La filiera corta: le opportunità offerte dalla nuova Pac

La filiera corta: le opportunità offerte dalla nuova Pac
a Università di Pisa, Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali (DISAAA-a)

Introduzione

Nel nuovo regolamento per lo sviluppo rurale e nei documenti che lo accompagnano1 la ri-localizzazione dei sistemi alimentari e lo strumento principale di questa strategia, la filiera corta, assumono un ruolo di primo piano. Già nella proposta di regolamento (Com/2011/0627) il legislatore afferma che (p.21) “Il sostegno alla cooperazione di filiera, sia orizzontale che verticale, nonché ad attività promozionali a raggio locale dovrebbe catalizzare lo sviluppo economicamente razionale delle filiere corte, dei mercati locali e delle catene di distribuzione di prodotti alimentari su scala locale”. Le filiere corte sono menzionate come uno degli strumenti di realizzazione di uno degli obiettivi del regolamento (articolo 5) e precisamente: “promuovere l'organizzazione della filiera agroalimentare e la gestione dei rischi nel settore agricolo, con particolare riguardo ai seguenti aspetti:
(a) migliore integrazione dei produttori primari nella filiera agroalimentare attraverso i regimi di qualità, la promozione dei prodotti nei mercati locali, le filiere corte, le associazioni di produttori e le organizzazioni interprofessionali". Per realizzare questi obiettivi, “Gli Stati membri possono inserire nei programmi di sviluppo rurale dei sottoprogrammi tematici, che contribuiscano alla realizzazione delle priorità dell'Unione in materia di sviluppo rurale e rispondano a specifiche esigenze riscontrate, in particolare per quanto riguarda: .... (d) le filiere corte” (articolo 8). Le filiere corte rappresentano dunque uno dei quattro ambiti di possibili sottoprogrammi tematici. Nell’allegato del regolamento viene proposto un elenco piuttosto ampio di misure e interventi di particolare rilevanza per tali sottoprogrammi, come la cooperazione, la costituzione di associazioni di produttori, le misure Leader, i regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, i servizi di base e rinnovamento dei villaggi nelle zone rurali, gli investimenti in immobilizzazioni materiali, il trasferimento di conoscenze e azioni di informazione, i servizi di consulenza, di sostituzione e di assistenza alla gestione delle aziende agricole.
Questo risultato non è affatto scontato. Per quanto il sostegno alle filiere corte fosse presente già nei cicli precedenti di programmazione, l’interpretazione che se dava era legata soprattutto ad un modello dualistico che vedeva da una parte l’agricoltura ‘competitiva’, quella che ‘sta sul mercato’ e dall’altra quella ‘multifunzionale’. La proposta di regolamento della Commissione supera questo dualismo, gettando le basi per una ricomposizione del rapporto tra competitività e sostenibilità.
Significativo, sotto questo punto di vista, è il pensiero del commissario all’agricoltura Ciolos che, in un importante convegno dedicato alle filiere corte organizzato dalla Commissione Europea nel 2012, ha dichiarato: “da quando mi sono insediato in qualità di Commissario, mi hanno spesso chiesto: Perchè parli di filiere corte? Promuovi aziende piccole e non competitive che vendono ai consumatori più ricchi... Io rispondo che non solo le filiere corte eliminano il bisogno di trasportare le merci a lunga distanza, esse fanno crescere le economie locali e danno ai consumatori il potere di giocare una parte attiva nello sviluppo economico del loro territorio. .... Chiaramente, le filiere corte sono parte della diversità agricola che non ha avuto finora adeguata attenzione. Esse sono un elemento chiave nella nostra strategia per ripristinare il valore aggiunto degli agricoltori incoraggiandoli a non mettere tutte le uova nello stesso paniere, quello dei supermercati...”2.
Il presente articolo cercherà di dare un contributo a questo percorso attraverso la messa a punto di un quadro concettuale che identifica le filiere corte come strumento di politiche per la sostenibilità. A tale proposito, l’articolo identifica alcune delle aree di intervento che possono beneficiare del supporto alle iniziative di filiera corta, e sottolinea la necessità di un adeguamento della legislazione regionale e nazionale in materia, identificando alcuni principi che dovrebbero essere alla base di tale adeguamento.

Perchè sostenere le filiere corte?

Il termine filiera corta è usato per identificare un ampio insieme di configurazioni di produzione-distribuzione-consumo, come la vendita diretta in azienda, i negozi collettivi degli agricoltori, i farmers’ markets, le varie forme di gruppi di acquisto. Esaminando queste configurazioni ci rendiamo conto che non è facile darne una definizione univoca. Infatti, il concetto di filiera corta incorpora almeno tre dimensioni della prossimità: la prossimità geografica, quella sociale e quella economica (Galli, Brunori, 2013). La prima misura la distanza fisica tra produttori e consumatori; la seconda suggerisce un rapporto di comunicazione tra produttore e consumatore in grado di generare una condivisione di saperi e di valori, l’ultima implica che la circolazione del valore avviene all’interno di una comunità o di un territorio.
Le varie configurazioni di filiera corta hanno conseguito negli ultimi anni una dimensione economica di tutto rilievo (Lombardi et al., 2012). Oltre alle difficili misurazioni quantitative, la filiera corta riveste un ruolo fondamentale come generatore di immaginario e catalizzatore di nuove iniziative in tutto il sistema. La filiera corta ha generato un evidente processo di ritorno alla produzione di ortaggi e frutta nelle cinture peri-urbane, sollecitati da una domanda di prodotti locali non sempre soddisfatta dalla grande distribuzione organizzata. La crescita dell’interesse per l’agricoltura urbana è spesso strettamente legata idealmente ai messaggi trasmessi dalla filiera corta3.
Le filiere corte sono state identificate in origine come esempi di resistenza degli agricoltori alla modernizzazione e poi alla globalizzazione del sistema alimentare (van der Ploeg et al., 2000). Attraverso una maggiore prossimità con i consumatori, gli agricoltori possono sviluppare strategie autonome di marketing basate sulla differenziazione, che consentano di trattenere in questo modo una quota maggiore di valore aggiunto all’interno dell’azienda o dell’economia locale. Queste strategie si basano spesso non solo sulla prossimità, ma anche sulla trasmissione di valori ‘alternativi’ incorporati nel prodotto, come la sostenibilità, la biodiversità, la tradizione culturale, la solidarietà. Non a caso l’analisi delle filiere corte si è andata sviluppando soprattutto nella letteratura delle ‘Alternative food networks’ (Goodman, 2012) e in quella dei sistemi agricoli locali (Tregear et al., 2007; Bowen, Mutersbaugh, 2013), assumendo al loro interno significati anche piuttosto diversi ma caratterizzati da una carica innovativa rispetto ai modelli convenzionali (Marsden et al., 2000). Non sorprende, dunque, che il dibattito che ha accompagnato le filiere corte abbia visto una contrapposizione tra ‘locavori’ – consumatori che scelgono di orientare i propri consumi su prodotti di origine locale - e ‘globavori’ – che al contrario sono indifferenti all’origine del prodotto che scelgono (Desroches, Shimizu, 2012). Le filiere corte sono infatti viste da molti come perno di sistemi alimentari più etici, con una identificazione tra filiere corte e ‘good food’ e tra filiere globali e ‘bad food’ (Johnston et al., 2011; Stuckler, Nestle, 2012).
Negli ultimi anni la ricerca ha fornito evidenze empiriche relative agli impatti ambientali, sociali, economici e sulla salute delle filiere corte e dei sistemi locali di produzione. Questi dati, tuttavia, non sono sempre sufficienti a valutare in modo univoco e robusto l’impatto di queste filiere rispetto alle filiere convenzionali. Risulta anzi sempre più evidente che tale impatto dipende dalla specifica configurazione che le filiere assumono, dal modo con cui vengono costruite, dal contesto in cui operano, dal modo e dalla misura con cui si sviluppano in relazione agli attori coinvolti (Born, Purcell, 2006). E’ per questo motivo che la definizione normativa delle filiere corte rappresenta un aspetto centrale rispetto alla stima degli impatti. Si consideri ad esempio la prossimità geografica, già utilizzata in molte iniziative e proposte di legge come criterio discriminante (es. 70 km tra produttore e luogo di vendita) (Losavio, 2011). Si calcola la distanza lineare oppure i chilometri effettivi del viaggio? Si conta anche la distanza tra produzione e consumo degli input oppure questi si trascurano (nel caso delle produzioni zootecniche intensive che acquistano mangimi provenienti da oltreoceano questo può essere un aspetto importante)? Un prodotto locale venduto negli scaffali di un supermercato è filiera corta alla stessa stregua di quello venduto direttamente dal produttore? Che messaggio trasmetterebbe un prodotto Ogm venduto attraverso la filiera corta?
Un’adeguata valutazione della performance (Busch, 2007) – termine usato sempre più frequentemente per dare un giudizio sintetico sui costi e benefici totali di una filiera - richiede un’attenzione a dimensioni molteplici del potenziale impatto. Il progetto Glamur4, finalizzato alla comparazione tra le filiere locali e quelle globali, identifica cinque dimensioni su cui concentrare l’attenzione. In questo progetto, oltre agli impatti ambientali, sociali ed economici, maggiormente investigate dalla letteratura (Sini, 2009; Cicatiello, Franco, 2012) vengono stimati anche quelli relativi alla salute pubblica e alla dimensione etica.
Per quello che riguarda la valutazione dell’impatto economico, la produzione scientifica finora pubblicata pone l’attenzione: a) a livello micro - azienda agricola- sulle variazioni di reddito aziendale (King et al., 2010); b) a livello meso – quello della comunità territoriale - sul benessere aggiuntivo generato dal valore trattenuto nel territorio (Lev et al., 2003); c) a livello del consumatore, sull’incremento di benessere personale che può derivare dai prezzi più contenuti, dall’aumento della libertà di scelta tra modalità di distribuzione e dalla enfasi sui prodotti freschi, locali e di stagione. In molti casi inoltre la filiera corta è in grado di offrire prodotti a prezzi inferiori (Sini, 2009; Aguglia, 2009; Belletti et al., 2010).
Per quello che riguarda gli impatti ambientali, i tentativi di comparazione tra filiere convenzionali e filiere corte finora condotti hanno utilizzato metodologie di analisi che prendono in considerazione il ciclo di vita del prodotto, dalla produzione degli input fino al consumo finale. Tali studi hanno mostrato risultati differenti a seconda delle specifiche configurazioni tecnico-organizzative che la filiera può assumere (Roy et al. 2009; Belletti, Neri, 2012). Ad esempio, trasporti in nave su lunghe e lunghissime distanze possono avere un impatto energetico per unità di prodotto molto inferiore a trasporti su gomma per distanze molto più ridotte. L’uso dell’automobile da parte dei consumatori per acquistare i prodotti presso le aziende agricole può vanificare il risparmio dei consumi energetici derivante dalla riduzione delle distanze.
Se ne deduce che l’uso di indicatori troppo semplificati come le ‘food miles’, che calcolano la semplice distanza tra luogo di produzione e luogo di vendita, rischiano di trasmettere informazioni incomplete rispetto alla complessità dei fattori che determinano la sostenibilità, ancorchè di immediata comprensione e quindi di grande impatto comunicativo (Smith et al., 2005). Non è scontato, inoltre, che la filiera corta sia in grado di invertire la tendenza alla riduzione della biodiversità agricola (Godfray et al., 2010) dovuta al fatto che le filiere globali incoraggiano a coltivare vendere e consumare solo poche specie e varietà. Per raggiungere questo obiettivo sarebbe infatti necessario accertare che la filiera corta distribuisse prodotti con caratteristiche genetiche non convenzionali o favorisse una maggiore diversificazione delle produzioni.
Riguardo agli impatti sociali ci sono chiari esempi di come la filiera corta possa generare una migliore distribuzione del potere negoziale lungo la filiera: la minore distanza sociale migliora la capacità dei consumatori di acquisire informazioni riducendo l’asimmetria informativa (Lombardi et al. 2012) e mettendoli in grado di esercitare un adeguato controllo sulla governance della filiera, mentre le filiere globali tendono a deresponsabilizzare i consumatori oscurando il costo sociale delle merci (Goodman, 2002; Cicatiello, Franco, 2008). La prossimità sociale tra produttori e consumatori favorisce il trasferimento delle conoscenze e l’apprendimento. Il produttore può venire direttamente a conoscenza dell’esperienza d’uso, delle esigenze dei consumatori e degli eventuali cambiamenti da loro richiesti. Al contempo, il consumatore può apprendere dal produttore informazioni circa i metodi di produzione utilizzati e, più in generale, dei valori della ruralità come il mantenimento del territorio, del paesaggio, delle tradizioni, di specifiche identità locali. Alcune forme di filiera corta, inoltre, producono capitale sociale che viene mobilizzato per la co-produzione di beni e servizi: il valore e la potenzialità dei vari gruppi di acquisto (Fonte et al., 2011; Brunori et al., 2012) consiste nella capacità di utilizzare le reti sociali attivate per gli acquisti come piattaforma per una miriade di altre iniziative, dagli orti urbani alle manifestazioni culturali, all’intervento organizzato sulle politiche urbane.
Per quello che riguarda l’impatto della filiera corta nei confronti della salute pubblica, nei mass media è sempre più frequente l’accostamento delle filiere globali a modelli di nutrizione errati e quello delle filiere corte ad una dieta più salutare. Al momento non è possibile stabilire un nesso causale tra prevalenza di acquisto nella filiera corta e salute, soprattutto se non legato a specifiche forme di filiera corta, ma la ricerca su questi aspetti è appena agli inizi. Alcuni studi suggeriscono che la provenienza locale del cibo sia connessa alla salubrità per l’associazione con la freschezza e la stagionalità (Istitute of Grocery Distribution, 2008). Nuove ipotesi di ricerca su questi aspetti riguardano l’importanza degli effetti indiretti che le filiere corte possono produrre, ad esempio sui comportamenti dei consumatori. La filiera corta può ad esempio contribuire al miglioramento della salute di gruppi vulnerabili, soprattutto se utilizzata strategicamente per compensare il diradamento dei punti di vendita dei prodotti freschi, che normalmente si verifica con la concentrazione del dettaglio da parte della grande distribuzione. In quanto mezzi di comunicazione di valori non commerciali, le filiere corte possono trasmettere in modo più coerente norme per una corretta nutrizione.
L’impatto etico, infine, riguarda aspetti come il rispetto per gli animali, la natura, gli altri uomini in relazione a specifiche norme presenti nelle diverse culture. Lo stimolo a costruire rapporti più ‘giusti’ attraverso le scelte individuali e collettive traduce filosofie di vita in regole alimentari, come ad esempio la sensibilità per il benessere degli animali può portare al vegetarianismo. E’ stato suggerito che la filiera corta, consentendo una diretta relazione tra consumatore e produttore, favorisce una scelta più consapevole da parte dei consumatori e al tempo stesso un più pronto adeguamento dei produttori ai valori dei consumatori.
Come mostrano diversi osservatori, queste linee di distinzione sono difficili da mantenere di fronte a comportamenti di impresa che cambiano continuamente in relazione ai trend sociali e di consumo (Morgan, 2010). Lo sviluppo di strategie di Corporate Social Responsibility nelle imprese che operano nelle filiere globali rende meno netta agli occhi dei consumatori la distinzione tra ‘good food‘ and ‘bad food’. Al tempo stesso, la valenza commerciale del richiamo a valori forti rende necessarie forme di verifica indipendente della validità scientifica di affermazioni che potrebbero configurarsi come ‘greenwashing’, ovvero la non corrispondenza tra valori comunicati e comportamenti reali.

La filiera corta nelle politiche di sviluppo rurale

Con la nuova politica di sviluppo rurale europea il sostegno alle filiere corte cessa di essere un semplice strumento di sostegno ad un’agricoltura marginale e non competitiva e diventa un importante strumento per la realizzazione degli obiettivi generali dello sviluppo rurale e per il mantenimento della vitalità delle aree rurali. Sotto questo profilo, si nota un tentativo di superamento del dualismo che aveva caratterizzato l’interpretazione e la filosofia di implementazione della Pac negli ultimi anni, basata sulla distinzione tra un’agricoltura ‘competitiva’ e un’agricoltura ‘multifunzionale’.
La definizione che il testo legislativo proposto dalla commissione dà di filiera corta è tuttavia di carattere molto generale: una filiera di approvvigionamento formata da un numero limitato di operatori economici che si impegnano a promuovere la cooperazione, lo sviluppo economico locale e stretti rapporti socio-territoriali tra produttori e consumatori La definizione citata ci indica i principi che dovranno essere precisati nella regolamentazione nazionale e regionale. Il “numero limitato di operatori economici” andrà quantificato, soprattutto in relazione al numero di passaggi intermedi. L’impegno a “promuovere la cooperazione ecc.” dovrà essere verificato attraverso atti concreti.
Più in generale, il regolamento ci ricorda la necessità di interpretare le filiere corte come strumenti capaci di costruire valore e significato e di generare trasformazione sociale ed economica. La filiera corta è stata fin dall’inizio, ed è tuttora, particolarmente rilevante come vettore di innovazione, in particolare per quello che riguarda le produzioni sostenibili (Brunori et al., 2010). Non a caso le filiere corte sono considerate i canali più appropriati per i prodotti biologici, tipici e di piccola produzione familiare (van der Ploeg et al., 2000, Kneafsey et al., 2013).
Uno dei principali meriti della legislazione portata avanti in ambito nazionale e regionale ha il merito di avviare un processo per la definizione giuridica dei soggetti della filiera corta – pur con tutti i limiti sopra evidenziati - e di facilitarne il consolidamento anche sotto il profilo formale. Questo rappresenta un aspetto importante nella prospettiva della nuova programmazione per lo sviluppo rurale, in quanto i nuovi regolamenti prevedono tra i beneficiari di alcune misure – ad esempio quelle sulla cooperazione - gruppi misti di operatori della filiera, lasciando volutamente aperta la delimitazione di tali soggetti.
Come sottolinea Adornato (2013), nella legislazione nazionale la commercializzazione dei prodotti da parte degli agricoltori è regolata da ben prima della nascita della Repubblica Italiana, con norme che garantivano un accesso privilegiato degli agricoltori ai mercati all’ingrosso e al dettaglio, ma il concetto di ‘filiera corta’ emerge a partire dal 2001 con il d.lg. n. 228/2001, noto anche come legge di Orientamento e modernizzazione del settore agricolo (Sirsi, 2008; Alabrese, 2008). Da allora le filiere corte sono state oggetto di attenzione da parte del legislatore, soprattutto per quello che riguarda tre principali tipologie: la vendita diretta in azienda, i mercati degli agricoltori, i gruppi di acquisto.
Per quello che riguarda la vendita diretta, il d.leg. 228/2001 consente agli imprenditori agricoli, singoli o associati, di vendere direttamente al dettaglio, “...in tutto il territorio della Repubblica, i prodotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende...”.
Con la legge finanziaria del 2007 (n. 296/2006) il legislatore ha agevolato la creazione di mercati agricoli di vendita diretta da parte degli imprenditori agricoli, demandando al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali il compito di definire i criteri per la realizzazione di tali mercati.
Su questa base alcune regioni hanno sviluppato specifiche politiche di intervento. Il progetto regionale della Toscana ‘filiera corta’ del 2007 sostiene, tra l’altro, progetti per la creazione dei mercati dei produttori attraverso il finanziamento agli enti pubblici locali in quanto promotori. La legge regionale della Liguria del 2012 regola i farmers’ markets (L.R. 30/04/2012, n. 19). Il legislatore si è occupato anche dei gruppi di acquisto solidali5. La legge finanziaria del 2007 (legge 24 dicembre 2007, n. 244) ne introduce una definizione, per equipararli ad attività non commerciale e pertanto ad esentarli da eventuali obblighi fiscali (Cristiani, 2008). Successivamente, alcune regioni hanno introdotto misure specifiche di sostegno a questi gruppi. In particolare, l’Umbria (L.R. 10/02/2011, n. 1) ha predisposto uno schema di supporto ai gruppo di acquisto solidale e popolare che prevede: a) la delimitazione della definizione di Gas(P); b) la costituzione formale dei gruppi di acquisto in associazioni; c) la predisposizione di un registro; d) la possibilità per i comuni di concedere ai Gasp spazi per le operazioni; e) la concessione di contributi. f) il monitoraggio della legge. Dopo di questa legge hanno legiferato in proposito anche la Calabria (L.R. 18/07/2011, n. 23) e la Puglia (L.R. 13/12/2012, n. 43).
A segnare l’evoluzione della materia, la legge della provincia autonoma di Trento include i gruppi di acquisto solidale definiti ai sensi della legge 2007 tra i “soggetti impegnati nell’economia solidale” (art. 2 comma 3 L.P. 17/06/2010, n. 13).
L’applicazione di alcuni di questi provvedimenti ha messo in luce diversi aspetti critici. Il più importante è l’identificazione dei beneficiari: in molti casi le filiere corte si basano su reti informali, mentre il soggetto istituzionale ha la necessità di individuare una figura giuridica a cui erogare dei fondi. Se le filiere corte si qualificano per la loro capacità di produrre beni pubblici, è fondamentale garantire che i beneficiari abbiano caratteristiche adeguate. Una legislazione regionale dovrebbe porsi l’obiettivo di attivare un processo di consolidamento formale di queste esperienze, passo fondamentale perchè le filiere corte abbiano un maggiore peso nell’economia. E’ da considerare peraltro il rischio che, di fronte alle difficoltà da parte delle forme organizzative esistenti di formalizzare queste esperienze, a beneficiare del supporto siano soggetti con maggiore esperienza nella gestione amministrativa ma meno innovativi o animati da un puro spirito commerciale, come è accaduto in diversi paesi esteri in relazione ai Farmers’ Markets. Non è un caso che tra molti dei pionieri delle filiere corte si sia manifestata la contrarietà a leggi che ne regolino le caratteristiche, per paura che la regolamentazione ne limiti la spinta innovatrice. Si tratterebbe dunque di accompagnare il processo di formalizzazione attraverso precise misure di supporto, ma un altro aspetto critico riguarda proprio le tipologia di spese ammissibili. Le amministrazioni preferiscono in genere finanziare strutture fisiche, quando invece la valenza della filiera corta sta nella capacità di generare capitale sociale e progettualità diffusa, cose il cui sviluppo richiederebbe di misure di supporto ‘immateriali’, come il sostegno all’animazione delle reti, alla redazione di progetti innovativi, alla produzione partecipativa di disciplinari di produzione e distribuzione, la predisposizione di strumenti di monitoraggio e autovalutazione6. L’indicazione degli strumenti attivabili dai sottoprogrammi ‘filiera corta’ chiarisce bene questo punto, e sposta il dibattito sul terreno dell’implementazione.

Sviluppo rurale, filiere corte, politiche per la sostenibilità

Come si è accennato sopra, in questo articolo si suggerisce di considerare la filiera corta come strumento, oltre che come finalità, delle politiche per la sostenibilità e per il mantenimento della vitalità economica delle aree rurali. Se considerata come finalità, la filiera corta viene identificata di per sé oggetto di sostegno qualora verificati alcuni requisiti stabiliti dal legislatore, come ad esempio la distanza della vendita dal luogo di produzione oppure il numero di passaggi intermedi, indipendentemente dal contesto in cui queste operano, dai soggetti che le portano avanti, dalle specifiche configurazioni organizzative e logistiche. Alcune delle norme legislative regionali sopra esaminate vanno sostanzialmente in questa direzione. Nella stessa direzione va l’avvio della discussione circa la creazione di un marchio a livello europeo per la tutela delle filiere corte (Kneafsey et al., 2013).
Considerare le filiere corte come strumento implica invece analizzare il contesto in cui esse si inseriscono, anticiparne i possibili impatti e le condizioni necessarie - in termini di prodotti, di modelli organizzativi, di soggetti partecipanti, di tecnologie utilizzate - perchè questi si realizzino, in modo da stabilire i criteri per la selezione delle iniziative meglio in grado di raggiungere tali obiettivi.
Qui di seguito identifichiamo quattro diverse aree di politica pubblica all’interno delle quali il supporto alle filiere corte potrebbe essere previsto: le politiche per la green economy, le politiche per lo sviluppo locale e regionale, le politiche di settore, le politiche alimentari urbane. Le misure del secondo pilastro, data la loro flessibilità, possono essere utilizzate per ciascuna di esse.

Tabella 1 - Aspetti della filiera corta strumentali alle politiche di intervento

Per quello che riguarda la green economy, le filiere corte possono essere un valido strumento per generare pratiche sostenibili nella produzione, distribuzione e consumo. I piani di sviluppo rurale potrebbero finanziare progetti innovativi che si impegnino a distribuire prodotti sostenibili (ad esempio da agricoltura biologica locale o da prodotti da razze e varietà locali) ottimizzare la logistica, ridurre il packaging e gli sprechi, introdurre tecnologie a basso consumo energetico. Sotto il profilo della comunicazione, le iniziative di filiera corta potrebbero sottolineare il ridotto impatto ambientale e le regole del consumo sostenibile.
Se finalizzati allo sviluppo locale e regionale, i meccanismi di supporto dovrebbero selezionare quei progetti in grado di dimostrare la capacità di trattenere valore aggiunto all’interno del territorio, generare occupazione, rafforzare la reputazione del territorio e creare sinergie con altre attività economiche del territorio. La valenza comunicativa delle iniziative di filiera corta in questo ambito dovrebbe riguardare l’efficacia nel consentire ai consumatori locali e ai turisti di identificare e procurarsi prodotti locali, e di rafforzare le identità regionali e la reputazione del territorio.
Nell’ambito delle politiche settoriali, le filiere corte possono creare opportunità di crescita specialmente per le piccole e medie imprese. Esse infatti sono il canale migliore per prodotti innovativi – ad esempio derivanti da razze e varietà locali o prodotti trasformati in azienda, e sono già ora una chiave per le strategie di differenziazione volte alla creazione di nicchie di mercato con premium price (Brunori et al., 2010). Inoltre, le filiere corte danno agli agricoltori l’opportunità di migliorare il flusso di cassa grazie al fatto che vendono in contanti e subiscono meno rischi finanziari. In questo caso, la filiera corta appare il completamento necessario di adeguate strategie e progetti di impresa.
Infine, le filiere corte sono prese in crescente considerazione nelle strategie alimentari urbane, un emergente ambito di politica pubblica sviluppato in molte città europee e americane, che concentra l’attenzione su tematiche come la sicurezza alimentare, la sostenibilità, la nutrizione (Sonnino, 2009). Si ritiene, a questo proposito, che le filiere corte possano essere motori di una rilocalizzazione delle produzioni alimentari finalizzata al sostegno dei produttori locali e alla diversificazione delle produzioni, di una riqualificazione della distribuzione alimentare, di un rinnovato rapporto tra città e campagna (Viljoen, Wiskerke, 2012). Il contributo della filiera corta al sostegno degli agricoltori locali, l’integrazione con le politiche di public procurement e di educazione alimentare, il contributo alla difesa delle aree agricole peri-urbane potrebbero essere in questo caso i criteri per selezionare i progetti.

Conclusioni

La crescita del peso della filiera corta nel sistema alimentare è già un importante obiettivo per gli agricoltori, in quanto in grado di favorire un riequilibrio dei rapporti di forza tra produttori e distributori. E’ dunque da apprezzare lo spirito del nuovo regolamento per lo sviluppo rurale che identifica tale sostegno come uno dei perni della nuova programmazione.
L’articolo ha sottolineato come le iniziative di filiera corta possano contribuire ad un obiettivo ancora più ambizioso e di interesse generale, la transizione dei sistemi alimentari verso la sostenibilità.
L’articolo ha evidenziato anche l’esistenza di strumenti di politica mirati alla diffusione delle filiere corte e all’incentivazione di sistemi agricoli sostenibili. Tuttavia, la reale efficacia di tali politiche potrà dipendere dalla capacità dei decision maker di sviluppare strumenti di supporto all’interno di strategie di intervento che predispongano criteri adeguati di selezione dei progetti da sostenere. A tal fine sembra necessario un ammodernamento degli strumenti di analisi, ed una maggiore flessibilità dei meccanismi di supporto e dei criteri di selezione delle misure. Allo stesso modo appare necessario abbinare al disegno di nuovi strumenti di politica la creazione di sistemi di monitoraggio e valutazione delle politiche mirate alla misurazione degli effetti delle politiche nel suo insieme e capaci di includere anche i costi sociali delle decisioni intraprese.

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  • 1. (Com(2011) 627 final/2).
  • 2. [link]
  • 3. Sull’agricoltura urbana si veda il progetto UE Supurbfood, [link]
  • 4. www.glamur.eu
  • 5. Come noto, i gruppi di acquisto solidale sono reti, spesso informali, di consumatori che gestiscono in proprio alcune fasi della distribuzione di prodotti agricoli locali, spesso prodotti con tecniche a basso impatto ambientale. A tale scopo selezionano i produttori, raccolgono gli ordini, organizzano la consegna, organizzano modalità di controllo dell’affidabilità del produttore, accompagnando queste attività con iniziative a carattere culturale ispirate ai valori della salvaguardia ambientale e della solidarietà (Brunori et al., 2012; Fonte et al., 2011).
  • 6. Ringraziamo Vincenzo Vizioli per le informazioni e i commenti su questi aspetti.
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