Il bilancio dell’Unione europea e il finanziamento della PAC

Il bilancio dell’Unione europea e il finanziamento della PAC

Introduzione

Di fronte alla scadenza, ormai prossima della fine del periodo di programmazione 2007-13, il confronto sul futuro della politica agricola e di sviluppo rurale europea travalica i limiti di una questione settoriale da consegnare agli addetti ai lavori, alle lobby di categoria e ai gruppi di pressione interni. Esso si inquadra, infatti, nel dibattito più complessivo sul futuro dell’Unione europea, riguardo al quale spinte contrapposte muovono, al tempo stesso, da un lato verso un ridimensionamento del progetto politico ed economico dell’Unione europea, se non addirittura un ritorno all’indietro, e dall’altro verso un suo nuovo rilancio nel quadro di un rafforzamento complessivo delle istituzioni internazionali.
La ragione più evidente dell’intreccio tra futuro dell’Europa e PAC è nel radicamento storico che lega la politica agricola, più che ogni altra politica, all’origine e al consolidamento dell’Unione. Per tanti decenni, la PAC è stata sostanzialmente l’unica politica compiutamente europea e sulle sue peculiari necessità si sono costruite le fondamenta giuridico-istituzionali, si sono modellate le forme di governance, si è formata l‘amministrazione della CEE prima e dell’UE poi.
Questo radicamento storico si riflette nel peso consistente che ancora oggi la PAC detiene sul bilancio complessivo dell’UE. Un peso che le riforme che si sono succedute negli ultimi venti anni hanno soltanto parzialmente scalfito. Nonostante i tanti rilievi critici sulla sua inadeguatezza e dopo ben quattro successive riforme dal 1992 a oggi, alla PAC è ancora destinato il 43% del bilancio dell’UE.
Dopo il rinnovo del Parlamento europeo, il varo definitivo del Trattato di Lisbona e la nomina della seconda Commissione Barroso nella quale l’agricoltura è stata affidata al rumeno Dacian Cioloş, è iniziato da alcuni mesi un nuovo processo di riforma in vista della scadenza del periodo di programmazione e delle prospettive finanziarie 2007-2013. Il 18 novembre la Commissione ha pubblicato il documento The CAP towards 2020 (Commissione Europea 2010c) e ha contestualmente lanciato una “consultazione per la valutazione d'impatto” da concludersi entro il 25 gennaio 2011. Le prime reazioni tra alcuni degli “addetti ai lavori” sono state di cauta soddisfazione o comunque tali da non intravvedere sostanziali cambiamenti rispetto all’assetto attuale, a parte una sia pure rilevante regionalizzazione del PUA e una qualche redistribuzione della spesa tra Stati membri. Dal lato di questi interpreti gioca, peraltro, anche la storia della PAC e della sua capacità di autoconservazione.
La nostra impressione è però un’altra. Il futuro della PAC è molto più incerto di quanto al momento possa apparire e gravi minacce potrebbero profilarsi sulla sua strada, se soprattutto il senso di appagamento e di “scampato pericolo” che si percepisce nel mondo agricolo dovesse rallentare lo sforzo di elaborazione e proposta per una PAC davvero rinnovata e al passo con i bisogni dell’Europa e con le aspettative dei suoi cittadini.
Il compito di questo articolo è di esaminare le principali questioni sul tappeto nel dibattito complessivo sul futuro e sul bilancio dell’UE, per poi analizzare come in esso si inquadri la partita della futura PAC. Un dibattito nel quale gli Stati membri saranno innanzitutto chiamati a chiarire: (a) se vogliono più o meno Europa e quindi quali e quante risorse sono disposti ad investire per questo obiettivo, togliendole dalle casse nazionali già depauperate in seguito alle misure anticrisi; (b) quale Europa vogliono: qui lo scontro, che si preannuncia altrettanto impegnativo, è tra diverse visioni dell’Europa, e quindi diverse priorità tra nuove e vecchie politiche, e diversa distribuzione delle sue risorse tra obiettivi, tra categorie sociali, tra Stati membri.

Il dibattito sul bilancio

In questi mesi, il confronto sul futuro delle politiche comuni procede spedito e, come nel caso dell’agricoltura, coinvolge in un vasto e impegnativo confronto gli Stati membri, il mondo della ricerca, le organizzazioni di settore, le diverse ONG e i singoli cittadini. Di fronte a questo attivismo, colpisce la lentezza con cui procedono la riflessione e il confronto in tema di bilancio dell’Unione europea dopo il 2013. La situazione a riguardo appare particolarmente aggrovigliata ed è davvero difficile immaginare quali saranno gli sbocchi.
La Revisione di Bilancio (Budget review) si è arenata. Prevista fin dal maggio 2006 da un documento congiunto delle tre istituzioni chiave dell’UE: Parlamento europeo, Commissione e Consiglio "to undertake a full, wide ranging review covering all aspects of EU spending, including the CAP, and of resources, including the UK rebate, to report in 2008/9"1, la Revisione di Bilancio era partita con grande impegno. Nel settembre 2007, sulla base di un primo documento di indirizzo, fu lanciata una consultazione pubblica nel corso della quale sono stati raccolti circa trecento contributi scritti, a volte di notevolissima qualità. Una sintesi di questo complesso e impegnativo processo fu tratta nel corso della successiva interessante conferenza "Reforming the Budget, Changing Europe" tenutasi il 12 novembre 2008 a Bruxelles. Nell’occasione sono stati raccolti altri contributi di particolare interesse.
Dopo quella data, il processo è stato di fatto interrotto e solo di recente, il 19 ottobre 2010, è stato pubblicato un primo documento della Commissione sul budget di principi generali (European Commission 2010b). Si tratta però ancora di una presa di posizione del tutto interlocutoria, tanto che nel documento non si presentano delle cifre, e attenta a non urtare la suscettibilità dei singoli Stati membri e delle parti politiche e sociali in gioco. È il caso di ricordare che, entro il 1 luglio 2011, la Commissione deve presentare la sua proposta delle nuove Prospettive finanziarie multi annuali per dopo il 2013.
Il problema è che l’Unione Europea non ha ancora risolto la questione di fondo di quali siano i suoi macro-obiettivi nella prospettiva del 2020. È un tema questo in cui la Commissione, così come il Parlamento europeo hanno la loro influenza, ma un ruolo cruciale e la parola ultima spettano al Consiglio europeo e, in definitiva, ai Governi nazionali. È il caso di rilevare che ogni precedente periodo di programmazione ha avuto un grande obiettivo strategico: nel primo (1988-92) era il mercato unico europeo; nel secondo (1993-99) l’Unione monetaria; nel terzo (2000-06) l’allargamento a Est; nell’attuale periodo di programmazione (2007-13) sono stati gli obiettivi strategici di Lisbona-Goteborg (individuati nel 2000). Mentre nei primi tre periodi i macro-obiettivi sono stati raggiunti, nell’ultimo sono stati (almeno parzialmente) mancati e questo fallimento si ripercuote sul prossimo periodo di programmazione che inizierà nel gennaio 2014.
D’altra parte, occorre riconoscere che il documento di indirizzo Europe 2020 (European Commission 2010a) propone per il futuro una ancora relativamente vaga “crescita intelligente-sostenibile-inclusiva” dove forse il più evidente elemento di chiarezza per chi legge il testo dal lato della politica agricola è che questa, almeno nella prima versione, non era nemmeno menzionata: certo non per una svista. È nota infatti la non buona disposizione, nella Commissione, del presidente Barroso verso la PAC. Una posizione che indubbiamente indebolisce il ruolo del Commissario all’agricoltura Cioloş.
La partita è dunque ancora del tutto aperta e anche sul fronte del bilancio, analogamente (o anche peggio) che in agricoltura, si assiste a un gioco di posizione, in cui gli interessi non si scoprono. Ciò nondimeno, dal dibattito sulla Revisione del Bilancio, svoltosi tra il 2007 e il 2009, emerge una sostanziale critica all’attuale assetto del bilancio dell’UE, che il testo del recente citato documento sul bilancio riconosce. Si lamenta, con convergenza di opinioni, che esso sia pieno di squilibri, contraddizioni, dubbia efficienza della spesa e che quindi sia necessaria una riforma significativa che, allo stesso tempo: (a) tenga conto dei contributi netti degli Stati membri, riequilibrando la relazione tra contribuzione diretta e trasferimenti attivi; (b) operi una (qualche) redistribuzione verso gli Stati membri più poveri (segnatamente i nuovi Stati membri dell’Est); (c) miri con più attenzione all’efficienza, tema particolarmente sottolineato dagli Stati membri contributori netti, più riluttanti che in passato a tollerare gli sprechi o le rendite; (d) sia orientata ad affrontare nuove priorità (gli “European goals”), nonostante sarà difficile evitare una certa continuità con il passato.
Sotto questo profilo, l’accordo sarà trovato più facilmente per le politiche a più alto “valore aggiunto europeo” e di interesse generale: politica estera e di difesa, ricerca, trasporti, occupazione; mentre sarà più difficile nel caso delle politiche più tradizionali e a minore “valore aggiunto europeo”: segnatamente politica agricola e politica di coesione.
La crisi economica, d’altra parte, complica ulteriormente la ricerca di soluzioni. Essa ha infatti diversi effetti diretti e indiretti sulla lista delle priorità dell'UE e sul suo bilancio: (a) i temi della crescita, della competitività e dell’occupazione vengono sottolineati con più forza nei documenti strategici; (b) le questioni monetarie potrebbero richiedere nuove risorse o direttamente al bilancio comunitario o, indirettamente, ai bilanci nazionali (come nei casi greco e irlandese o nell’eventualità di crisi in altri Stati del gruppo dei cosiddetti PIIGS: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna); (c) potrebbero rendersi necessarie nuove risorse per l’obiettivo dell’integrazione delle politiche fiscali; (d) in diversi Stati membri l’accresciuto debito pubblico e l’approssimarsi delle scadenze elettorali (come in Italia probabilmente nel 2011 e in Francia nel 2012) potrebbero mettere i bilanci nazionali sotto pressione, suggerendo atteggiamenti più restrittivi nei confronti del finanziamento delle entrate dell’UE; (e) l’accresciuta volatilità dei mercati delle materie prime e delle commodity (tra cui quelle agricole) potrebbe richiedere nuove risorse per attenuarne l’effetto sulle imprese così come sulle famiglie.
Nuove priorità spingeranno dunque verso una diversa dimensione e distribuzione del bilancio dell’Unione europea. Occorre riconoscere, in aggiunta, che sarà la prima volta che il bilancio dell’Unione sarà oggetto di un confronto al quale prenderanno parte compiutamente tutti i 27 Stati membri. Si ricordi infatti che l’allargamento ai primi dieci Paesi dell’Europa centro-orientale è avvenuto il 1 maggio 2004, quando il dibattito sulla programmazione 2007-2013 era già in uno stato avanzato (le decisioni sulle prospettive finanziarie furono prese nel dicembre 2005, solo un anno e mezzo dopo), mentre Bulgaria e Romania (paese di origine, quest’ultimo, del Commissario all’agricoltura) sono entrate a partita conclusa il 1 gennaio 2007. È opportuno ricordare inoltre che, relativamente alla PAC e con particolare riferimento al 1° pilastro, le decisioni sono state assunte nel 2003 dall’UE ancora a quindici Stati membri. Sarà quindi la prima volta che, dopo tanto tempo, il tema delle risorse per la PAC sarà interno alla discussione sull’intero bilancio e che la discussione coinvolgerà a pieno titolo tutti i 27 Stati membri.
Per quanto fin qui osservato relativamente al bilancio dell’Unione europea, si può concludere quanto segue.

  • Ben difficilmente si osserveranno incrementi delle risorse totali a disposizione, semmai è prevedibile che si riaffacceranno posizioni analoghe a quelle della “gang of six”, come furono nominati i sei contribuenti netti: Francia, Germania, Svezia, Olanda, Austria e Gran Bretagna che, nella trattativa del 2005 per le prospettive finanziarie relative al periodo 2007-2013, avevano proposto che il bilancio comunitario fosse contenuto al di sotto del limite dell'1,00 per cento del Reddito Lordo dell'UE, conto l’1,24 per cento proposto dalla Commissione. Il compromesso finale: 1,045 per cento, fu più vicino alla richiesta della gang of six. In questa chiave va interpretata la recente bocciatura della proposta della Commissione di aumento del 5,9 per cento del bilancio 2011 rispetto al 2010 che, a metà agosto, il Consiglio ha ridotto al 2,9 per cento con una decisione contro la quale hanno votato 7 paesi, tutti contribuenti netti (Gran Bretagna, Olanda, Austria, Danimarca, Finlandia Svezia e Repubblica Ceca) favorevoli alla crescita zero delle risorse. L’eventualità di iniziare il 2011 senza il bilancio approvato avrebbe condotto all’esercizio provvisorio (i limiti di spesa per ogni mese a partire da Gennaio 2011 sarebbero stati pari a un dodicesimo di quanto stanziato nel bilancio 2010) che avrebbe comportato l’impossibilità per l’UE di rimborsare agli Stati membri gli anticipi della PAC da questi assicurate alle agenzie di pagamento. Anche se questa nefasta eventualità è stata evitata all’ultimo momento nel Consiglio europeo di metà dicembre, resta il fatto che il conflitto emerso tra organi dell’UE e tra questi e gli Stati nazionali è solo il preludio alla lotta, presumibilmente più accesa, sul piano della spesa a lungo termine dell'UE per il periodo 2014-2020.
  • Difficilmente si arriverà comunque alla rinazionalizzazione di alcune politiche (a meno che addirittura non si rompa l’UE, evento molto improbabile, anche se non impossibile): per la pressione degli attuali beneficiari netti ma anche per le aspettative redistributive dei nuovi Stati membri.
  • Non è invece escluso, almeno a priori, che si possa proporre l’estensione della pratica del cofinanziamento a carico dei bilanci nazionali delle politiche che oggi sono totalmente coperte da Bruxelles. Questo riguarda essenzialmente il primo pilastro della PAC (la cui spesa è pari all’80% della spesa complessiva della PAC). Sarebbe una soluzione che al tempo stesso: - determinerebbe una più equa distribuzione tra entrate e uscite del bilancio UE a livello dei singoli Stati membri; - libererebbe fondi o per una riduzione del bilancio UE o per altre spese e renderebbe più facile risolvere il problema del rebate britannico (lo sconto concesso alla Gran Bretagna e mai revocato dai tempi della Tatcher) e delle agevolazioni concesse ad altri Stati membri.

La PAC nel bilancio dell’UE

In questa situazione si inserisce il confronto sul futuro della PAC. Se, infatti, è vero che le decisioni sui contenuti della politica saranno assunte dai diretti responsabili delle politiche agricole e a seguito del dibattito con le parti politico-sociali più direttamente interessate al settore e allo sviluppo rurale, quelle riguardanti i fondi a disposizione della PAC non potranno che derivare dal confronto complessivo sul bilancio. Un confronto che vedrà come primi attori il Consiglio europeo e, in forza del Trattato di Lisbona, il Parlamento europeo, mentre la Commissione, svolto il suo ruolo di prime mover (ad essa spetta infatti l’elaborazione e la presentazione delle proposte), avrà successivamente un ruolo di aggiustamento delle decisioni e quello di curare l’attuazione di quanto deciso.
Dopo che, come è stato detto, la Budget Review è stata rinviata e, di conseguenza, nessun adeguamento al bilancio è stato definito in seguito al compromesso del dicembre 2005 relativo alle prospettive finanziarie 2007-2013, posto che ltre il 2013 la dotazione finanziaria globale non aumenterà (se, addirittura, non diminuirà), mentre diverse politiche strategiche potrebbero voler richiedere più fondi, il bilancio della PAC (assieme a quello per le politiche di coesione) sarà considerato come una riserva da cui attingere fondi per le altre politiche.
Per rendersi meglio conto di come la PAC sia al centro della discussione sul bilancio dell’UE, è il caso di riprendere alcuni autorevoli contributi sul tema presentati prima e soprattutto nel corso, tra il 2007 e il 2009, della Revisione di Bilancio.
Numerosi richiami all’incoerenza della spesa della PAC con gli obiettivi e il bilancio dell’UE hanno accompagnato il confronto politico sulle strategie dell’Unione nel corso del tempo, fin dagli anni Ottanta. Tommaso Padoa Schioppa (1987) ad esempio afferma: “il bilancio della Comunità deve subire profonde riforme […]. Alcune importanti funzioni vanno rafforzate; tra queste il finanziamento della ricerca e dello sviluppo nel campo industriale e l’assistenza al processo di convergenza e riconversione delle regioni arretrate e in declino industriale. Inoltre occorrerà pervenire ad un più fermo controllo della spesa agricola e alla soluzione di problemi di equità” Il più autorevole tra questi richiami è probabilmente il Rapporto Sapir (2004). Tale studio, frutto del lavoro di gruppo di un think thank indipendente attivato all’epoca dalla Presidenza della Commissione (presidente Romano Prodi) si pronunciava molto esplicitamente e con fermezza per una sostanziale contrazione della spesa agricola: “un moderno bilancio europeo non può continuare a destinare da qui ai prossimi 10 anni il 40% del budget alla PAC”. Sulla base della tesi secondo la quale “esistono ottime ragioni per decentrare la funzione distributiva della Pac verso gli Stati membri, come già avviene per tutte le altre politiche distributive”, forse tenendo conto delle probabili resistenze al cambiamento il Rapporto Sapir concludeva che poiché “non è possibile interrompere repentinamente il sostegno […] all’agricoltura […] in via transitoria, si potrebbe destinare all’agricoltura un sostegno comunitario pari a uno 0,10% del PIL dell’Unione”, cioè a circa un quarto di quanto la PAC riceve attualmente.
Questa posizione estrema è stata duramente criticata da più parti, ma non sono mancati altri segnali volti a suggerire di tagliare nella stessa direzione. Ad esempio Harald Grethe (2006), nella relazione di apertura a Bruxelles della Conferenza della Commissione europea su “Sussidiarietà e riforma economica in Europa”, rilevava che: “La natura economica dei pagamenti diretti è sostanzialmente cambiata: essi si sono trasformati da sussidi alla produzione a sussidi settoriali e personali al reddito. Ma le politiche di redistribuzione del reddito a livello settoriale o personale, […] sono generalmente definite e finanziate a livello di Stato membro, non di UE. […] L’attribuzione a livello dell’UE della responsabilità e dell’onere del finanziamento dei pagamenti diretti è una sopravvivenza storica, in netto conflitto con il principio di sussidiarietà”.
Nei lavori presentati alla Conferenza di lancio della consultazione pubblica per la Revisione di Bilancio, tenutasi a Lisbona il 5 novembre 2007, il relatore Iain Begg (2007), illustrava con l’ausilio della figura 1 le prospettive di sviluppo del bilancio dell’UE in relazione a quelli che vengono generalmente considerati i due principali macro obiettivi dell’UE: (a) muovere dalle politiche distributive (di pertinenza degli Stati Membri in base al principio di sussidiarietà) verso quelle a sostegno dei beni pubblici; (b) orientare l’azione dell’Unione in direzione delle politiche a maggiore e crescente “valore aggiunto per l’UE”. La posizione della politica agricola è palesemente opposta e in declino rispetto a tutte le altre grandi politiche dell’Unione: reti transeuropee, tecnologie rinnovabili, infrastrutture locali ed anche coesione.

Figura 1 - Politiche chiave dell’Unione Europea e loro necessità di sviluppo

Fonte: Begg I. (2007)

In un successivo lavoro realizzato da Eureval e Rambøll management (2008) nell’ambito di un progetto di ricerca finanziato dall’UE al fine di realizzare un meta-studio sull’insieme dei documenti di valutazione prodotti nel corso degli anni sulle politiche dell’UE, viene messo in evidenza come tra tutte le politiche europee (tabella 1), sia soprattutto la politica agricola, segnatamente il primo pilastro dedicato alla politica di mercato e oggi soprattutto al pagamento unico aziendale, a difettare in termini di una serie di principi contabili e di buona gestione in relazione agli obiettivi dell’UE: in particolare rilevanza, coerenza, sostenibilità, efficienza e impatti indesiderati.

Tabella 1 - Risultati del meta-studio sui documenti di valutazione delle politiche dell’UE

Fonte: Eureval, Rambøll management (2008)

Alle stesse conclusioni arrivava (tabella 2) un terzo lavoro presentato da ECORYS Nederland BV, Netherlands Bureau for Economic Policy Analysis (CPB) e Institute for Economic Research (IFO) (2008) nel corso della Conferenza finale di presentazione dei risultati della consultazione pubblica nell’ambito della Revisione di Bilancio nel novembre 2008. A fronte di altre destinazioni di spesa per le quali si preconizzava un aumento delle dotazioni sia nell’immediato che soprattutto nel futuro (ricerca, ambiente, industrie a rete e politica estera) due politiche, la politica di coesione e soprattutto la PAC, venivano indicate come quelle per le quali sarebbero stati opportuni pesanti tagli nelle dotazioni di bilancio, sia pure ammettendo la necessità di operare con gradualità.

Tabella 2 - Studio per la Commissione Europa sulle strategie della spesa dell’UE

Fonte: ECORYS et al. (2008)

Venendo alle prese di posizione più recenti riguardo alla spesa agricola, il Commissario al bilancio Lewandowski si è pronunciato in favore di una “evoluzione e non di una rivoluzione” e di una riduzione della spesa agricola ad un terzo del bilancio complessivo (che, in questa fase del confronto, non appare evidentemente come un sacrificio molto penalizzante), ma non va dimenticato che, in precedenza, il presidente Barroso aveva affermato che nell’UE del futuro vedeva tre grandi priorità: crescita e occupazione, clima e sicurezza energetica, “Europa nel mondo”. Ciò implica, disse: “o un aumento del budget UE o un significativo spostamento di fondi dalle aree tradizionali” (come l’agricoltura).

Considerazioni conclusive

D’ora in avanti, evidentemente, i due processi, riforma del bilancio e nuova PAC, si intrecceranno nel quadro dell’Europa 2020, e si influenzeranno reciprocamente. Il risultato non è affatto scontato, come taluni interpreti molto autorevoli sembrano credere, manifestando un ottimismo sul futuro della PAC che vorremmo condividere. Se la futura PAC sarà riorganizzata coerentemente con la strategia complessiva dell’UE, in un quadro di obiettivi e strumenti condivisi e di soluzioni efficienti ed efficaci, sarà più facile difendere un adeguato budget per la PAC e il successo della Conferenza organizzata dal Commissario Cioloş nello scorso mese di luglio sarà confermato, sia pure, come è prevedibile, con qualche accettabile taglio. I primi a beneficiarne sarebbero i veri imprenditori agricoli che da decenni aspettano una politica adeguata a sostenerne i programmi strategici e dalla quale siano eliminate le rendite che essa stessa genera che disperdono le risorse, fanno aumentare i costi degli input (in primo luogo dell’uso della terra) e impediscono una adeguata valorizzazione dei benefici pubblici che essi producono.
Ma se nel disegno della futura PAC dovesse prevalere la logica gattopardesca del “cambiare tutto perché non cambi niente”, altre priorità europee rivendicheranno con successo, e con merito, i fondi fin qui destinati all’agricoltura e la riforma della PAC sarà piuttosto l’effetto dei tagli e della redistribuzione del budget, prima che delle proposte di Cioloş e del mondo agricolo. Se questo dovesse accadere, con una PAC indebolita, l’UE perderebbe un pilastro fondativo e, al tempo stesso, uno degli esperimenti più consolidati di politica europea regredirebbe ulteriormente (come purtroppo talvolta è stato di recente) a ostacolo all’ulteriore sviluppo del progetto dell’Unione Europea.

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  • 1. Per realizzare, entro il 2008/9, una revisione [del bilancio dell’UE] completa e ad ampio raggio volta ad interessare tutti gli aspetti della spesa, inclusa la PAC, e tutte le entrate, incluso lo sconto concesso alla Gran Bretagna.
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