Nuova Pac e competitività dell’agricoltura italiana

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Nuova Pac e competitività dell’agricoltura italiana

Introduzione

Da molti anni Roberto Finuola cura per l’Annuario dell’Agricoltura Italiana dell’Inea un capitolo che presenta il consolidato del sostegno pubblico alla nostra agricoltura. In base ai dati dell’ultimo Annuario (2010), il sostegno pubblico al settore agricolo in Italia nel 2009, comprendendo i trasferimenti (Agea, Organismi Pagatori Regionali (Opr), Regioni, Mipaaf più altri enti minori) e le agevolazioni fiscali e previdenziali1 , costituisce il 65% del valore aggiunto e il 37% della produzione del settore. Tra i trasferimenti, la Pac (Agea,Opr, Saisa2  e Ente Nazionale Risi) copre circa il 65%, seguita dalle Regioni (28%) e l’insieme di Ministero e altri enti nazionali (Sviluppo Italia-ISA, Ismea) copre appena il restante 6,8%. Dei trasferimenti Feaga e Feasr, attraverso l’Agea e gli Opr, l’88,3% riguarda i pagamenti del I° Pilastro e l’11,2% gli interventi del II° Pilastro.
Sulla base di questi dati appare evidente che l’eventuale riduzione dell’ammontare del sostegno pubblico e/o la modifica delle politiche di destinazione dello stesso possono incidere pesantemente sul livello di reddito e sulle prospettive dell’ “azienda agraria” Italia. Se teniamo conto dell’incidenza dei trasferimenti della Pac sul totale (65%) è chiaro che l’UE è l’attore principale del sostegno pubblico alla nostra agricoltura.
Questi dati non fanno altro che confermare quello che è noto a tutti, ma hanno il pregio di esprimere il peso di quella che è la vera portata dell’intervento della Pac sul reddito e sulle scelte della nostra agricoltura.
L’agricoltura è un settore formato, in misura largamente prevalente, da piccole aziende, che producono quasi sempre prodotti indifferenziati e che, per queste caratteristiche e per lo scarso potere contrattuale che ne consegue, agiscono sul mercato, salvo poche eccezioni, come price taker e non come price maker. In questo lavoro, nel quale ci si propone di analizzare gli impatti della nuova Pac sulla competitività dell’agricoltura italiana, non pare quindi una stranezza considerare tutto il settore come una unica “azienda” per cercare di valutare le possibili conseguenze sul reddito, sugli investimenti e sulle strategie gestionali che tale politica può avere sull’ “azienda agraria” Italia nel confronto con i propri competitor rappresentati dall’industria, sia fornitrice di input che trasformatrice di output del settore, e dalla distribuzione. Tale approccio permette di seguire la fondamentale analisi di Porter (1997) sui fattori e sulle decisioni che guidano la strategia competitiva dell’impresa, alla quale ci rifaremo per individuare le ricadute delle politiche e le possibili reazioni dell’impresa agraria, intesa nella sua unitarietà di settore.

Il quadro di riferimento

Il sistema impresa è un soggetto attivo, definito anche “autopoietico”3 , di cui l’imprenditore è interprete e stimolo, che orienta obiettivi e scelte in relazione ai portatori di interesse (stakeholder) coinvolti. Ovviamente il grado di coinvolgimento di ciascuno di questi ha un peso diverso sulle strategie gestionali dell’impresa e nel caso dell’ “azienda agraria” Italia, in base ai dati precedentemente esposti, l’UE esercita attraverso la Pac un peso preponderante, tuttavia l’impresa, come sistema vitale e sintesi degli obiettivi assegnategli da tutti gli stakeholder partecipanti4 e, in particolare, da chi detiene la proprietà del capitale investito, è impegnata a mantenere e a rafforzare le condizioni che possono consentirle di raggiungere nel lungo termine i diversi obiettivi.
Tali condizioni sono sostanzialmente tre (Caroli, 2006a):

  • il raggiungimento dell’equilibrio economico;
  • l’arricchimento delle risorse disponibili;
  • il rafforzamento delle capacità di utilizzazione delle risorse disponibili.

Queste tre condizioni rappresentano una sorta di meta-obiettivi e la massimizzazione del valore a lungo termine dell’impresa, di cui le tre condizioni sono il presupposto, diventa la “prova della validità” delle decisioni imprenditoriali e della loro efficacia (Druker, 1954).
Il raggiungimento dell’equilibrio economico è la condizione da cui dipende la sopravvivenza dell’impresa e la sua capacità di rispondere nel lungo termine agli obiettivi che gli stakeholder le assegnano; l’arricchimento delle risorse disponibili è conseguenza della disponibilità dei flussi finanziari generati dal raggiungimento dell’equilibrio economico e quindi dalle conseguenti possibilità di investimento; il rafforzamento della capacità di utilizzazione delle risorse disponibili deriva dalla capacità di coordinamento delle stesse per portare al successo le strategie adottate in base alla dotazione di risorse e all’ambiente competitivo da affrontare.
In un’ impresa nella quale uno degli stakeholder esterni, l’UE, concorre per circa il 33,2% alla formazione del valore aggiunto, il contributo che questi apporta al raggiungimento dell’equilibrio economico e all’arricchimento delle risorse disponibili diventa fondamentale. E’ importante, altresì, per il rafforzamento delle capacità di utilizzazione delle stesse, anche se la realizzazione della terza condizione dipende molto dall’ambiente dove l’impresa opera e dal peso che lo stakeholder ha sulla definizione degli obiettivi gestionali, soprattutto se l’erogazione del contributo è subordinata ad alcuni comportamenti che l’impresa deve adottare.
Dalle minacce5 e dalle opportunità, che si presenteranno all’impresa, deriva la strategia da adottare per raggiungere una posizione di vantaggio competitivo, vale a dire, una posizione stabilmente favorevole sul mercato rispetto ai competitor.
Nel caso dell’ “azienda agraria” Italia, i competitor possono essere individuati nell’industria fornitrice di mezzi tecnici, in quella di trasformazione, nella distribuzione, soprattutto nella grande distribuzione moderna (Gdo), e nelle aziende “agrarie” e agroalimentari degli altri paesi, che esportano verso il nostro o con le quali deve competere sui loro mercati.
Come in letteratura è stato ben chiarito (Caroli, 2006b) l’essenza del vantaggio competitivo sta nella disponibilità di fattori di differenziazione, che può esprimersi in due modi: nell’efficienza operativa d’impresa e nel posizionamento strategico che questa riesce a farsi riconoscere dal mercato, vale a dire imponendosi rispetto ai competitor per fattori di differenziazione che non dipendono necessariamente dalla sua efficienza operativa, ma possono essere la conseguenza dell’immagine di sé che l’azienda è riuscita ad affermare e/o che la domanda le riconosce.
L’efficienza operativa dipende dalla quantità e dalla qualità delle risorse disponibili e dalle capacità manageriali presenti e si traduce, prevalentemente, in differenziazioni di costo che dipendono o dai processi interni dell’impresa (innovazioni tecnologiche) e/o dalle economie che l’impresa riesce a raggiungere attraverso espansioni della dimensione per vie interne (crescita dimensionale dell’azienda) o per vie esterne (diverse forme di joint-venture). Le economie possono essere di scala, di esperienza e di scopo, ma l’aumento della dimensione può anche consentire di esercitare un certo grado di controllo del mercato e quindi scoraggiare la penetrazione di nuovi concorrenti.
Il vantaggio competitivo può essere perseguito attraverso altre due strategie: la differenziazione e la focalizzazione della produzione. Anche l’abbattimento dei costi è un fattore di differenziazione, destinato però ad essere attaccato dalla concorrenza attraverso la convergenza verso le stesse tecnologie se non basate su competenze esclusive, mentre con strategia di differenziazione si intendono le azioni, che riescono portare valore al prodotto perché fondate sulla reputazione che l’azienda e il prodotto conquistano nel vissuto del consumatore. La focalizzazione è, pure, una strategia di differenziazione del prodotto riferita a un mercato di nicchia, con i benefici che derivano dalla specializzazione e dalla possibile riduzione della pressione competitiva da parte di nuovi concorrenti, ma con i pericoli insiti nella ridotta dimensione del mercato.

Possibili effetti della nuova PAC sulla competitività dell’agricoltura

Tenuto conto delle condizioni da cui dipende la posizione di vantaggio competitivo d’impresa e del peso che la politica comunitaria ha sulle strategie e sullo sviluppo dell’ “azienda agraria” Italia, si può tentare di valutare come il passaggio alla nuova PAC possa incidere sulle potenzialità di cui la nostra agricoltura disporrà nel periodo 2014-2020.
Nella valutazione di impatto, SEC (2011) 1153 final/2, la Commissione pone al primo posto tra gli obiettivi strategici della riforma quello di orientare le misure della PAC verso l’aumento della produttività e della competitività del settore, in particolare, l’opzione scelta6 , quella dello scenario “integrazione”, propone un quadro strategico rafforzato “fondato sul sostegno alla competitività, allo sviluppo sostenibile e all’innovazione nel settore e volto a favorire le condizioni che consentono agli agricoltori, a titolo individuale o collettivamente, di far fronte alle future sfide economiche ed ambientali” .
In tutti e tre gli scenari, ma particolarmente in quello “integrazione” la nuova Pac si pone, quindi, come obiettivo primario il mantenimento della competitività del settore (Tabella 1), anzi dell’intera catena alimentare. L’analisi d’impatto pare confermare che le misure proposte dovrebbero consentire il raggiungimento di questo obiettivo e, d’altra parte, non potrebbe essere che così altrimenti la proposta della nuova Pac non sarebbe sostenibile.

Tabella 1 - Raffronto delle opzioni per obiettivo, valore aggiunto UE ed efficacia economica


Fonte: Impact Assessment. Common Agricultural Policy towards 2020, SEC(2011) 1153 final/2

Quello che ci si propone di valutare, pertanto, è come il passaggio alla nuova Pac che vede l’applicazione definitiva di misure attese (ad esempio, la forfetizzazione del pagamento unico), l’introduzione di nuove (ad esempio, il greening) e la riduzione delle risorse disponibili, possa incidere sulla competitività della nostra agricoltura.
Anche la Pac 2014-2020 prevede di articolare gli interventi in due pilastri, il primo destinato alle misure di mercato e al sostegno al reddito, il secondo allo sviluppo rurale. In base ai dati disponibili, la ripartizione delle risorse tra i due pilastri non dovrebbe essere molto diversa dall’attuale periodo 2007/2013, al primo pilastro dovrebbe arrivare il 79 per cento dei fondi e al secondo il 21 per cento7 , in ogni caso i fondi complessivamente disponibili, se le assegnazioni tra gli Stati membri proposte dalla bozza di regolamento non cambieranno, dovrebbero subire per il nostro Paese una riduzione, a prezzi costanti, del 12,9 per cento per gli interventi del secondo pilastro e del 12,5 per cento per il primo a causa della contrazione del budget comunitario assegnato all’agricoltura, a cui si aggiunge una ulteriore riduzione del 6 per cento del massimale destinato ai pagamenti diretti per l’effetto convergenza che ha provocato la redistribuzione dei relativi fondi tra gli Stati Membri, penalizzando quelli con pagamento unico per ettaro superiore alla media comunitaria. Da considerare che i fondi del primo pilastro potrebbero ridursi (art. 14) fino a un massimo del 10 per cento qualora lo Stato membro decidesse di trasferire questa quota al secondo, misura che va a sostituire quella precedente della modulazione.
A parte la contestazione dei criteri adottati per redistribuire i fondi tra i vari Stati, oggetto di opposizione anche da parte del nostro Ministero, la prima considerazione da fare è che nel nuovo periodo di programmazione verranno tagliati fondi, e non solo quelli del secondo pilastro, che potrebbero essere destinati ad investimenti in innovazione e in rinnovamento strutturale delle imprese. Il passaggio, inoltre, dal criterio storico di calcolo del Pua alla forfettizzazione per ettaro del pagamento di base amplierà certamente il numero dei beneficiari ammissibili, ma comporterà, sia pure gradualmente entro il 2019, la riduzione dei flussi di cassa per alcune tipologie di aziende (ad esempio, le aziende zootecniche da carne), che vedranno contrarsi la loro capacità di investimento, anche se migliorerà quella dei nuovi beneficiari e delle aziende in aree prima penalizzate, come quelle di montagna. Anche il capping, vale a dire l’imposizione di un limite massimo ai pagamenti diretti per azienda (art. 11), graduale da 150 mila Euro fino all’annullamento oltre 300 mila Euro, rappresenterà un freno agli investimenti per le imprese interessate, tuttavia dato il numero molto limitato (350 aziende)8  e il messaggio di equità contenuto in tale misura, sembra che questa volta verrà mantenuta. Riducendosi l’ammontare del massimale diventa più giustificata la richiesta di alzare il limite minimo per avere diritto ai pagamenti diretti (art. 10)9, confermato dalla bozza di regolamento a 100 Euro, ma che può essere rideterminato dagli Stati membri. Portarlo nel nostro Paese a 400 Euro, come già proposto da altri (Carillo, 2009) e indicato nella bozza di regolamento (Allegato IV), comporterebbe per le azienda sotto tale limite (41,86% dei beneficiari) la perdita di un modesto contributo al reddito, trattandosi per lo più di aziende pluriattive, ma permetterebbe una forte riduzione dei costi amministrativi, liberando risorse che potrebbero più proficuamente essere destinate all’assistenza tecnica e/o alla consulenza. Alzando il limite a 400 Euro non aumenterebbe, tuttavia, di molto il plafond disponibile per le altre classi10, ma il relativo importo, stimabile attorno a 120 milioni di Euro, concorrerebbe a ridurre significativamente lo scarto di massimale destinato ai pagamenti diretti dopo il 2013 (circa 240 milioni di euro all’anno)11. In ogni caso, il risparmio ottenuto, innalzando il livello minimo per accedere ai pagamenti diretti, aumenterebbe le risorse disponibili per le aziende penalizzate dagli effetti della forfettizzazione del pagamento di base, contribuendo a sostenere la propensione ad investire per migliorare la loro efficienza operativa e riducendo l’effetto negativo della contrazione dei fondi complessivamente destinati alla nuova Pac.
Un ulteriore contributo per aumentare il flusso di risorse destinate alle aziende professionali potrebbe derivare anche dalla revisione della definizione di “agricoltore attivo”, requisito necessario per poter beneficiare del pagamento di base, che nell’attuale formulazione rischia di comprendere figure di imprenditore impegnate solo marginalmente nell’attività agricola12 .
A questo si può aggiungere che la gestione del rischio, misura del secondo pilastro (art. 40), può costituire un ulteriore fattore per incentivare la propensione ad investire delle imprese, in quanto l’imprenditore protetto da questa misura è meno spinto a destinare al risparmio quota delle risorse di cui beneficia attraverso i pagamenti diretti.
Complessivamente si potrebbe affermare, che la riduzione dei fondi destinati alla nuova Pac, soprattutto se i pagamenti diretti sono accompagnati da un aumento del livello della soglia minima, non dovrebbero ridurre significativamente la disponibilità di risorse per migliorare la operatività delle imprese e, quindi, la difesa della loro posizione competitiva.
I problemi potrebbero derivare, invece, dai criteri di ripartizione dei pagamenti diretti nelle tipologie successive a quello di base, in particolare, dai condizionamenti imposti dal, cosiddetto, greening.
Come è noto, il greening (obbligatorio) prevede che il 30 per cento della dotazione totale dei pagamenti diretti vada a premiare comportamenti virtuosi sotto il profilo ambientale, così declinati:

  • mantenimento prati-pascoli;
  • diversificazione colture a seminativo, con presenza di almeno tre colture diverse, ognuna per non più del 70% e con meno del 5% della superficie;
  • almeno il 7% della superficie aziendale a destinazioni ecologiche (riposo, terrazze, valenza paesaggistica, fasce tampone, imboschimenti…..)

Tali pratiche sono talmente cogenti, che è subordinata al greening anche la possibilità di beneficiare del pagamento di base (43-70% del plafond) ma, pur giustificate dalla forte valenza ecologica ed ambientale della nuova Pac in attuazione degli obiettivi di Europa 2020, rappresentano vincoli non indifferenti alle scelte gestionali dell’impresa. E’ evidente, che la proibizione di rompere i prati-pascoli, l’obbligo di sottrarre il 7% della superficie aziendale a colture produttive per convertirla a finalità ecologiche e di investire la parte residua dell’azienda ad almeno tre colture, ognuna per non più del 70% e non meno 5% della superficie, può concorrere a giustificare il patto sociale tra UE e mondo agricolo, che nella nuova Pac ha come corrispettivo il pagamento di base e quello per il greening, ma rappresenta un freno alle scelte di ottimizzazione del reddito che l’imprenditore potrebbe fare senza questi vincoli.
Si potrebbe ragionare, però, anche in maniera diversa e cioè: l’“azienda agraria” Italia grazie al pagamento di base forfettizzato e al greening, a cui si aggiungono altri pagamenti come quello per i giovani agricoltori (obbligatorio), per le aree svantaggiate (facoltativo) e possibili pagamenti accoppiati (facoltativi), può contare, come corrispettivo dei comportamenti virtuosi che le sono imposti, su entrate certe per ettaro, non collegate alle rese e a costi, salvo quelli amministrativi, molto limitati per l’imprenditore. La distribuzione del pagamento di base secondo un criterio forfettario per ettaro, su base nazionale o regionale, svincolata da criteri storici che conservavano nel tempo i precedenti diritti acquisiti, estende, inoltre, il pagamento di base a quasi tutta la Sau, pur nel rispetto dei requisiti minimi e dei limiti di ammissibilità fissati dalla bozza di regolamento.
Tutta l’“azienda agraria” Italia beneficia, quindi, di pagamenti di base che, pur con le riduzioni apportate al massimale, rappresentano circa il 15 per cento del valore aggiunto del settore. Si tratta di un aiuto certo al reddito e di entità significativa, che potrebbe spingere le imprese ad intensificare la destinazione delle risorse disponibili al potenziamento della capacità operativa, e quindi della competitività, dei terreni non sottoposti ai vincoli del greening. Il vero problema è che il pagamento unico aziendale (Pua), nel quale confluivano i pagamenti compensativi era percepito come un diritto, proprio perché distribuito secondo il criterio storico che manteneva ai beneficiari i pagamenti compensativi prima ottenuti. In realtà, con la distribuzione forfettaria per ettaro imposta dalla nuova Pac il pagamento di base e il greening perdono la natura di diritto acquisito e diventano un aiuto al reddito subordinato all’esecuzione di comportamenti attivi da parte dei beneficiari, che la nuova Pac, in base agli obiettivi di Europa 2020, ha declinato, appunto, nel greening (in pratica, la produzione dei, cosiddetti, beni pubblici). Per concludere, si potrebbe affermare che l’imprenditore ora dovrà decidere se ottimizzare la gestione della sua azienda assumendo come un dato il greening che, comunque, gli garantisce una entrata difficilmente rinunciabile, e orientare le sue scelte sull’altra parte dell’azienda per raggiungere una posizione di competitività sul mercato, oppure rinunciare al greening puntando su scelte che ritiene complessivamente più remunerative. Crediamo che difficilmente l’imprenditore preferirà questa seconda scelta.
Forse è bene aggiungere un’altra riflessione. Se la critica al pagamento di base e al greening è legata alla riduzione del massimale destinato ai pagamenti diretti dalla nuova Pac, è del tutto condivisibile, perché si riducono risorse che potrebbero essere destinate ad aumentare la competitività delle imprese. Se, invece, si ritiene che i criteri con cui verranno distribuiti i pagamenti diretti potrebbero frenare l’incremento della competitività delle imprese più di quanto avveniva con la revisione a medio termine di Fischler o, addirittura, più di quanto avveniva con i criteri di intervento accoppiati della vecchia Pac, che molti agricoltori continuano a preferire, questa non pare una valutazione corretta. Certamente, l’ottimizzazione delle scelte dell’impresa attraverso gli aiuti accoppiati era più facile ma, di fatto, costituiva una specie di illusione che si basava su garanzie di prezzo o su pagamenti compensativi che diventavano oneri incontrollabili per l’UE e causa di crisi periodiche di mercato. Passando alla distribuzione degli aiuti disaccoppiati secondo il criterio storico adottato in Italia, si potrebbe dire che certamente era una metodologia che garantiva maggiore libertà alle imprese, ma era fortemente squilibrata nella distribuzione delle risorse con effetti molti positivi nelle aziende che ne erano maggiormente beneficiarie e molto limitati in altre, che forse ne avevano più bisogno (ad esempio, le aziende delle aree montane).
Sembra chiaro che la nuova Pac, in un periodo di risorse scarse che condizionano fortemente il bilancio comunitario, voglia lanciare un messaggio al mondo agricolo. L’UE non abbandona l’agricoltura ed è disposta a continuare a sostenerla con aiuti diretti proporzionali alla capacità di reddito delle singole imprese purché siano il corrispettivo di comportamenti virtuosi destinati a dare risposta (beni pubblici) ai bisogni della società in un pianeta dove le risorse naturali sono messe sempre più in pericolo (ambiente, sicurezza alimentare, ecc.).Gli agricoltori, però, grazie anche agli aiuti diretti al reddito, devono essere pronti ad affrontare il mercato, in ciò sostenuti dagli interventi del secondo pilastro e dalle misure dell’Ocm Unica, che non è più solo uno strumento di razionalizzazione delle diverse Ocm finora in vigore.
Le risorse del secondo pilastro possono essere strumenti molti importanti per aumentare la competitività delle imprese, il problema sta ancora una volta nella disponibilità ad investire degli imprenditori e nella capacità di programmazione e di spesa delle Regioni, a cui compete il compito di fissare i criteri di erogazione delle risorse e di verificarne l’efficacia in ordine agli obiettivi da raggiungere.
Come tutti sanno, la programmazione pubblica in un paese democratico a economia di mercato raggiunge gli obiettivi di base, se quelli strumentali sono stati scelti correttamente, se dispone di risorse sufficienti e, soprattutto, se queste risorse e le misure adottate sono capaci di orientare le convenienze del privato secondo gli obiettivi che Stato e/o Regioni hanno individuato. Il successo della programmazione è, quindi, il risultato della sinergia tra risorse pubbliche e private per raggiungere obiettivi condivisi ma, evidentemente, la condivisione si raggiunge se l’intervento pubblico riesce ad orientare verso obiettivi comuni le scelte dell’imprenditore privato.
Purtroppo alcune Regioni hanno dimostrato di avere una scarsa capacità di programmazione e di spesa ed è difficile poter sostenere che, i pagamenti erogati all’ultimo momento per evitare di perdere i fondi ricevuti, sono il risultato di un approccio programmatorio corretto ed efficace.
Ma anche nelle Regioni con un’amministrazione efficiente e con risorse proprie adeguate per garantire la copertura della quota di spesa di competenza nazionale, non sembra azzardato affermare che lo stato di attuazione dei Psr dipende di più dalla iniziativa dei privati a ricorrere alle misure dei diversi assi, piuttosto che dall’efficacia del progetto di programmazione, se c’è, che con tali misure si voleva realizzare per oggetto di intervento e per territorio interessato. Anche il monitoraggio dello stato di attuazione del Psr che le Regioni devono compiere per rispondere agli obblighi comunitari, il più delle volte, è stato solo un test su base quantitativa per verificare a consuntivo la distanza tra obiettivi e quanto realizzato, piuttosto che uno strumento per misurare l’efficacia degli stessi obiettivi che si volevano raggiungere, per dare all’azione programmatoria la natura di piano processo, vale a dire, di una programmazione dinamica sottoposta a verifica continua degli stessi obiettivi che il Psr con le azioni e le misure previste si propone di raggiungere. Per la verità, nella bozza di regolamento la Commissione ha introdotto alcune innovazioni che impongono un maggior impegno a livello nazionale e regionale sia nella fase di programmazione che in quella di monitoraggio13 .Ovviamente, la riforma Ciolos (si chiamerà così?) non ha nessuna responsabilità sulla efficienza amministrativa e sulla capacità programmatoria delle nostre Regioni, ma l’impostazione del II° Pilastro può influire significativamente sull’articolazione del documento di programmazione.
Il passaggio dall’impostazione schematica della suddivisione in assi e misure della precedente programmazione, alle priorità (art.4) e ai sottoprogrammi tematici (art.8) del nuovo secondo pilastro potrebbe responsabilizzare maggiormente le Regioni in fase di programmazione aiutandole a superare la logica burocratica di gestione delle singole misure14. Un contributo verrà anche dalla riduzione delle misure da 40 a 25, per cui lo spettro delle azioni previste è più ampio e spesso orientato su interventi a dimensione di filiera (Sotte, 2012).
La contrazione, a valori reali, dei fondi assegnati al secondo pilastro non aiuta certamente l’“azienda agraria” Italia ad aumentare la dotazione di risorse per mantenere e rafforzare la sua posizione competitiva, anche se la possibilità degli Stati membri di trasferire allo sviluppo rurale fino al 10 per cento dei fondi assegnati al primo pilastro permetterebbe di recuperare abbondantemente tale deficit. E’ probabile, però, che la difficoltà di far accettare agli agricoltori il passaggio dal criterio storico alla forfetizzazione per ettaro dei pagamenti diretti difficilmente possa consentire al nostro Governo di effettuare questo taglio dei fondi del primo pilastro, almeno fino alla conclusione del periodo transitorio (2019).
Gli obiettivi (art. 4) del secondo pilastro collocano, in ogni caso, al primo posto “la competitività del settore agricolo” e anche tra le priorità (art. 5) vengono poste in successione “il trasferimento di conoscenze e l’innovazione nel settore agricolo”, “potenziare la competitività dell’agricoltura in tutte le sue forme e la redditività delle aziende agricole”, “l’organizzazione della filiera agroalimentare e la gestione dei rischi nel settore agricolo”, mentre seguono, pur non essendo meno importanti15, le altre relative a tematiche ambientali, ecologiche e sociali.
Tra le priorità, se la seconda “potenziare la competitività dell’agricoltura in tutte le sue forme e la redditività delle aziende agricole” richiama gli obiettivi dell’asse 1 della programmazione 2007-2013, bisogna segnalare che il nuovo secondo pilastro assegna una priorità specifica al “trasferimento di conoscenze e l’innovazione nel settore agricolo” attraverso l’apprendimento e la formazione continua. A questo proposito, ampio spazio trovano, tra le misure individuali, il trasferimento di conoscenze e le azioni di informazione, i servizi di consulenza e di assistenza alla gestione delle aziende agricole e, al Capo III, il finanziamento dell’assistenza tecnica e l’istituzione della rete europea per lo sviluppo rurale e della Rete Pei in materia di sostenibilità e produttività dell’agricoltura16.
Più propriamente legate alla gestione aziendale e alle relazioni di filiera, la bozza di regolamento introduce alcune misure innovative, riprese ampiamente nell’Ocm Unica, in tema di organizzazione della filiera agroalimentare e gestione del rischio. Con riferimento a quest’ultima misura, l’art. 37 prevede contributi finanziari per il pagamento di premi di assicurazione per perdite causate da avversità atmosferiche, da epizozie o infestazioni parassitarie; contributi finanziari a fondi di mutualizzazione in caso di perdite economiche causate da epizozie o da emergenze ambientali; contributi finanziari ai fondi di mutualizzazione per il pagamento di compensazioni finanziarie agli agricoltori che subiscono un drastico calo del reddito. Tutte e tre queste misure, in quanto rappresentano strumenti di stabilizzazione del reddito degli agricoltori, concorrono a sostenere la propensione ad investire, ma la più innovativa, che nemmeno l’Health Check aveva avuto il coraggio di introdurre, è lo strumento di stabilizzazione del reddito in caso di crisi di mercato disciplinato dall’art. 40. Con tale misura il nuovo secondo pilastro conclude la discussione iniziata con la Comunicazione COM (2005)74, nella quale la Commissione, partendo dalla considerazione che il regime di pagamento unico disaccoppiato, accanto alla dimensione ambientale, fornirà un contributo significativo e stabile al reddito agricolo, rilevava che “gli agricoltori dovranno farsi carico di gestire rischi che precedentemente erano coperti dalle politiche di sostegno dei mercati e dei prezzi”.
Questa considerazione e l’introduzione di una forma di assicurazione a copertura dei rischi derivanti dalle crisi di mercato dimostra come la riforma Ciolos rappresenti la conclusione del percorso iniziato con quella a medio termine di Fischler, perché con la nuova Pac i pagamenti diretti e la dimensione ambientale generano le risorse necessarie a dare un contributo significativo e stabile al reddito agricolo. Ma gli agricoltori sono ora soli di fronte ai rischi di mercato17  e la Commissione ha sentito, quindi, la necessità di proporre una forma di assicurazione contro possibili cadute gravi e improvvise del reddito. E’ strano, come questa misura abbia nel nostro Paese scarsamente richiamato l’attenzione del mondo agricolo e delle istituzioni, anche perché per avere successo richiede risorse nazionali adeguate e un impegno rilevante sul piano tecnico per avviarne le procedure di applicazione.
L’altra misura di grande rilevanza, accolta nel secondo pilastro (art. 28) , ma che viene disciplinata ampiamente dall’Ocm Unica, anche questa con aspetti innovativi riguarda 1’organizzazione della filiera agroalimentare.
La posizione competitiva dell’impresa sul mercato dipende dalla differenziazione del prodotto e dal grado di controllo che è in grado di esercitare sull’offerta. Nel caso dell’agricoltura è strutturale la frammentarietà delle imprese e la loro debolezza contrattuale rispetto ai competitor.
Senza rifare la storia della cooperazione e dello sviluppo delle organizzazioni di produttori nel settore agricolo nel nostro Paese su cui c’è una ampia letteratura (Giacomini, 2011), è noto che la Commissione ha sempre visto con sospetto18 lo sviluppo di Organizzazioni di produttori e, soprattutto, di Organismi interprofessionali in settori dove non fossero disciplinati dalle relative Ocm.
Con l’Ocm Unica, la Commissione introduce il principio della contrattualizzazione19 come possibilità che gli Stati membri possono estendere a tutti i prodotti, oltre al latte già prevista dall’Ocm Unica20, e prevede la possibilità della costituzione delle Organizzazioni di produttori e degli Organismi interprofessionali in tutti i settori, strumenti indispensabili per regolare i rapporti di filiera attraverso gli accordi interprofessionali e i contratti tipo.
Anche questa è una proposta della nuova Pac poco sottolineata dal mondo agricolo nostrano che, al massimo, chiede che alle Organizzazioni di produttori e agli Organismi interprofessionali vengano concessi gli stessi aiuti previsti per il settore ortofrutticolo. A chiedere non si sbaglia mai, ma sarebbe ora che anche nel nostro Paese queste forme organizzative venissero considerati strumenti indispensabili per concentrare e organizzare l’offerta piuttosto che pretesti per aumentare il flusso di risorse di provenienza pubblica da destinare ad investimenti nelle aziende associate.

Alcune considerazioni conclusive

E’ indubbio che la nuova Pac riduce le risorse disponibili per sostenere la competitività dell’agricoltura europea, e certamente della nostra, e che l’obiettivo primario che la Commissione le assegna di strumento a tutela dell’ambiente (in senso lato, produzione di beni pubblici) rappresenta un vincolo alle scelte gestionali dell’impresa che, pur tuttavia, deve affrontare meno protetta di prima la sfida dei mercati.
Nei paragrafi precedenti si è cercato di cogliere anche gli aspetti positivi della nuova Pac che derivano, certamente, dall’entità degli aiuti diretti al reddito che vengono mantenuti ed estesi a nuovi beneficiari; dall’introduzione di una approccio programmatorio e di una strumentazione del secondo pilastro più efficaci; dalla proposta di attivazione di una forma di assicurazione a copertura dei rischi derivanti dalle crisi di mercato e dalla estensione a tutti i settori delle Organizzazioni di produttori e degli Organismi interprofessionali.
E’ sperabile, che nella discussione in corso sulle bozze di regolamento che sono state proposte dalla Commissione vengano apportate delle correzioni che, prima di tutto, consentano di rivedere l’ammontare delle assegnazioni di fondi all’Italia, che riducano la rigidità delle misure del greening e che portino a una migliore definizione del requisito di “agricoltore attivo”, correzioni queste su cui si è concentrato gran parte del dibattito nel nostro Paese.
Non si deve dimenticare, però, che la politica di sviluppo rurale oggetto del secondo pilastro per poter realizzarsi ha bisogno della compartecipazione amministrativa e finanziaria degli Stati membri. Purtroppo le carenze che sono state rilevate nella attuazione del secondo pilastro nel periodo di validità operativa della riforma Fischler 2004/2013 derivano soprattutto dalle nostre inefficienze a livello di capacità programmatoria ed amministrativa nazionale e regionale.
Le esperienze del passato ci dicono che è difficile poter sperare in una capovolgimento della “riforma Ciolos”, oggi forse ancora più difficile in una Comunità a 27 malgrado i nuovi poteri del Parlamento Europeo. Bisognerebbe, forse, cominciare a pensare seriamente non solo a quello che ci si può aspettare dalla Commissione, ma a quello che si dovrà fare a livello di Ministero dell’Agricoltura e delle Regioni per dare una attuazione il più possibile efficiente ed efficace nel nostro Paese alla nuova Pac che resta, basti ricordare i dati dell’Inea riportati nel primo paragrafo, il più grande contribuente allo sviluppo dell’agricoltura italiana.

Riferimenti bibliografici

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  • Drucker P.F. (1954), The Practice of Management, Harper & Row Publishers Inc., New York

  • Frascarelli A. (2012), La Pac 2014-20120 nelle sue possibili applicazioni in Italia, Convegno Agriregionieuropa, Pisa, www.agriregionieuropa.it

  • Giacomini C. (2011), La cooperazione agroalimentare in Italia: prospettive e strategie di sviluppo, Agriregionieuropa, n.28, www.agriregionieuropa.it

  • Ordanini A. (2004), Gli stakeholders secondari e la gestione del sistema, in: Pivato S., Misani N., Ordanini A., Perrini F. (2004) Economia e gestione delle imprese, Egea, Milano

  • Inea (2010), Annuario dell’agricoltura italiana, Volume LXIII, 2099, Roma

  • Paris Q. (1991), La Valutazione dell’efficienza tecnica e economica, in Paris Q., Programmazione Lineare, un’interpretazione economica, il Mulino, Bologna

  • Porter M.E. (1997), La strategia competitiva, Analisi per le decisioni, Editrice Compositori, Bologna

  • Sotte F. (2012), La politica di sviluppo rurale, in De Filippis F. (a cura), La nuova Pac 2014-2020, Un’analisi delle proposte della Commissione, Edizioni Tellus, Gruppo 2013 Quaderni, Roma

  • 1. Nel 2009 i trasferimenti rappresentavano il 78,7% e le agevolazioni fiscali e previdenziali il 21,3% del totale sostegno pubblico all’agricoltura.
  • 2. Servizio Autonomo Interventi nel Settore Agricolo (Saisa) dell’Agenzia delle Dogane.
  • 3. Un sistema “autopoietico” è un sistema che ridefinisce continuamente se stesso e, al proprio interno, si sostiene e si riproduce.
  • 4. Sul ruolo e il peso degli stakeholder esterni o secondari nelle scelte strategiche d’impresa si veda Ordanini (2004).
  • 5. Il modello di Porter (1997) individua cinque “forze competitive”: l’intensità della concorrenza nel settore; la minaccia di nuovi entranti; la competizione di beni sostitutivi; il potere contrattuale dei fornitori e quello dei clienti.
  • 6. L’analisi di impatto tiene conto di tre scenari : aggiustamento, che presuppone di continuare a rispettare i principi del quadro attuale; integrazione, che propone un quadro strategico rafforzato; riorientamento, che prevede la progressiva eliminazione dei pagamenti diretti. Secondo il documento, l’opzione di integrazione consentirebbe di ottimizzare il valore aggiunto dell’agricoltura dell’Unione e di mantenere con maggiore efficacia una agricoltura sostenibile per cui l’analisi di impatto la colloca al primo posto.
  • 7. Si veda la relazione presentata da Frascarelli (2012) al Convegno Agriregionieuropa, La Pac 2014-2020 sarà riforma? Conferme e cambiamenti per l’agricoltura italiana, Pisa, 13 gennaio 2012.
  • 8. Anno di riferimento 2010, fonte : Indicative Figures on the Distribution of Aid, by Size-Class of Aid, received in the Context of Direct Aid Paid to the Producers According to Council Regulation (EC) No 1782/2003 and Council Regulation (EC) No 73/2009, Annex 1, Financial Year 2010. Da considerare, che in base alla nuova norma che tiene conto nel calcolo del capping dell’importo dei salari e degli stipendi pagati dall’azienda il numero di aziende sottoposto a tale misura si ridurrà significativamente.
  • 9. L’art. 10 della bozza di regolamento dispone che gli Stati membri possono decidere di non concedere pagamenti diretti o a beneficiari di importi inferiori a 100 Euro o a superfici ammissibili inferiori a 1 ettaro. Sembra che non sia nemmeno da prendere in considerazione la possibilità dello Stato membro di scendere sotto l’ettaro, anche se l’Italia potrebbe farlo tenuto conto del limite a 05 fissato nell’Allegato 4.
  • 10. In base ai dati messi a disposizione dalla Commissione i pagamenti diretti della classe 0-500 nel 2010 ammontavano a circa 138 milioni (3,3% del totale pari a 4.134 milioni di Euro) e il corrispondente numero di aziende beneficiarie era pari a 522 mila aziende (41,6% di 1,247 milioni di aziende).
  • 11. Si veda su questo punto De Filippis, Frascarelli (2011).
  • 12. Sulla revisione della definizione di ”agricoltore attivo” vi sono posizione diverse, si vedano le opinioni espresse nelle “Dieci domande sulla nuova PAC. Intervista collettiva di Agriregionieuropa”, pubblicate sul n. 27, 2011, della rivista, www.agriregionieuropa.it .
  • 13. Si fa riferimento al Quadro Strategico Comune (Csf) che definisce le linee guida e le strategie di intervento dei 5 Fondi dell’Unione (Fesr, Fse, Fc, Feasr, Fepm), al Contratto di Partenariato (CP) che riflette il Csf in un documento strategico nazionale, e a livello di monitoraggio la introduzione delle tappe fondamentali dei programmi - Critical Milestones (CM) - a cui si accompagna l’ introduzione della riserva – Performance reserve - del 5% dei fondi del Psr a fini di premialità di coloro che raggiungono i rispettivi CM.
  • 14. Come si può constatare dalla lettura di molti Psr l’erogazione degli interventi previsti dalle diverse misure era più condizionata dai requisiti soggetti dei possibili beneficiari e da criteri di priorità tra questi, condizioni tipicamente di natura amministrativa, piuttosto che dalla verifica dell’avvicinamento agli obiettivi assegnati. E’ il caso, ad esempio, dei Pif (Programmi Integrati di Filiera) che, nelle Regioni dove sono stati introdotti, sono stati il più delle volte smembrati tra i diversi beneficiari, nei singoli investimenti che li componevano, invece di mantenere l’organicità del progetto e degli obiettivi che ne giustificavano l’approvazione.
  • 15. Nell’ultimo comma dell’art. 5 è scritto: “ Tutte le priorità su elencate contribuiscono alla realizzazione di obiettivi trasversali quali l’innovazione, l’ambiente, nonché la mitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento ad essi”.
  • 16. Il 29 febbraio 2012 la Commissione ha reso nota la Comunicazione, COM (2012) 79 final, relativa al partenariato europeo per l’innovazione “Produttività e sostenibilità dell’agricoltura”.
  • 17. Potendo contare ora in misura molto limitata su interventi di mercato, salvo la proposta di costituire una “riserva” di 3,5 miliardi da cui prelevare in caso di crisi grave (Canali, 2012).
  • 18. Perché potevano alterare le condizioni di parità di concorrenza, totem che la Commissione non è mai stata disponibile a mettere in discussione (art. 101 e 102 del Trattato UE).
  • 19. Si veda il considerando n. 90 dell’Ocm Unica dove si dice che gli Stati membri possono rendere obbligatorio l’uso di contratti scritti formalizzati.
  • 20. Si veda anche il “pacchetto latte” approvato dal Parlamento Europeo nel mese di febbraio 2012.
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