Il valore economico della biodiversità in Veneto: il caso dei nardeti in Lessinia

Il valore economico della biodiversità in Veneto: il caso dei nardeti in Lessinia
a Università di Padova, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (Tesaf)
b Università di Padova, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (TESAF)
c Regione del Veneto, Sezione Parchi Biodiversità Programmazione Silvopastorale e Tutela dei Consumatori
d Regione del Veneto, Sezione Parchi Biodiversità Programmazione Silvopastorale e Tutela dei Consumatori

Introduzione

I servizi ambientali o ecosistemici collegati alle aree rurali rivestono una attenzione crescente sia per gli aspetti di identificazione (vd., ad esempio, il Millennium Ecosystem Assessment), che di classificazione (Common International Classification of Ecosystem Services - Cices), valutazione economica (Economics of Ecosystems and Biodiversity - Teeb) e mappatura (Mapping and Assessment of Ecosystems and their Services - Maes)1. Tali servizi ecosistemici includono la mitigazione dei cambiamenti climatici, la regolazione del ciclo delle acque e della sua qualità, la protezione dei suoli, la funzione turistico-ricreativa e la conservazione della biodiversità (Erlich, Erlich 1981; Croitoru et al., 2005; Gios et al., 2006; Goio et al., 2008.). La maggior parte di questi servizi è un bene pubblico di cui la collettività usufruisce a titolo gratuito. Tuttavia, va evidenziato che garantire una gestione dell’ambiente naturale o rurale che consenta il miglioramento (o anche solo il mantenimento) di questi servizi ha un costo, a volte assai significativo. Si pensi ad esempio ai costi sostenuti dai conduttori di sistemi agricoli e forestali che sono costretti a modificare le proprie pratiche gestionali (es. riduzione dell’uso di fertilizzanti) in modo da diminuire gli impatti negativi (es. eccessive quantità di nitrati) che la propria attività può avere sull’ambiente. Tali costi potranno manifestarsi in termini di mancati redditi (es. dovuti ad una minor produttività) o di costi aggiuntivi (es. per specifiche pratiche gestionali richieste). Solo molto raramente questi costi sono sostenuti o compensati, almeno in parte, da chi, in maniera diretta o indiretta, beneficia dei servizi ecosistemici (es. tutela dell’acqua e del suolo) che i gestori di terreni agricolo-forestali contribuiscono a preservare. Come risultato di questa mancata compensazione/retribuzione, cresce la probabilità che gli ecosistemi subiscano fenomeni di degrado, tali da determinare un progressivo deterioramento dei servizi che da essi derivano (es. inquinamento delle falde acquifere) e ulteriori costi aggiuntivi a carico della collettività.
Questi concetti nascono già negli anni settanta (Gómez-Baggethun et al., 2010), momento di forte espansione urbana e industriale della società occidentale. In Italia, la cementificazione ha avuto un’espansione incontrollata sin dagli anni ’60: il Veneto in particolare è arrivato a essere tra le regioni a più elevata urbanizzazione (medio-alta sul 93% del territorio - Istat, 2006), accompagnata da rilevanti cambiamenti nelle dinamiche demografiche e occupazionali, tra cui un ingente abbandono delle aree montane e delle attività agricolo-forestali, sempre più sostituite da attività terziarie. In particolare, il declino ha interessato le attività di gestione del patrimonio forestale e pascolivo, sempre meno remunerative sia per le condizioni di mercato (prezzi in calo, competitività dei produttori esteri in crescita), che per quelle di lavoro (produttività tra le più basse in Europa, innovazioni tecnologiche scarsissime). Anche l’elevatissima frammentazione delle proprietà (soprattutto private) ha giocato a sfavore del mantenimento di una gestione attiva dei territori rurali. Se da un lato la progressiva urbanizzazione e infrastrutturazione hanno portato a una lenta ma costante erosione del capitale naturale, specie nelle zone di fondovalle e pianura, dall’altro il drastico decremento delle tradizionali attività silvo-pastorali in montagna e collina ha comportato un aumento della superficie boschiva a scapito della tradizionale alternanza di bosco e pascolo dei paesaggi agricoli estensivi, determinando così una perdita di biodiversità (Sitzia, Trentanovi, 2011).
Fino a pochi anni fa, la corretta gestione delle risorse ambientali era basata prevalentemente su una regolamentazione passiva, con l’uso da parte dei decisori pubblici di strumenti quali tasse e obblighi fiscali, zonizzazioni, permessi di raccolta (es. funghi) e licenze d’uso (es. caccia). Oggi, soprattutto nelle situazioni in cui le risorse pubbliche siano limitate, si concorda sul fatto che per il mantenimento dei servizi ecosistemici, e in particolare per la conservazione della biodiversità, non si possa contare solo su delimitazioni di aree protette (Sanchirico, Siikimaki, 2007). E’ ormai riconosciuta l’importanza di attribuire un valore economico-monetario alle esternalità ambientali positive che derivano da tali aree e di trovare meccanismi di compensazione e retribuzione tali da incentivarne la tutela attraverso l’attuazione di pratiche gestionali corrette e sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.
Da queste considerazioni nasce l’idea dei pagamenti per i servizi ecosistemici (Payments for Ecosystem Services - Pes, nell’acronimo inglese frequentemente utilizzato) (si vedano ad es. Pagiola et al., 2005; Pagiola, Platais, 2007; Engel et al., 2008). Lo studio dei servizi ecosistemici e del loro ruolo all’interno del sistema economico globale, avviato già dalla fine degli anni ’90 (Costanza et al. 1997) ha dimostrato sia potenzialità e benefici della contabilizzazione delle esternalità positive nell’economia reale, che una serie di limiti (Gómez-Baggethun et al., 2010; Costanza et al., 2014; Naeem et al., 2015). Se da un lato esistono da tempo consolidate metodologie2 per stimare il valore economico-monetario di molti dei servizi ecosistemici che derivano dalle aree protette, dall’altro sono ancora poche e scarsamente note in Italia esperienze applicative di Pes in questo ambito (Gatto et al., 2012; Gatto et al., 2014). Eppure, in alcune circostanze, i Pes si stanno rivelando validi strumenti per tradurre in pratiche operative la compensazione economico-monetaria necessaria a proteggere gli ecosistemi e a garantire il mantenimento delle funzioni naturali utili alla società. Se l’idea non è del tutto nuova, sono innovativi i meccanismi di attuazione proposti (Gatto e Secco, 2009): i Pes si fondano su nuove forme di partnership pubblica-privata, associate a volte alla creazione di reti complesse e all’adozione di approcci partecipativi, dove l’autorità pubblica è solo uno dei tanti attori corresponsabili della gestione delle risorse naturali (Lemos e Agrawal, 2006).
Il presente contributo tratta questi temi presentando un esempio concreto di Pes attuato nel Parco Naturale Regionale della Lessinia per la protezione dei nardeti, habitat prativi prioritari in Europa ai sensi di Natura 2000. Il caso di studio consente di evidenziare alcune delle principali potenzialità e problematiche da affrontare per attivare questi meccanismi di pagamento a supporto della biodiversità in Veneto.

Le caratteristiche generali del progetto

Un esempio di Pes basato sul servizio biodiversità, con coinvolgimento di enti pubblici, è stato realizzato a scala locale nel Parco Naturale Regionale della Lessinia, un’area montana e collinare nella parte sud-ovest della regione Veneto, in provincia di Verona. L’oggetto del Pes sono i nardeti, prati magri e acidi oggi rari, ovvero formazioni erbose a Nardus, tipiche di substrati silicei delle zone montane e submontane dell’Europa continentale, che hanno un ricco corredo di specie erbacee e una notevole valenza ambientale e paesaggistica, tanto da essere individuati come habitat prioritario ai sensi di Natura 2000 (Direttiva 92/43/Cee, codice 6230). La loro presenza è strettamente e positivamente correlata a una gestione attiva dei pascoli: in assenza d’interventi per il loro mantenimento, essi tendono rapidamente a evolvere ad altre formazioni meno pregiate dal punto di vista ambientale. Il Pes è stato attivato grazie a una Deliberazione della Giunta Regionale del Veneto (n. 3788/2008), che su progetto dell’allora Servizio Reti Ecologiche e Biodiversità della Direzione Regionale Pianificazione Territoriale e Parchi aveva messo a disposizione, per interventi di recupero e conservazione dei nardeti nei territori delle Comunità Montane Agordina, del Brenta e della Lessinia risorse pubbliche pari a 265.000 euro, con la compartecipazione finanziaria per ulteriori 185.000 euro di un ente privato, la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno, Ancona. La Deliberazione stessa includeva la convenzione stipulata tra ente pubblico Regione ed ente privato Fondazione, cioè la realizzazione del partenariato pubblico-privato che ha consentito l’attuazione del progetto.
Il caso del Pes sui nardeti in Lessinia è stato identificato e analizzato nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dalla Sezione Parchi Biodiversità Programmazione Silvopastorale e Tutela dei Consumatori della Regione del Veneto e realizzato nel 2012-2013. Si è trattato di uno studio pilota sulle possibilità di avviare PES in aree protette regionali, ed ha riguardato non solo l’area della Lessinia ma anche quella del fiume Sile (Secco e Pasutto, 2014). La raccolta dati si è basata su un’indagine diretta tramite interviste semi-strutturate, che sono state proposte, in quattro diverse formulazioni a seconda della tipologia di soggetto intervistato (stakeholder), a 15 amministrazioni comunali (1 intervista realizzata), 58 aziende private (12 interviste), 7 associazioni locali (3 interviste) e 349 proprietari privati (21 interviste realizzate). I tassi di risposta molto bassi, soprattutto per i Comuni e i proprietari privati, e le difficoltà operative riscontrate durante lo svolgimento dell’indagine in campo sono rappresentativi di un livello di interesse e conoscenza di questi strumenti pressoché nullo (Secco e Pasutto, 2014).

Il modello organizzativo del sistema di pagamento

Il modello organizzativo generale, sintetizzato in figura 1 è proprio dei Pes basati su meccanismi di mercato, dove i gestori dei terreni (privati, tra cui proprietari e gestori di pascoli e malghe), tramite specifiche azioni di sfalcio e decespugliamento, forniscono in modo non vincolistico il servizio ambientale di conservazione della biodiversità ad un investitore (in questo caso una fondazione bancaria locale che co-finanzia gli interventi) interessato a sostenere progetti di protezione o gestione ambientale (ad esempio perché previsto dallo Statuto, o per azioni di responsabilità sociale di impresa o di immagine). Nello specifico, l’Amministrazione del Parco ha avuto un ruolo fondamentale come unico intermediario in tutte le fasi di attuazione del Pes, dalla definizione del contratto di fornitura del servizio, alla gestione dei flussi di pagamento, nonché al controllo dell’effettiva erogazione del servizio, garantendo così il funzionamento del meccanismo nel suo complesso e operando così da vero e proprio animatore territoriale.

Figura 1 – Modello organizzativo di un Pes basato sulla conservazione della biodiversità (nardeti) attuato nel periodo 2009-2011 nel Parco Naturale Regionale della Lessinia, in Veneto

Fonte: modificato da Secco e Pasutto (2014)

Tale modello organizzativo è relativamente semplice e non implica l’adozione di modifiche sostanziali nelle funzioni e competenze ordinariamente attribuite a quegli enti pubblici locali territoriali (come gli “enti parco”) che potrebbero assumere un ruolo attivo nel percorso di definizione e attuazione di Pes a scala locale.
Il meccanismo di funzionamento del pagamento e gli introiti netti che i gestori del servizio hanno ricevuto con l’introduzione del Pes sono raffigurati in figura 2. La scala e le proporzioni dei diversi riquadri sono basate sui valori reali dell’entità dei pagamenti rispetto ai costi. Esse danno, anche visivamente, la percezione degli effetti che può avere sugli introiti derivanti ai gestori l’adesione ad un Pes rispetto agli scenari di gestione ordinari. Nella prima colonna è rappresentato lo scenario Business As Usual (Bau), con introiti netti pari a 680 €/ha/anno derivanti dall’uso a pascolo del terreno concimato (con una produzione di latte di 15 Kg/ha/giorno in media). In questo scenario, i costi per il mantenimento dei nardeti ricadrebbero interamente sulla collettività, mentre gli interventi necessari dovrebbero essere imposti ad esempio tramite vincoli. Nella seconda colonna (Scenario A), a fronte di una modifica alle pratiche gestionali (concimazione effettuata solo con letame) e una conseguente minore produttività del pascolo (con una media di 8 kg di latte/ha/giorno), gli introiti netti sarebbero pari a 255 €/ha/anno. In un regime di pagamenti minimi, verrebbe trasferita ai gestori dei terreni la sola differenza (425 €/ha/anno) tra gli introiti netti dello scenario Bau e quelli dello scenario A, a compensazione dei mancati redditi. Il beneficio finale netto per i conduttori dei terreni risulta ben più elevato (505 €/ha/anno in più rispetto al pagamento minimo) se nella definizione del valore economico del servizio biodiversità-nardeti si fa invece riferimento ai costi degli sfalci e dei decespugliamenti necessari annualmente per mantenerlo (930 €/ha/anno), e si trasferisce tale valore a vantaggio dei gestori di malghe e pascoli (terza colonna, Scenario B) invece che a svantaggio della collettività (prima colonna, scenario Bau).

Figura 2 – Costi e introiti dovuti all’introduzione del Pes (Scenario B) basato sulla conservazione dei nardeti nel Parco Naturale Regionale della Lessinia, in Veneto, rispetto a Scenario Business As Usual (Bau) e a uno Scenario A (concimazione effettuata solo con letame)

Fonte: modificato da Secco e Pasutto (2014)

Fattori di successo e problematiche di attuazione

In termini generali, per meglio comprendere le potenzialità di attivazione di Pes efficaci vanno considerati tre fattori fondamentali (Gatto e Secco, 2009; Gatto et al., 2009; Pettenella et al., 2012). Il primo riguarda i problemi tecnico-scientifici della corretta definizione del principio causa-effetto tra l’intervento gestionale (ad es. il miglioramento di una determinata pratica colturale) in grado di generare il servizio e la quantificazione di quest’ultimo in termini di effettivo miglioramento della performance ambientale (ad es. in termini di aumento di biodiversità). Sull’identificazione della certezza (e dell’entità) di tale miglioramento si può basare la stima di partenza del valore del servizio stesso nella contrattazione tra le parti. Il secondo fattore è il quadro normativo di riferimento per l’erogazione e commercializzazione del servizio ecosistemico, e in particolare la definizione dei diritti di proprietà. Se questa è imprecisa, determina un aumento dei costi di transazione tra le parti contraenti, le quali – oltre a dimostrare la legittimità del contratto – devono anche fornire un preciso capitolato tecnico in cui si dà prova delle cause che le hanno portate a contrarre un accordo (cioè dell’effettiva erogazione del servizio a fronte di un ben preciso intervento gestionale) e come il servizio transato sia misurabile nel tempo. Un terzo e ultimo fattore riguarda il grado di coinvolgimento delle popolazioni locali, dei proprietari dei terreni e degli enti e istituzioni al fine di “internalizzare” nel sistema e comunicare anche all’esterno (ad altri settori dell’economia) l’importanza di creare – a fronte di una nuova domanda – una nuova offerta da parte del settore primario, e in particolare della sua componente silvo-pastorale, sempre più minimale rispetto al tessuto produttivo veneto.
Nel caso specifico del Pes sui nardeti in Lessinia, fattori di successo determinanti si sono dimostrati, oltre all’azione di promozione, attivazione ed intermediazione del Parco, l’efficiente tempistica e soprattutto l’entità del pagamento corrisposto agli erogatori del servizio, pari a 930 €/ha/anno. Una cifra significativa rispetto ad usi del suolo alternativi, calcolata sulla base dei costi effettivi da sostenere per realizzare gli interventi necessari a garantire la corretta manutenzione degli habitat a nardeto, quali sfalci e decespugliamenti (es. dei mirtilli). Dall’indagine è emerso come sia stata proprio l’entità della cifra ad indurre i produttori del servizio a entrare volontariamente nello schema.
L’esistenza di un (significativo) valore economico per il servizio ecosistemico erogato e di (almeno) un compratore interessato e disponibile ad acquistare tale servizio sono elementi essenziali a consentire l’attivazione e il funzionamento di un Pes (Wunder, 2005). Nel caso in esame, queste condizioni sono state rese possibili da uno specifico co-finanziamento pubblico-privato, derivante da un intervento diretto come compratore del servizio biodiversità della Regione del Veneto e dalla compartecipazione di una Fondazione bancaria. In assenza di questa tipologia di fondi (e di un intervento pubblico) è presumibile che l’attivazione di Pes, almeno su scala regionale come meccanismo domanda-offerta di mercato, possa risultare molto difficile. Una recente indagine sulla disponibilità a pagare (Dap) per servizi ecosistemici derivanti dalle foreste di montagna del Veneto (Gatto et al., 2014) ha infatti messo in evidenza che la Dap della popolazione residente in regione è complessivamente bassissima, quasi pari a zero per tutti i servizi ecosistemici ad esclusione di quello turistico-ricreativo3. Anche considerando i soli residenti con livelli di eduzione più elevati (uno dei sotto-gruppi di popolazione analizzati nei modelli dell’indagine), la Dap rimane quasi nulla (variando da un minimo di 0,62 ad un massimo di 1,37 €). A fronte di questi dati è evidente che, se ci si basasse solo sulla domanda espressa per il servizio ecosistemico biodiversità dalla popolazione residente, sarebbe molto difficile far nascere un mercato per questo servizio in Veneto. Peraltro, l’intervento dell’ente pubblico è giustificato dal fatto che la conservazione della biodiversità è tipicamente un bene pubblico, un interesse di natura collettiva in senso ampio, di cui un ente pubblico ha responsabilità. Nella pratica, si tratta di un caso molto comune. Diversi Pes (o “quasi-Pes”)4 sono stati istituiti grazie all’intervento di un ente pubblico, che a volte può essere contemporaneamente il produttore e il compratore del servizio, o che può agire con strumenti giuridici unilaterali, indipendentemente dalla volontà del contraente. La presenza di alcuni esempi di “quasi-Pes” (si pensi, in Italia, al sovracanone per la produzione di energia idroelettrica) potrebbe essere considerata una delle cause che ha inibito l’azione del settore privato e lo sviluppo stesso di Pes. 
Nel caso in esame, se da un lato è vero che l’azione pubblica e i fondi specificamente messi a disposizione per la conservazione dei nardeti hanno reso possibile l’attivazione del Pes, dall’altro hanno determinato condizioni non favorevoli alla permanenza dell’iniziativa: dopo tre anni il pagamento da parte della Fondazione bancaria è stato interrotto, essendo collegato ad un co-finanziamento pubblico a termine. La certezza e continuità dei pagamenti, che dovrebbero avere una durata tale da consentire ai fornitori del servizio ambientale di riprogrammare in un orizzonte di medio-lungo periodo le proprie attività silvo-pastorali e le relative pratiche di gestione, sono invece elementi fondamentali di Pes efficaci (Wunder, 2005). Tipicamente, i Pes dovrebbero prevedere contratti pluriennali, di lungo termine, e adeguate risorse per sostenerli. Maggiori garanzie alla permanenza dell’iniziativa, e quindi al fatto che l’erogazione del servizio biodiversità perduri nel tempo e abbia effetti di lungo periodo, potrebbero derivare da una maggiore consapevolezza ed impegno da parte degli acquirenti. Questi potrebbero essere enti pubblici locali che intendano investire nel mantenimento del capitale naturale del proprio territorio (per rispettare il proprio mandato di tutela della cosa pubblica) e/o nella creazione di opportunità occupazionali e di reddito per gli operatori economici locali (in primis, agricoltori) (per mantenere il consenso politico). Oppure, potrebbero essere soggetti privati (tra cui banche, fondazioni, imprenditori, ecc.) che intendano investire in azioni di green marketing per migliorare la propria reputazione presso la clientela, reale o potenziale. In entrambe i casi, sia gli acquirenti che i fornitori dovrebbero obbligarsi (contrattualmente) ad un impegno di lungo periodo.
Un altro elemento di debolezza emerso dal caso in esame è infatti la presenza di relativamente pochi fornitori del servizio, che hanno aderito allo schema agendo in maniera individuale e rimanendo frammentati. Se la massa critica dei fornitori fosse stata più consistente ed organizzata internamente in forme collaborative strutturate, forse vi sarebbero state le condizioni per attivare altri finanziamenti. Tali finanziamenti potrebbero derivare da strumenti d’incentivazione “tradizionali”, quali ad esempio le misure orientate alla conservazione della biodiversità inserite nel Piano di Sviluppo Rurale (Psr) (ad es. agro-ambiente o sfalcio dei prati), ma anche da alcuni strumenti innovativi. Si tratta, in particolare, della Misura 16 del Psr 2014-2020 sulla cooperazione e dei contratti di rete d’impresa stabiliti dal D.L. 5/2009 art. 3 e successive modificazioni. Entrambi questi strumenti sono orientati alla creazione e al consolidamento di forme di collaborazione, coordinamento e interazione tra attori, ovvero alla creazione di reti come fattori di innovazione sociale. L’adozione di modelli organizzativi basati su reti e relazioni più stabili, di lungo periodo tra gli attori economici potrebbe essere funzionale anche al superamento di uno dei maggiori ostacoli all’attivazione di Pes riscontrati nello studio pilota sull’area della Lessinia: la pressoché totale mancanza di fiducia, la scarsa attitudine ad agire in forme associate e l’assenza di reti tra gestori e proprietari, soprattutto privati (Secco e Pasutto, 2014).

Considerazioni conclusive

Si è visto come, da una recente indagine condotta in Veneto (Gatto et al., 2014), la disponibilità a pagare per il servizio ecosistemico di tutela della biodiversità derivante dalle foreste di montagna da parte della popolazione residente (e di conseguenza il suo valore economico) sia pressoché nulla. Tale dato, assieme ad un interesse molto limitato della pubblica amministrazione locale e a una conoscenza scarsa o nulla dello strumento da parte dei privati riscontrati nell’area della Lessinia (Secco e Pasutto, 2014), fa supporre che Pes basati su questo servizio ambientale siano di difficile realizzazione. Tuttavia, il caso del Pes per la conservazione dei nardeti in Lessinia, pur presentando dei limiti applicativi dovuti a una durata di soli tre anni per l’interruzione del finanziamento, ha dimostrato di poter funzionare – avendo da un lato conferito al servizio di tutela della biodiversità attraverso il mantenimento degli habitat a Nardus un valore economico molto significativo e quindi capace di stimolare l’offerta, e dall’altro avendo mobilizzato le risorse finanziarie attraverso la creazione del partenariato pubblico-privato. Elementi di debolezza si sono riscontrati anche dal lato dell’offerta, dato che i proprietari e conduttori dei terreni hanno agito individualmente, non in forma organizzata o associata, e nell’area quello che veramente sembra mancare per l’attivazione di Pes efficaci è il capitale sociale, non certo quello naturale.
I Pes sono potenzialmente strumenti moderni ed efficaci per valorizzare il servizio ecosistemico biodiversità, ma richiedono una serie di condizioni minimali per poter essere attuati. Innanzi tutto, strategie d’insieme e continuità, possibilmente volte a far incontrare domanda e offerta; inoltre, sono necessarie iniziative di attuazione di Pes specifiche, molto localizzate, basate su stime accurate del valore economico del servizio stesso e su modelli organizzativi adatti alle specifiche condizioni socio-economiche e ambientali della zona (difficilmente validi e replicabili allo stesso modo su tutto il territorio regionale). Produttori e utilizzatori dovrebbero essere correttamente informati sul valore economico della biodiversità e su quello sociale ed economico che il meccanismo di pagamento può avere a livello locale. Gli stessi dovrebbero poi essere disposti a collaborare, tra loro e con le istituzioni: per questo va segnalata la necessità di investire nella creazione o nel consolidamento di capitale sociale e di reti, anche attraverso le opportunità offerte dal prossimo Programma di Sviluppo Rurale comunitario (che all’art. 35 prevede la possibilità di attivare misure per sostenere iniziative di cooperazione) o dalla Legge 5/2009 art. 3 (che regola nuove forme di collaborazione tra imprese attraverso l’istituto del “contratto di rete”. In questo scenario necessariamente dinamico, la Pubblica Amministrazione potrebbe (e dovrebbe) farsi promotrice di iniziative di coordinamento, animazione e mediazione, assumendo un ruolo attivo di partnership nello sviluppo rurale, agendo così in linea con la strategia europea Horizon2020 che vede le reti, le relazioni e i nuovi modelli organizzativi da essi caratterizzati come fattori di innovazione sociale, fattori chiave di natura intangibile per una crescita economica inclusiva e sostenibile (Bepa, 2011; EC, 2013).

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  • 1. Informazioni dettagliate e corredate da una ricca documentazione sono disponibili rispettivamente nei siti: http://www.millenniumassessment.org/ per il MA; http://biodiversity.europa.eu/maes/common-international-classification-of-ecosystem-services-cices-classification-version-4.3 per il Cices; http://www.teebweb.org/ per il Teeb e http://biodiversity.europa.eu/maes per il Maes.
  • 2. Nonostante vi siano oggi numerose teorie elaborate da economisti ed econometristi al fine di misurare il valore dei servizi ecosistemici, la loro applicazione rimane un esercizio complesso a causa della molteplicità dei servizi erogati da ogni singolo ecosistema, e dalla loro non uniforme scala d’azione (si vedano ad es. Croitoru et al., 2005; Tempesta et al. 2008; Whittington, and Pagiola, 2012).
  • 3. Per poter disporre di un buon livello di attrezzature, come tavoli da pic-nic, parcheggi, segnaletica, punti ristoro, si è stimata una disponibilità a pagare (Dap) di 48,43 € (Gatto et al. 2014). Se si considerano diversi sotto-gruppi di popolazione, vi è una qualche Dap (sempre piuttosto contenuta) anche per altri servizi ecosistemici, quali la fissazione del carbonio o l’aspetto strutturale del bosco. L’unico servizio ecosistemico per cui la disponibilità a pagare rimane sempre pari a zero è il paesaggio. Nell’insieme, a seconda dei servizi ecosistemici considerati, la disponibilità a pagare (che peraltro non necessariamente si concretizza in un reale atto di esborso) varia da un minimo di 48 ad un massimo di 313 € per nucleo familiare.
  • 4. Secondo Wunder (2005) sono cinque gli elementi essenziali su cui poter costruire un meccanismo di pagamento: 1) l’esistenza provata di un chiaro e ben definito servizio ecosistemico che sia oggetto di contrattazione tra le parti; 2) la volontarietà delle parti a siglare un contratto; 3) la presenza di almeno un compratore interessato e disponibile ad acquistare il servizio; 4) la presenza di almeno un produttore interessato e disponibile a erogarlo; e 5) l’obbligo di condizionalità dell’azione economica, per cui il produttore deve agire attivamente per garantire l’erogazione del servizio nel tempo e ai livelli previsti, e per questa azione viene direttamente compensato. In mancanza di uno o più di questi elementi, come accade spesso, si parla di “quasi-Pes” (Wunder et al., 2008).
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