Agricoltura familiare in America Latina tra modernizzazione agricola e autonomia contadina

Agricoltura familiare in America Latina tra modernizzazione agricola e autonomia contadina
a Università della Calabria, Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

Introduzione

Dagli inizi del Duemila, l'agricoltura familiare ha guadagnato terreno nel dibattito sulle politiche agroalimentari in America Latina: se inizialmente venne promossa dagli attori sociali, oggi è parte dell'agenda di agenzie multilaterali (come Fao, Cepal e Iica) e di alcuni governi in carica (col Brasile in testa). Tuttavia, dal punto di vista dei movimenti sociali latinoamericani e di parte della riflessione accademica, il riconoscimento del ruolo cruciale dell'agricoltura familiare deve accompagnarsi a una rinnovata attenzione verso l'agricoltura contadina, in modo da produrre una discontinuità con l'approccio neoliberista della modernizzazione agricola.
In questo quadro, prendendo spunto dalla letteratura latinoamericana e da una ricerca empirica condotta in Ecuador tra il 2011 e il 2013, l'articolo si propone di mettere in luce le variegate visioni di agricoltura, spesso in contraddizione fra di esse, che il "nuovo" discorso sull'agricoltura familiare contiene. Ci riferiamo, in particolare, alle differenti maniere di intendere la relazione col mercato e quella col patrimonio naturale.

Declinare l'agricoltura familiare

In America Latina l'agricoltura inizia a essere caratterizzata con la "qualifica" di familiare durante la metà del ventesimo secolo, con l'emergere del concetto di "unità economica familiare". Ciò prende piede in Brasile per poi diffondersi al resto della regione, in particolare all'interno dei processi di riforma agraria. In essi, furono considerate come "familiari" le unità produttive dotate di dimensioni sufficienti a garantire la riproduzione del nucleo familiare e capaci di funzionare grazie alla forza-lavoro interna (Maletta 2011). A tale caratterizzazione, incentrata sulla proprietà della terra e sulle forme del lavoro, fece ricorso lo stesso Comité Interamericano de Desarrollo Agrícola (Cida), l'organismo regionale creato nel 1959 con l'incarico di promuovere i programmi di riforma agraria (Carmagnani 2008).
Tuttavia, è solo dagli inizi del Duemila che il concetto di agricoltura familiare inizia a conquistare ampia legittimità tra attori sociali (comprese le Ong), politici e accademici latinoamericani, rimpiazzando altri significanti fino allora preponderanti, in particolare campesinado (contadinità) ma anche "piccoli produttori" o "produttori a basso reddito". Tale progressiva affermazione si spiega attraverso alcune dinamiche correlate. Innanzitutto, è stato decisivo il fiorire, nelle aree rurali, di lotte mirate all'accesso a risorse e a servizi così come a promuovere un modello di agricoltura alternativo a quello neoliberista.1 Ciò si collega al secondo fattore, cioè la combinazione tra un diffuso riconoscimento del fallimento delle politiche neoliberiste promosse nei decenni precedenti e l'attribuzione di nuovi significati allo sviluppo rurale, anche a fronte della crisi (alimentare e climatica) mondiale. Infine, va considerato il ritorno dell'attenzione accademica nei confronti del mondo rurale, non più inteso, però, come sinonimo solo di agricoltura bensì quale contesto più complesso ed eterogeneo (Martínez Valle 2013; Sacco dos Anjos F. e Velleda Caldas N. 2007; Schneider 2003, 2014). È in questo quadro che, nel 2004, questo "nuovo" concetto viene istituzionalizzato su scala regionale attraverso la creazione della Reunión Especializada de Agricultura Familiar (Reaf: [link]) (Salcedo et al,. 2014).
Nonostante la sua ampia diffusione, il concetto di agricoltura familiare è tuttora caratterizzato dalla mancanza di una definizione univoca; fatto che viene sottolineato da alcuni movimenti contadini (Cloc 2014; La via campesina 2014 [link]) e da studiosi latinoamericani che riflettono intorno ad esso, oltre che dalla stessa Fao (Garner e Campos 2014).
Sul versante della riflessione accademica, Maletta (2011:8, t.d.a.) è netto nell'affermare che è un "concetto confuso", portatore di "deficienze intrinseche" poiché "non risponde ad una categoria teorica coerente, né a un tipo sociologico determinato, né a variabili economiche chiare" mentre lascia implicite, o formula solo parzialmente, le ragioni che lo dovrebbero rendere il modello ideale, preferibile a quello imprenditoriale, per la lotta alla povertà rurale.
In effetti, la qualifica di familiare associata all'agricoltura si riferisce alle forme assunte dal lavoro, dalla proprietà e dalla gestione aziendale, ma lascia indefinite alcune dimensioni cruciali.
In realtà a monte vi è il fatto che la famiglia assume forme diverse al mutare dei contesti storici e sociali; ciò significa che è arduo fissare dei tratti distintivi a carattere universale associabili alla qualifica di "familiare".
Tuttavia anche se restringiamo la riflessione alla dimensione produttiva, la questione non diviene meno complessa. Dentro il grande contenitore dell'agricoltura familiare vengono rappresentati soggetti estremamente eterogenei, tra cui contadini, braccianti, pastori, allevatori, raccoglitori e pescatori. Allo stesso modo, possono rientrarvi produttori che svolgono solo attività agricole ma anche produttori che ricorrono alla pluriattività. D'altronde, rispetto al regime fondiario, vi troviamo soggetti con caratteristiche e necessità diversificate, come i proprietari di terra, gli affittuari e i "senza terra".
Vogliamo però porre l'accento su un ulteriore aspetto che ci interessa particolarmente: caratterizzare l'agricoltura come "familiare" non implica far riferimento a un modo peculiare di concepire e fare agricoltura. In altre parole, questo concetto non racchiude, di per sé, definizioni su come si produce e su che orientamento viene stabilito nei confronti del patrimonio naturale e del mercato. Così, dentro l'agricoltura familiare vengono racchiuse realtà che pensano l'agricoltura in forme estremamente dissimili. Si può trattare di unità produttive dedite a monocolture intensive, caratterizzate da un alto impatto ambientale, ma anche di unità diversificate e agroecologiche, attente al ristabilimento degli equilibri ecosistemici. Stesso discorso per quanto riguarda il mercato: dietro la qualifica di "familiare" vengono affiancate aziende altamente dipendenti per l'accesso ai fattori produttivi con aziende che, al contrario, tendono a tutelare la propria autonomia.
Di fronte a tale ambiguità e considerata la crescente affermazione del concetto di agricoltura familiare, in America Latina sono emerse voci e proposte che reclamano una sua maggiore caratterizzazione. La posizione più diffusa è quella che intende restituire visibilità alla condizione contadina, proponendo la definizione binaria di agricoltura familiare contadina, sostenuta da attori che si oppongono al modello neoliberista di agricoltura. Si tratta, in particolare, delle organizzazioni legate a La Vía Campesina [link] e, in ambito regionale, al coordinamento ad essa affiliato, la Coordinadora Latinoamericana de Organizaciones del Campo (Cloc: [link]). Quest'ultimo coordinamento, tra l'altro, aggiunge un'ulteriore specifica di fronte alla megadiversità culturale della regione, promuovendo il concetto di agricoltura familiare contadina e indigena (Cloc 2014). A mo' di contraltare, non sono assenti posizioni più allineate al modello della modernizzazione agricola che coniano neo-definizioni come quella di agro-imprese familiari.

L'agricoltura familiare: contadina o imprenditoriale?

Gli autori brasiliani Schneider e Niederle (2008) richiamano l'attenzione sul fatto che la differenziazione tra agricoltura familiare e agricoltura contadina, sebbene necessaria, risenta di frequente della polarizzazione del dibattito sullo sviluppo rurale, segnato spesso da confronti ideologici più che concettuali. Pertanto, i due autori suggeriscono di focalizzare l'analisi sulle "forme sociali" e sulle "relazioni di lavoro e di produzione" che caratterizzano materialmente le campagne contemporanee.
Attraverso tale approccio, essi identificano alcuni elementi in comune, tra l'agricoltura familiare e quella contadina, associati, innanzitutto, al peso che le relazioni di consanguineità e di parentela esercitano su entrambe, influenzando l'organizzazione dei processi lavorativi e di quelli produttivi, così come le relazioni col mercato e le forme di trasmissione patrimoniale. In quest'ottica, l'identità sociale capace di accomunare in uno stesso "gruppo sociale" gli agricoltori familiari e i contadini si fonda sul limitato accesso ai mezzi di produzione, sulla forza-lavoro familiare come principale fattore produttivo disponibile e, infine, sul mantenimento di un orientamento all'autoconsumo.
Sul fronte delle discontinuità, l'accento è posto sul fatto che, pur appartenendo a uno stesso "gruppo sociale", taluni agricoltori familiari presentano caratteristiche e forme di vita e di riproduzione, oltre che razionalità economiche, diverse da quelle proprie dei contadini. In questo quadro, la differenziazione è essenzialmente ricondotta al grado di dipendenza dal mercato e al tipo di relazioni sociali che l'agricoltura familiare stabilisce qualora intensifichi e renda più complessa la sua integrazione alla società capitalistica.
Qui il punto non è se l'unità produttiva sia dedita esclusivamente all'agricoltura o, piuttosto, alla pluriattività, poiché si considera generalizzato l'ampio ricorso a strategie diversificate, capaci di coniugare la coltivazione della terra (di proprietà o affittata) con altre attività, come artigianato o lavoro salariato. Tantomeno, il ragionamento muove dall'idea che l'agricoltura contadina possa essere distaccata dal sistema capitalistico a differenza di alcune forme di agricoltura familiare: entrambe, infatti, sono ritenute vincolate ad esso.
Lo spartiacque è situato, invece, nel grado di mercantilizzazione (commoditization) dell'unità produttiva, misurato prendendo in considerazione i livelli di autonomia nella riproduzione. Il grado di dipendenza dell'unità produttiva da processi sociali ed economici esterni (per quanto riguarda l'accesso a input, strumenti, forza lavoro, know-how e canali di commercializzazione) costituisce il tratto che può condurre ad una differenziazione tra l'agricoltura familiare e quella contadina. L'attenzione, dunque, si focalizza sulla capacità dei soggetti rurali di conservare autonomia e riprodursi secondo logiche proprie, pur essendo inglobati dentro un sistema governato da relazioni sociali a carattere capitalistico. La progressiva perdita in autonomia che certe forme di agricoltura familiare sperimentano produce mutamenti che avvengono nelle forme di produzione e del lavoro ma che hanno effetti anche sugli aspetti culturali e sulle relazioni sociali, finendo per trasformare gli stessi modi di vita. In tali casi, l'agricoltura familiare si distanzia dalla condizione contadina per transitare verso un modello imprenditoriale che ha come principale obiettivo accumulare profitti piuttosto che tutelare autonomia.
Il ragionamento di Schneider e Niederle (2008), qui brevemente riportato, mutua l'actor-oriented approach della Scuola di Wageningen, rifacendosi in particolare ai lavori di Ploeg (2006) intorno alla pluralità di stili aziendali. I due autori brasiliani prendono in prestito, infatti, l'idea della compresenza di strategie diversificate nell'organizzazione della produzione e nello stabilimento dei rapporti col mercato e con la tecnologia. Ciò implica, fondamentalmente, poter suddividere l'agricoltura familiare tra contadina e imprenditoriale. La predisposizione a tutelare un'autonomia relativa caratterizza il modo contadino di fare agricoltura familiare, orientato a esercitare un controllo, anche se parziale, sul processo produttivo e, dunque, a ricorrere solo occasionalmente all'esternalizzazione della forza-lavoro e dei fattori produttivi. Di conseguenza, il modo contadino tende a privilegiare una relazione di co-produzione con la natura, mirata cioè a mantenere e riprodurre la fertilità dei suoli e in generale il patrimonio naturale da cui l'unità produttiva dipende. La vendita di parte della produzione sul mercato, il ricorso ad attività complementari e/o al lavoro salariato stagionale, in questa tipologia di agricoltura familiare, è parte di una strategia più ampia che ha come fine ultimo tutelare i processi di produzione e riproduzione familiare (Ploeg 2013; Schneider 2014).
In questa prospettiva teorica, la mercantilizzazione non è intesa come un processo lineare ed omogeneo: essa assume forme eterogenee (che riguardano l'organizzazione della produzione e del lavoro) che rispecchiano la diversità dei soggetti rurali contemporanei annoverabili nell'agricoltura familiare. Poiché essi danno risposte differenziate (in termini di ratio, strategie e pratiche) ad analoghe e ostili condizioni strutturali.

L'agricoltura familiare e contadina in Ecuador

L'Ecuador è un piccolo paese andino, con una superficie totale di 283.561 Km2 e 15.587.621 abitanti,2 situato nella regione nord-occidentale del Sudamerica, tra la Colombia e il Perù. L'equatore, da cui mutua il nome, lo attraversa orizzontalmente, mentre la Cordillera de los Andes lo fende verticalmente. Ad una notevole diversificazione geografica si associano un'incredibile diversità culturale, con una popolazione composta da gruppi che si autodefiniscono indigeni, afro - discendenti e meticci, e biologica, essendo uno dei paesi megadiversi del mondo.
L'agricoltura, assieme all'allevamento, rappresenta l'8.2% del Pil reale3 ed impiega intorno al 30% della forza lavoro, percentuale che incrementa significativamente (arrivando al 69,2%) se consideriamo esclusivamente la popolazione rurale.
Eppure, le campagne ecuadoriane sono segnate da grave sperequazione della ricchezza e del controllo sulle risorse. La povertà rurale gravita intorno al 49,1%, mentre la povertà estrema è del 23,3% (Bce 2012). Per quanto riguarda l'accesso alla terra, la concentrazione è estremamente alta: il 64,4% delle unità produttive sono minori a cinque ettari ma, in totale, occupano solo il 6,3% della superficie agricola. Nel frattempo, le proprietà più grandi (maggiori di 200 ettari) rappresentano solo lo 0,1% del totale delle aziende nazionali ma controllano ben il 29% della superficie complessiva (Carrión e Herrera 2012; Eclac et al. 2012). D'altronde, solo l'8,3% delle unità produttive a conduzione maschile riceve credito, percentuale che crolla al 4,6% per quelle a gestione femminile (Namdar-Irani et al,. 2014).
Questo quadro è frutto anche delle politiche agroalimentari attuate con i programmi di aggiustamento strutturale. Tra gli anni Ottanta e Novanta, l'Ecuador si è infatti allineato alla divisione internazionale del lavoro che, sulla base del modello di extraversione4 denominato New Agricultural Countries (Nac), gli assegna il ruolo di paese esportatore di prodotti non tradizionali. Le politiche ufficiali hanno puntato a incentivare le esportazioni di prodotti esotici (cacao, banane, gamberi e più tardi fiori) e, nel frattempo, hanno proceduto alla deregolamentazione liberista che ha favorito le importazioni di prodotti essenziali, come i cereali, specie dagli Stati Uniti.
Dunque, i piani di aggiustamento strutturale hanno favorito la diffusione del modello modernizzante della monocoltura, consolidando i gruppi economici dediti all'esportazione, mentre il modo contadino è stato considerato come "inefficiente". L'imposizione di tali politiche neoliberiste, divenuta particolarmente aggressiva durante gli anni Novanta nonostante le massicce mobilitazioni sociali, ha aggravato condizioni di emarginazione già esistenti nelle campagne che si protraggono fino ad oggi.
Un recente studio commissionato dalla Fao (Leporati et al,. 2014: 37, 39) riporta che in Ecuador, su un totale di 842.882 unità agricole, 712.035 sono a conduzione familiare, vale a dire l'84,5% del totale. Queste unità familiari, tuttavia, controllano solo il 20% della superficie agricola disponibile e presentano un'estensione media di soli 3,48 ettari.
Già nel 2007, la Fao e il Bid avevano pubblicato uno studio comparativo sull'agricoltura familiare in America Latina (Soto Baquero et al,. 2007)5 che includeva uno studio di caso sull'Ecuador.6Tra i risultati emerge una netta predominanza di quella che lo studio definisce "agricoltura familiare di sussistenza", vale a dire di soggetti produttivi dediti per lo più all'autoconsumo, poco vincolati al mercato, che affrontano seri ostacoli nell'accesso ai fattori di produzione e devono ricorrere ad altri ingressi per garantire la riproduzione familiare, quali il lavoro salariato (specie nella regione costiera) o le rimesse dall'estero (in particolare nella zona andina). A ciò fa da contraltare la scarsa diffusione di un'agricoltura familiare fortemente articolata al mercato, che ricorre a manodopera esterna e presenta alti rendimenti, che lo studio definisce "consolidata". Infatti, il 62% delle unità produttive familiari ecuadoriane si colloca nella prima categoria (di sussistenza), il 37% in quella intermedia (di transizione) e solo l'1% nella terza (consolidata). Dal punto di vista territoriale, la prima tipologia è più diffusa nelle regioni andina ed amazzonica, mentre le altre due nella Costa.
Per completare il quadro tratteggiato fin qui, è da sottolineare il ruolo cruciale giocato dalle agricolture familiari nel rifornimento di alimenti: esse, infatti, coprono il 64% della produzione di patate, l'85% di quella di cipolle, il 70% del mais, l'85% del mais tenero e l'83% della carne ovina; tale contributo alla sicurezza alimentare nazionale rispecchia una tendenza regionale, comune cioè agli altri paesi latinoamericani (Soto Baquero et al. 2007).
Il quadro appena tratteggiato, se interpretato attraverso l'approccio analitico suggerito da Schneider e Niederle (2008), permette affermare che le agricolture familiari in Ecuador assumono in maniera prevalente la forma di agricoltura familiare contadina.
 

Lotte sociali in difesa dell'agricoltura familiare contadina e politiche pubbliche
Dal punto di vista dell'innovazione sociale, l'Ecuador, fin dagli anni Novanta, è stato scenario di lotte e di pratiche innovative condotte da organizzazioni contadine e indigene ed iscritte nel tentativo di affermare i principi della sovranità alimentare, la proposta avanzata a fine anni Novanta da La Vía Campesina come alternativa all'approccio della sicurezza alimentare. Con sovranità alimentare si intende il diritto dei popoli a definire le proprie politiche di produzione, distribuzione e consumo alimentare e a poter produrre, in sistemi alimentari locali, cibo sano, nutritivo e culturalmente adeguato. L'enfasi, dunque, è sull'accesso ai fattori necessari alla produzione di alimenti (innanzitutto la terra, l'acqua e le sementi) da parte del mondo contadino, individuato come protagonista nella garanzia del diritto al cibo per tutti.
In questo orizzonte, dagli anni Novanta in poi diversi attori sociali ecuadoriani promuovono esperienze innovative, spesso sostenute dalla cooperazione internazionale e legate alla vendita diretta dei contadini ai consumatori, alla produzione diversificata e agroecologica di cibo sano e alla difesa e valorizzazione dell'agrobiodiversità locale. A queste pratiche concrete, le organizzazioni sociali affiancano un repertorio fatto di dialogo con le istituzioni e di azioni di influenza sulle politiche agroalimentari nazionali, spesso intessendo reti fra diversi attori. Esse ottengono un'importante conquista con la costituzionalizzazione, nel 2008, di un modello di agricoltura alternativo a quello della modernizzazione neoliberista, basato sui principi della sovranità alimentare e che mira alla valorizzazione dei sistemi alimentari locali (Giunta e Vitale 2013; Giunta 2014; Clark 2015). Si tratta, senza dubbio, di un modello che mette al centro il contributo delle agricolture familiari contadine.
In questo quadro vengono istituzionalizzati alcuni principi innovativi quali, ad esempio, la redistribuzione delle risorse, la transizione agroecologica, il sostegno a filiere corte e all'economia solidale per la garanzia del diritto al cibo e la tutela dell'agrobiodiversità.
Eppure, negli anni successivi all'approvazione della nuova Costituzione fino a oggi, le politiche e le strategie ufficiali dirette all'agricoltura familiare non si sono allineate in maniera inequivocabile a tali principi. In alcuni casi si tratta di iniziative che promuovono forme collettive di proprietà della terra e di produzione (in particolare il Plan Tierras mirato alla redistribuzione delle terre) e che si concentrano, spesso, su colture commerciali (alimentari o a fini energetici). Un secondo approccio, ancora incipiente, rimanda a una delle principali rivendicazioni delle organizzazioni contadine locali: l'approvvigionamento decentralizzato degli aiuti alimentari pubblici (i cosiddetti mercati istituzionali) tramite famiglie contadine e la promozione di mercati per la vendita diretta ai consumatori (ferias inclusivas). Un terzo approccio richiama il modello promosso dalla Banca Mondiale denominato inclusive business model. Attraverso iniziative come il Programa de Negocios Rurales Inclusivos, produttori a "basso-reddito" vengono immessi negli anelli inferiori di catene di valore controllate dall'agroindustria e dalle grandi catene di distribuzione alimentare. In questo caso, dunque, l'approccio non è incoraggiare circuiti alternativi per la distribuzione e la commercializzazione alimentare, capaci di ridurre l'intermediazione fra chi produce e chi consuma, ma consolidare il regime di accumulazione dominante. Accanto a queste iniziative, si conservano le anteriori politiche (precedenti alla nuova Costituzione) fatte di aiuti pubblici in sementi certificate e relativo pacchetto di prodotti chimici, ispirate al modello monocolturale, specie per i piccoli produttori di riso e di mais della regione costiera.
Nell'insieme, le misure a sostegno delle agricolture familiari non sempre risultano in sintonia fra di esse né col mandato costituzionale del 2008; ciò significa che non sempre rompono con le logiche neoliberiste della modernizzazione, del produttivismo e della piena integrazione al mercato (che privilegiano il modello imprenditoriale di agricoltura) per sposare in maniera compiuta i principi della sovranità alimentare (che, come abbiamo visto, scommettono sul modello contadino).
Le misure adottate, infatti, in certi casi non incoraggiano l'autonomia produttiva attraverso processi di conversione agroecologica o di riduzione dell'uso di input esterni ma, anzi, tendono ad indurre le unità produttive familiari a severi processi di indebitamento e di dipendenza dal mercato.
In altre parole, l'orientamento governativo nei confronti dell'agricoltura familiare oscilla tra il sostegno al modello contadino e quello al modello imprenditoriale. Non a caso, la mancata coerenza tra le politiche attuate negli ultimi anni e il mandato costituzionale del 2008 (che privilegia il modello contadino) ha generato ripetute critiche da parte delle organizzazioni contadine ed indigene promotrici dell'istituzionalizzazione dei principi della sovranità alimentare. Ciò avviene anche in questi mesi, in occasione del dibattito sul disegno di legge fondiaria proposto dalla coalizione al governo. Le maggiori tensioni si concentrano, ovviamente, sulle modalità e sugli strumenti necessari ad attuare una riforma agraria radicale a fronte degli altissimi indici di concentrazione della terra che segnano il paese. Ciononostante, parte delle critiche riguardano anche l'inedito ricorso al concetto di agricoltura familiare7 poiché privo di disposizioni chiare sul sostegno al modo contadino di pensare e di fare agricoltura.

Riferimenti bibliografici

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Sitografia

 

  • 1. Schneider (2003), riferendosi al caso brasiliano, spiega che le organizzazioni sociali iniziarono a utilizzare il concetto di agricoltura familiare con l'obiettivo di rappresentare gli interessi di soggetti rurali profondamente eterogenei, non riducibili esclusivamente ai contadini o ai lavoratori agricoli. Ciò favorì l'avvio di programmi come il Pronaf (Programa Nacional de Fortalecimento da Agricultura Familiar), che dal 1996 cercò di rispondere alle crescenti rivendicazioni sociali, concentrandosi sui soggetti rurali tradizionalmente esclusi dal sostegno statale.
  • 2. Fonte:[link]
  • 3. Nel 2010, con una media del 9% del periodo 2000-2010. Va considerata, tuttavia, l'alterazione generata dal peso delle attività petrolifere sull'economia; se consideriamo il "Pil non petrolifero", il contributo dell'agricoltura è del 13,2% nell'anno 2010 e del 15,46% come media del periodo 2000-2010 (Carrión e Herrera 2012).
  • 4. Con extraversione, si intende la distorsione dell'economia in direzione delle attività esportatrici.
  • 5. In questo studio l'agricoltura familiare è caratterizzata in base a quattro principali elementi:

    • l'uso predominante di forza-lavoro familiare;
    • l'accesso limitato a terra e capitali;
    • la presenza di strategie diversificate di sopravvivenza e di generazione di reddito;
    • un'estrema eterogeneità, specie per quanto riguarda l'articolazione ai mercati.

    In base ad essi, l'agricoltura familiare è suddivisa in: di sussistenza, di transizione e consolidata. Tale categorizzazione presenta, tuttavia, il rischio di ingabbiare l'analisi dentro uno schema lineare che proietta il modo contadino come stadio originario e quello imprenditoriale come auspicato; non a caso gli autori precisano, in nota al testo, che non si tratta di una scala valoriale.

  • 6. Per approfondimenti si vedano anche: Wong (2007) e Wong e Ludeña (2006).
  • 7. Inedito poiché nel testo costituzionale del 2008 non appare il concetto di agricoltura familiare.
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