4 mila unità) (Elstat, 2015); questo dato è legato alla recessione economica che ha colpito duramente il Paese, come vedremo più avanti. I prodotti agricoli rappresentano il 18% delle esportazioni totali (2013). Inoltre, l’agricoltura contribuisce per il 3,4% al valore aggiunto vordo (Val) della Grecia (circa 2,5 volte maggiore rispetto a quello dell’EU-27) (CE, 2015). Il settore agricolo in generale è caratterizzato da una bassa produttività, come dimostrato dal livello relativamente ridotto di Val per occupato (44% dell’EU-15) (McKinsey, 2012). L’apparente bassa produttività del lavoro nel settore primario si deve all’alto numero di componenti della famiglia impiegati nelle aziende e al numero ridotto di giornate lavorative rilevato nel lavoro familiare. Come vedremo nel paragrafo successivo, l’occupazione in agricoltura è, per la maggior parte degli agricoltori, un’attività in cui essi sono sotto-occupati in quanto l’agricoltura non può assicurare un impiego a tempo pieno tutto l’anno.
La dimensione ridotta e l’alta frammentazione (oltre sei lotti per azienda) delle aziende agricole incarnano la costruzione storica, culturale, geografica e geomorfologica della moderna agricoltura greca. Nello specifico, la riforma agraria degli anni ’20, le tradizioni socio-culturali dell’eredità e della dote, così come l’ambiente geomorfologico sfavorevole di alcune terre circoscritte, spesso collinari, hanno contribuito alla sopravvivenza di una struttura aziendale in ritardo, con conseguenti elevati costi di produzioni e una bassa competitività (Kasimis e Papadopoulos, 2013).
Nel 2010 il numero di terreni agricoli era di 723.000, in netta diminuzione (-11,5%) rispetto al 2000. La dimensione media per azienda era di 4,8 ettari, molto bassa rispetto al resto degli Stati membri dell’UE. Solo in Romania (3,4 ha), Cipro (3.0 ha) e Malta (0,9 ha) le aziende hanno dimensioni medie minori.
Queste aziende occupano quasi 3,5 milioni di ettari di Superficie Agricola Utilizzata (Sau), poichè la maggioranza delle aziende (76%) hanno una dimensione inferiore ai 5 ettari, una simile proporzione non può assicurare un’occupazione a tempo pieno per più di una persona. Ad ogni modo, queste aziende più piccole occupano solo il 25% della Sau. Mentre le aziende con una dimensione superiore ai 100 ettari rappresentano più di un decimo del numero totale di aziende ed occupano il 57% della Sau (Eurostat, 2012).
Sebbene la concentrazione di terra nelle grandi imprese sembri relativamente bassa, la dimensione attuale delle aziende agricole, oltre alla terra di proprietà, include anche la terra presa in affitto da altri agricoltori. I dati sulle proprietà fondiarie mostrano che nel 2010 solo il 62% della Sau era coltivata dai proprietari mentre il 35% era gestita da affittuari. Le regioni con la più alta proporzione di terre in affitto sono: la Macedonia Occidentale (55%), la Macedonia Centrale (52%), l’Egeo del Nord (45%), la Macedonia Orientale-Tracia (44%), l’Epiro (38%) e la Tessaglia (36%). All’altro estremo, ci sono regioni con un’alta proporzione di terre coltivate dal titolare stesso, come: le Isole Ioniche (82%), l’Attica (82%), il Peloponneso (80%), la Grecia Occidentale (76%) e Creta (76%).
L’affitto delle terre è legato al tipo di uso del suolo, che nel caso dell’agricoltura greca differisce molto dagli altri Stati membri dell’UE. Nel 2010, la Sau greca consisteva principalmente in terreno coltivabile (51%), colture permanenti (27%), prati permanenti e pascoli (22%). Tra il 2000 e il 2010, il terreno coltivabile è diminuito del 10% arrivando a 1,8 milioni di ettari e le colture permanenti si sono ridotte in estensione del 5,1% per arrivare agli attuali circa 950.mila ettari. All’opposto, nel 2010 i prati permanenti e i pascoli sono aumentati del 24% fino a circa 751 mila ettari (Eurostat, 2012).
Le aziende agricole sembrano essersi specializzate negli ultimi anni, probabilmente grazie al particolare orientamento rispetto all’economia agricola locale e al supporto della Politica Agricola Comune (Pac). Le aziende olivicole specializzate hanno registrato la percentuale più alta (38%), seguite da aziende di seminativi (10%), aziende specializzate in cereali, oleaginose e proteaginose (9%), varie colture permanenti (8%) e aziende specializzate in frutta e agrumi (8%).
Una simile tendenza alla concentrazione della produzione e alla specializzazione in agricoltura si può osservare nel caso dell’allevamento in Grecia. In particolare, nel 2010 sono stati rilevati 2,4 milioni di unità di bestiame (Uba), ciò significa una riduzione del 5% rispetto ai 2,5 milioni del 2000. Gli stati europei con una dimensione simile di allevamenti sono l’Ungheria (2,5 milioni di Uba) e il Portogallo (2,2 milioni di Uba). Ad ogni modo, il numero di aziende zootecniche è diminuito del 30% fino ad arrivare a circa 273mila unità nel 2010. Nell’ultimo decennio, quasi 200mila aziende con animali hanno interrotto la propria attività e/o hanno venduto il proprio bestiame.. Questo ha portato ad un incremento di Uba medie per azienda, da 6,4 nel 2000 a 8,8 nel 2010. L’allevamento più comune è quello di pecore, con più di 990.mila Uba nel 2010, ossia il 38% dei capi di bestiame totali. I bovini sono la seconda tipologia di allevamento più comune, con meno di 500.mila Uba, che rappresentano il 19% del totale. Le capre sono il terzo tipo di bestiame più comune nel 2010, con più di 420.mila Uba che, nonostante la forte diminuzione in termini numerici, rappresenta il 18% del totale dei capi. La regione specializzata in allevamento bovino è la Macedonia Centrale (30%), mentre la Grecia Occidentale (16%) e la Tessaglia (13%) hanno la percentuale più alta di pecore (Eurostat, 2012).
L’agricoltura biologica è relativamente recente per gli agricoltori greci. Il numero di produttori biologici in Grecia è cresciuto da 250 nel 1993 a circa 23.mila nel 2013. Ma rappresentano una piccola percentuale del numero totale di agricoltori (3,3% nel 2013). L’area adibita ad agricoltura biologica è aumentata in epoche diverse specialmente grazie al supporto della Pac e di altri strumenti. Oggi la superficie destinata all’agricoltura biologica raggiunge i circa 384mila ettari (coltivati soprattutto ad ulivi, cereali, proteaginose, ortaggi, ecc.) che rappresentano il 4,6% delle terre agricole totali (Willer e Lernoud, 2015). Va detto anche che la tendenza ad investire in agricoltura biologica riguarda aziende medie e grandi in quanto occorrono investimenti di capitali per convertire le colture in biologico e anche maggiore supporto tecnico, conoscenza specializzata nella vendita e commercio dei prodotti e così via.

Tendenze e sfide dell’agricoltura familiare in Grecia

Esaminando più da vicino i dati disponibili e andando oltre i valori medi, l’agricoltura familiare greca si presenta molto eterogenea. Alcuni andamenti mostrano un’agricoltura familiare in rapida differenziazione negli ultimi decenni e rivelano una polarizzazione interna tra agricoltura di piccola e di larga scala. Quest’ultima, essendo molto dinamica, è tipica delle aree rurali caratterizzate da produzioni specializzate, alta intensità di lavoro, tecniche innovative e/o produzione intensificata.
Un’analisi degli agricoltori per classi di età illustra, in parte, i problemi di ricambio generazionale dell’agricoltura greca, evidenti se si considera che la quota di agricoltori sotto i 35 anni è diminuita quasi al 7%, rispetto all’8,6% del 1991 (Figura 1). Al contrario, la quota di agricoltori di età maggiore o uguale a 65 anni sul totale è aumentata dal 25% del 1991 al 33% del 2010. È anche vero, però, che il recente censimento del 2010 ha mostrato numeri in un certo senso migliori rispetto alla precedente indagine del 2007 sulla struttura delle aziende. C’è un certo ottimismo sul fatto che le classi di età intermedie riflettano miglioramenti sulla struttura demografica degli agricoltori. Ad esempio, la classe d‘età 35-44 anni è aumentata dello 0,5% tra il 1991 e il 2010; la classe d’età 45-54, dopo alcuni anni di declino, sembra essersi stabilizzata al 22%; e la classe 55-64 si è ridotta dal 29% (1991) al 22% (2010).

Figura 1 - Distribuzione degli agricoltori per età, 1991-2010

Fonte: Elstat, 1991-2010 & Eurostat database

La figura 2 mostra che gli agricoltori che appartengono alle classi d’età inferiori tendono ad avere aziende agricole più grandi rispetto a quelle degli agricoltori di mezza età e anziani. In particolare, gli agricoltori di età inferiore ai 35 anni hanno aziende tre volte maggiori di quelle degli agricoltori di età superiore a 65 anni. Ciò è valido a partire dal 1991 e per tutto il periodo considerato e implica che, affinché gli agricoltori più giovani si insedino in agricoltura, sono necessarie aziende più ampie rispetto a quelle degli agricoltori più anziani, i quali rimangono nel settore nonostante le dimensioni ridotte delle loro aziende. Inoltre, le misure di supporto all’insediamento dei giovani agricoltori richiedono anche il trasferimento delle terre dagli agricoltori anziani a quelli giovani; anche se, al fine di intraprendere la professione agricola, i giovani agricoltori ingrandiscono le loro aziende tramite affitto e/o acquisto di terreni.
Le dimensioni aziendali sono un aspetto importante per l’occupazione diretta dell’imprenditore agricolo, l’impiego di manodopera familiare o di manodopera salariata. Le aziende più piccole tendono ad utilizzare più manodopera familiare rispetto alle aziende grandi che, per le loro dimensioni, necessitano di numerosa manodopera non familiare. Inoltre, il fatto che l’agricoltura familiare greca sia ad alta intensità di lavoro e che vi sia stagionalità rende l’utilizzo di manodopera salariata una caratteristica orizzontale delle aziende agricole. Occorre comunque confrontare le aziende piccole e medie per avere un quadro più chiaro della composizione di lavoro familiare e non. Ad esempio, nel 2010 le aziende agricole con dimensioni inferiori a due ettari erano poco più di metà del totale delle aziende (52%) e occupavano meno di un decimo della Sau (9%). In queste aziende c’è molta manodopera familiare part-time (574,3 mila persone) e quindi, in altre parole, in esse c’è, in realtà, sottoccupazione. Se questa manodopera diventasse a tempo pieno allora essa rappresenterebbe il 25% della manodopera totale. Inoltre, è rilevante notare che in queste piccole aziende il lavoro non familiare rappresenta il 13% del lavoro agricolo complessivo di questa categoria. Al contrario, le aziende di dimensioni superiori ai due ettari occupano una maggiore manodopera familiare (621,2 mila persone) e se essa fosse calcolata in termini di lavoro a tempo pieno rappresenterebbe il 58% del lavoro agricolo totale. Per le imprese medie e grandi, il lavoro non familiare rappresenta il 19% del lavoro agricolo totale della categoria (EC 2015).
Il punto fondamentale è che le piccole aziende agricole impiegano minore lavoro non familiare, mentre le aziende medie e grandi tendono ad essere basate più su lavoro non familiare. In questo contributo, con lavoro non familiare ci si riferisce, in realtà, alla manodopera migrante, che costituisce la gran parte del lavoro salariato nell’agricoltura greca. Secondo studi empirici, i migranti rappresentano oltre il 90% degli occupati salariati agricoli. Infatti, numerose ricerche empiriche condotte nelle aree rurali dal 2000, ma anche negli anni precedenti, hanno mostrato che la manodopera migrante salariata è stata una risorsa per l’agricoltura greca, in quanto inizialmente arrivata nella Grecia rurale per colmare i divari da ritardo sia in agricoltura che nei mercati del lavoro locale e rurale, ma subito dopo divenuta fattore strutturale per l’economia rurale e per la società greca (Kasimis et al., 2003; Kasimis e Papadopoulos, 2005; Lawrence, 2007; Labrianidis e Sykas, 2009; Papadopoulos, 2009; Kasimis et al., 2010; Papadopoulos, 2011).
Il contributo dei migranti è stato importante nell’assicurare che le aziende familiari fossero pienamente operative e riuscissero anche ad aumentare la loro produttività in una situazione complessiva che favorisce l’occupazione esterna all’azienda agricola per i membri della famiglia, dovuta ai maggiori ritorni della loro occupazione nei settori non agricoli dell’economia.

Figura 2 - Dimensione media in ettari per età degli agricoltori, 1991-2010


Fonte: Elstat, 1991-2010 & Eurostat database

La figura 3 mostra che il numero di occupati in agricoltura si è ridotto significativamente passando da più di 1,6 milioni nel 1991 a quasi 1,2 milioni nel 2013. Questa diminuzione del 22% nel numero di occupati ha implicato un calo del 32% degli occupati a tempo pieno in agricoltura. Una considerazione qualitativa in merito è che meno persone di quante siano rimaste in agricoltura lavorano full-time nelle loro aziende.
Il drastico calo del lavoro familiare negli ultimi quindici anni è coinciso con l’incremento dei migranti che hanno lavorato su base regolare o stagionale in agricoltura. Questo cambiamento è stato di primaria importanza per le aziende familiari che, da un lato, hanno perso una porzione significativa di lavoro familiare e, dall’altro, hanno beneficiato molto del grande afflusso di manodopera migrante in tutti i settori dell’economia e soprattutto in agricoltura.

Figura 3 - Evoluzione della manodopera agricola familiare in persone e unità di lavoro annuale, 1991-2013


Fonte: Elstat, 1991-2013 & Eurostat database

La tabella 1 illustra esattamente la situazione della diminuzione nel numero di membri della famiglia impegnati in agricoltura e del numero crescente di manodopera salariata non familiare occupata regolarmente o stagionalmente. Più in particolare, mentre la manodopera familiare è diminuita, il numero di lavoratori salariati regolari si è quadruplicato tra il 1991 e il 2013, e anche le aziende che impiegavano manodopera salariata regolare sono aumentate allo stesso ritmo, fino a rappresentare il 2,3% del numero totale di aziende nel 2013. Inoltre, il numero di aziende che impiegavano manodopera stagionale sono aumentate (del 48%) nel periodo 1991-2007, mentre anche il numero di giorni lavorativi della manodopera stagionale è aumentato (del 73%) nello stesso periodo. Nel periodo successivo 2007-2013, forse a causa della recessione economica, l’impiego di manodopera stagionale è tornato a livelli simili a quelli del 1991 sia per il numero di aziende con manodopera salariata che per quello dei giorni lavorativi. In ogni caso, l’impiego di manodopera stagionale, nonostante la riduzione, è stato proporzionalmente maggiore rispetto agli inizi degli anni ’90.

Tabella 1 - Evoluzione della manodopera agricola familiare, manodopera agricola non-familiare regolare e stagionale, 1991-2013

Fonte: Elstat, 1991-2013

La figura 4 offre una visione più ampia della fluttuazione della manodopera salariata impiegata nell’agricoltura greca nel periodo 1991-2013, mentre, allo stesso tempo, il contributo della manodopera salariata è illustrato considerandone la quota sull’impiego totale delle aziende. In particolare si vede chiaramente che il numero di lavoratori a tempo pieno nelle aziende familiari greche ha avuto un picco nel 2003 e da allora in poi si è ridotto, ma è evidente che per l’intero periodo 2003-2010 la proporzione di manodopera salariata rispetto alla manodopera totale delle aziende agricole è stata rilevante. Nonostante la diminuzione, ancora nel 2013, la manodopera salariata contribuisce a quasi il 15% della manodopera agricola complessiva, che è la quota raggiunta nell’anno 2000. Occorre qui evidenziare che sia il numero di persone occupate come manodopera salariata che quello delle loro giornate lavorative è generalmente sottostimato nell’intero periodo, soprattutto perché la gran parte dei lavoratori stagionali sono migranti irregolari e quindi c’è la tendenza a non registrare il loro impiego.

Figura 4 - Contributo della manodopera non familiare nelle aziende agricole (calcolata sull’equivalente a tempo pieno e in percentuale sul totale della manodopera in azienda), 1991-2013

Fonte: Elstat, 1991-2013

Il peggioramento della situazione dell’occupazione e della disoccupazione nel contesto della recessione economica in Grecia, come mostrato nella figura 5, ha avuto un impatto significativo sulla manodopera salariata a tempo pieno in tutti i settori economici e meno in agricoltura. Il processo più importante è quello per cui, gradualmente, tutte le posizioni di lavoro create nel periodo 1998-2008 sono state perse nel solo quadriennio 2008-2012. Ciò ha avuto un enorme impatto sulla vita delle persone, specialmente nelle grandi città dove si concentrava la maggior parte della manodopera salariata e dove era localizzata la maggior parte delle attività economiche, specialmente servizi, costruzioni e manifattura.

Figura 5 - Fluttuazione dell’occupazione e della disoccupazione nei periodi di crisi, 2001-2015

Fonte: Elstat, Indagine Forza Lavoro, 2001-2015

Naturalmente le aree rurali sono state colpite relativamente meno dalla recessione economica, come risulta in modo evidente nel Grafico 6, in cui il tasso di disoccupazione nelle aree rurali è inferiore a quello nelle aree urbane. Ritengo che l’alta dipendenza delle aree rurali dall’agricoltura sia alla base di questo dato leggermente migliore della disoccupazione.

Figura 6 - Evoluzione della percentuale di disoccupazione in base al livello di ruralità/urbanità, 2001-2015

Fonte: Elstst, Indagine Forza Lavoro, 2001-2015

Inoltre, secondo la figura 7, il tasso di perdita di occupazione nei settori non agricoli è stato molto rapido negli ultimi sei anni, mentre la proporzione dell’occupazione in agricoltura è aumentata. La quota di occupati in agricoltura sull’occupazione totale è aumentata da quasi l’11% del 2008 a circa il 14% del 2015. Questo è dovuto principalmente al relativo minore tasso di riduzione occupazionale, ma anche al fatto che l’agricoltura è legata all’auto-impiego. La situazione riflette, come già detto, il peggioramento della situazione economica complessiva, ma implica anche che l’agricoltura familiare ha fornito una sorta di meccanismo di difesa contro la recessione economica. Inoltre, l’agricoltura familiare ha offerto alcune opportunità occupazionali per coloro che vedevano nell’agricoltura uno stile di vita alternativo.

Figura 7 - Fluttuazione dell’occupazione e dell’occupazione in agricoltura nei periodi di crisi, 2001-2015

Fonte: Elstat, Indagine Forza Lavoro, 2001-2015

La figura 8 fornisce un interessante quadro disaggregato dell’andamento dell’occupazione agricola nel periodo della crisi, ma anche prima di essa. Si fa presente che i dati sono forniti dall’Indagine sulle Forze Lavoro e non corrispondono direttamente ai dati del Censimento dell’agricoltura e dell’Indagine sulle aziende agricole presentati nelle precedenti figure e tabelle.
È importante sottolineare che i numeri di un particolare segmento, quello dell’auto-impiego, sono stati sorprendentemente stabili negli ultimi anni, nonostante piccole fluttuazioni. Il numero degli agricoltori che impiegano manodopera salariata, invece, è diminuito dal 2010, probabilmente a causa della recessione. In ogni caso, i membri familiari che lavorano senza remunerazione si sono significativamente ridotti (del 131%) nel periodo 2001-2015. Di sicuro, questa riduzione è collegata alla più generale tendenza dei membri di famiglia a cercare impiego nei settori non agricoli e anche all’aumento dei tassi di disoccupazione nelle aree rurali a causa della mancanza di posizioni aperte nei servizi e in altri settori. L’unico segmento di popolazione impiegata in agricoltura che aumenta nell’intero periodo, nonostante alcune fluttuazioni, è quello dei lavoratori salariati. Infatti, il loro numero è quasi raddoppiato nel periodo 2001-2010, mentre c’è stata una riduzione del 17% nel periodo 2010-2015. Si evidenzia che il numero di lavoratori salariati in agricoltura (41mila nel 2015) non corrisponde direttamente al numero su menzionato in quanto molte persone che hanno un impiego principale in altri settori economici possono essere ugualmente impiegate in agricoltura stagionalmente e/o irregolarmente.

Figura 8 - Evoluzione della popolazione agricole per categoria di occupazione, 2001-2015

Fonte: Elstat, Indagine Forza Lavoro, 2001-2015

Nonostante il calo relativo dell’agricoltura familiare, il suo ruolo rimane importante per il sostegno ad uno status occupazionale e ad uno stile di vita delle aree rurali che consente ai residenti di condurre la loro esistenza in sicurezza. In molti casi, gli agricoltori possono ottenere sicurezza alimentare e anche la sopravvivenza dei loro nuclei familiari in tempi di austerità.

Conclusioni

L’analisi ha mostrato che l’agricoltura familiare greca è molto eterogenea, ma ci sono fenomeni crescenti che differenziano ulteriormente le aziende a conduzione familiare in due direzioni fondamentali: da un lato le aziende medie e grandi che hanno aumentato le loro dimensioni e cercano modi migliori – intensificando la loro produzione o differenziando le loro coltivazioni o adottando nuove colture – per aumentare la loro produzione e il loro reddito e, dall’altro lato, la maggioranza delle aziende piccole che lottano per la sopravvivenza in un quadro economico in deterioramento, usando strategie difensive di occupazione e di gestione flessibile delle proprie risorse.
In tale situazione, l’impiego di manodopera salariata, e più in particolare della manodopera migrante, ha avuto uno sviluppo molto importante che ha creato nuove opportunità per l’espansione delle aziende medie e grandi, ma ha anche consentito alle piccole aziende di migliorare la loro produzione attraverso la riduzione dei costi del lavoro. Di certo la capacità lavorativa dei migranti ha dato beneficio all’agricoltura familiare greca non solo fornendo manodopera a basso costo ma anche offrendo nuovi metodi di gestione e diffusione di diverse competenze agricole. Va da sé che non c’è via di ritorno ad una situazione in cui gli agricoltori non impiegano manodopera salariata. Quest’ultima è stata un fattore che ha favorito l’ulteriore integrazione della grande maggioranza di agricoltori nell’agricoltura capitalistica, anche di quegli agricoltori che impiegano solo manodopera salariata stagionale.
Nell’attuale contesto di crisi economica, vi è un significativo spazio per i piccoli agricoltori, in quanto essi sono meno esposti alle forze di mercato e più abili a reagire mobilitando le proprie risorse (terra, manodopera) e, allo stesso tempo, ad optare per colture alternative e per la salvaguardia dell’ambiente. Le grandi aziende hanno scelte limitate in quanto l’aumento della produzione rimane il loro unico obiettivo. In molti casi esse hanno optato per un ulteriore peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro della manodopera salariata migrante e in altri casi, le loro attività sono portate avanti a spese dell’ambiente e dei beni comuni. Il futuro dell’agricoltura familiare sembra essere ad un bivio, ma raramente è capitato che non lo fosse.

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  • 1. La traduzione in italiano del testo è stata curata da A. Del Prete (Crea) e Barbara Forcina (Crea). La versione originale in lingua inglese può essere visionata sul sito di Agriregionieuropa [link].
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