La comunicazione per lo sviluppo rurale nei progetti Fao-Italia

La comunicazione per lo sviluppo rurale nei progetti Fao-Italia
a Università della Tuscia, Dipartimento di Economia Agroforestale e dell'Ambiente Rurale

Introduzione

Nel 1971, Hayami e Ruttan pubblicarono i risultati di una ricerca con la quale avevano confrontato la produttività media del lavoro in undici agricolture sviluppate e cinque del “nuovo mondo”, evidenziando un divario di circa il 94%. Le tre seguenti grandi categorie di variabili determinavano le differenze di produttività in agricoltura:

  • le dotazioni “originarie” di risorse naturali, espresse essenzialmente dalla quantità di superficie arabile per addetto;
  • il livello della tecnologia;
  • la qualità della forza lavoro in termini di livello di formazione.

Queste tre categorie di variabili concorrevano a spiegare quasi il totale di tale differenza. Il 35% era attribuibile alla prima categoria, il 24% alla seconda e il 35% alla qualità del “capitale umano”. Le ultime due variabili risultavano, quindi, responsabili di circa il 60% delle differenze nello sviluppo rurale tra le agricolture dei paesi sviluppati e quelle dei paesi emergenti.
Gli autori evidenziarono che “la seconda e la terza variabile, se manovrate in maniera appropriata - agendo attraverso gli strumenti della ricerca e sperimentazione, dell'assistenza tecnica e della formazione professionale - possono contribuire a ridurre significativamente le differenze di produttività esistenti tra paesi sviluppati e paesi emergenti”.
Sono trascorsi quasi 40 anni da quando furono pubblicati i risultati della ricerca. Mentre è rimasta immutata l'importanza delle due categorie di variabili, è mutata profondamente la batteria di strumenti per diffondere il progresso tecnico e per migliorare la qualità del fattore umano in agricoltura.

Dall'informazione alla comunicazione per lo sviluppo rurale

La formulazione di una teoria dell'informazione da parte di Shannon e Weafer risale al 1949, parallela alla grande evoluzione delle telecomunicazioni, e deriva da un sottoprodotto dello sforzo bellico durante la seconda guerra mondiale. Si trattava di migliorare i sistemi e gli strumenti per inviare messaggi agli aerei che bombardavano il nemico nazi-fascista. L'unica soluzione per sapere se il pilota aveva ricevuto correttamente il messaggio era di farlo ripetere. Se il pilota lo ripeteva, significava che lo aveva ricevuto e interpretato e che quindi aveva obbedito al comando. In realtà, l'influenza delle loro ricerche è andata oltre il problema specifico per cui la teoria era nata. Infatti, oltre alla definizione di informazione, ancora oggi utilizzata, ne è derivata anche l'elaborazione di uno schema generale dei processi comunicativi, che ha goduto di una diffusione vastissima negli anni seguenti. Schematicamente il modello base era: E-M-R (Emissore - Mezzo di trasmissione - Ricettore). Nasce in una struttura militare, che è una delle configurazioni più verticali che ha prodotto la società; ha origine dalla necessità di dare ordini, che saranno accettati senza discutere. Lo schema prevede l'invio di messaggi da chi detiene il potere a chi li deve eseguire, dal superiore all'inferiore, dal dominante al dominato, da colui che sa a colui che non sa.
Negli anni Cinquanta questo modello fu trasformato dai ricercatori sociali in un modello teorico di comunicazione e utilizzato dai mezzi di informazione di massa come la radio e poi dalla nascente televisione e dalla stampa come sostegno delle proprie attività, trasformandosi spesso anche in un modello di manipolazione della società.

La formazione e la divulgazione agricola

Nel periodo immediatamente successivo allo smantellamento del sistema coloniale, l'organizzazione della divulgazione e formazione agricola nei paesi in via di sviluppo seguiva le strutture amministrative allora esistenti. L'obiettivo principale della sua modifica fu il sostegno alla produzione e commercializzazione di colture da esportazione. Successivamente le nuove nazioni indipendenti dedicarono maggiore attenzione alla produzione di alimenti e i loro sistemi di divulgazione e formazione agricola si riorientarono verso l'assistenza ai piccoli agricoltori, invece che alle grandi aziende agricole che producevano per l'esportazione. Con il passare degli anni, tra i policy maker si diffuse la convinzione che la crescita della produttività agricola fosse ostacolata principalmente dalla arretratezza degli agricoltori, dalla inadeguata organizzazione dei sistemi di formazione e divulgazione e, infine, da una carente leadership locale.
Per cercare di dare risposta a questi problemi, la Banca Mondiale (WB), adottando il modello di informazione E-M-R, promosse, a partire dall'inizio degli anni Settanta, il Training and Visit extension system (T&V)1, inizialmente implementato e finanziato dalla WB in due regioni della Turchia e dell'India. Considerando che il sistema pubblico di divulgazione e formazione agricola allora esistente era poco efficiente, il T&V si propose di eliminare le carenze che lo caratterizzava prevedendo:

  • Una organizzazione gerarchica, con diversi livelli di gestione, responsabili di un ampio gruppo di villaggi e impegnati sotto una singola linea di comando, in modo che gli operatori del T&V non fossero controllati da altre autorità. Questa organizzazione comprendeva anche specialisti di alcune discipline che costituivano uno staff tecnico.
  • Un rigido programma di visite bisettimanali ad una specifica lista di agricoltori (leaders) in identificati villaggi i quali avrebbero dovuto diffondere ad altri agricoltori della comunità le informazioni ricevute.
  • Due settimane di regolare addestramento degli operatori a livello di villaggio gestite dai superiori e specialisti dello staff tecnico.
  • Nessun coinvolgimento dell'organizzazione e degli operatori di campo in attività diverse dalla divulgazione come: distribuzione di input o attivazione di prestiti.
  • Regolari interazioni tra operatori e specialisti dello staff tecnico con i responsabili delle stazioni di ricerca, mediante seminari stagionali.
  • Concentrazione sulle più importanti colture e sulle informazioni relative a semplici pratiche agricole migliorate e a basso costo.

Diffusione e declino del modello T&V extension

Dal 1974 al 1999 questo sistema di divulgazione e formazione agricola fu introdotto in oltre 50 paesi e fu adottato anche da altri donatori come IFAD e FAO. Negli ultimi decenni si è, però, verificata una profonda crisi che ha interessato i sistemi pubblici di assistenza tecnica per le seguenti ragioni:

  • Eccessivamente costosi, burocratici, gerarchici e centralizzati;
  • Poco maneggevoli e afflitti da problemi logistici (ad es. carenza di mezzi di trasporto per gli operatori);
  • Mancanza di responsabilità e staff non adeguatamente addestrati;
  • Adesione ad un modello di informazione e trasferimento di tecnologie che trascura la valorizzazione delle capacità degli agricoltori;
  • Carente coordinamento con una più ampia politica ambientale.

Nei processi di comunicazione per lo sviluppo rurale, che utilizzavano il modello E-M-R, il ricettore era solo un oggetto passivo che permetteva di raggiungere o soddisfare obiettivi numerici. Molti progetti di sviluppo sostenuti dalle Nazioni Unite e dai suoi organismi di esecuzione come: FAO, UNESCO, OIT, OMS, UNICEF, e molti di quelli attuati con crediti della WB o del BID, sono un esempio chiaro di questo processo. La constatazione che la gran parte dei supposti beneficiari di questi progetti non hanno ricevuto un reale beneficio, ha provocato allarme e preoccupazione, spingendo queste istituzioni a ricercare soluzioni alternative sulla base di alcune tendenze che sono ormai ampiamente condivise e che riguardano:
(a) L'orientamento all'utilizzatore.La vecchia pratica di usare gli stessi messaggi tecnici per tutti gli agricoltori, impiegando la medesima metodologia di divulgazione, è gradualmente sostituita da approcci client-oriented. Diverse sono, infatti, le necessità degli agricoltori di sussistenza, degli agricoltori interessati al mercato, di giovani e donne rurali dei settori più poveri o colpiti da malattie come l'AIDS.
(b) La divulgazione agricola partecipata. La tendenza al coinvolgimento degli agricoltori nell'assunzione di decisioni che li riguardano ha portato i servizi di divulgazione alla diffusione di nuove metodologie come: participatory farmer group extension, client-oriented extension, gender-sensitive extension, research-extension-farmers linkages e infine allo sviluppo di strumenti partecipativi come il participatory rural appraisal.

Dal modello E-M-R a quello I-M-I

Prima di illustrare l'esperienza maturata in questo campo come componente del Panel FAO-Italia per la cooperazione multibilaterale dal 1992 al dicembre 1996, è opportuno far precedere una breve descrizione dell'evoluzione avvenuta negli anni rispetto alle metodologie di informazione e comunicazione per lo sviluppo rurale utilizzate dalla FAO.
Come illustra in dettaglio P. Mephalopulos (2003) nella sua tesi di dottorato, nel 1969 la FAO divenne pioniera nel campo della comunicazione per lo sviluppo tra le Agenzie delle Nazioni Unite. Fu decisa, infatti, l’istituzione del Development Support Communication Branch (DSCB), come risultato principalmente della promozione effettiva fatta da Erskine Childers, uno dei primi specialisti in questo campo e il cui impegno accelerò nell'agenda internazionale l'introduzione della comunicazione come una delle componenti essenziali per promuovere lo sviluppo rurale.
Durante i suoi primi anni di operatività il DSCB funzionò principalmente come servizio per la produzione di audiovisivi (filmine e diapositive con traccia sonora). Fino agli anni Settanta, gli addetti all'assistenza tecnica e gli altri esperti di sviluppo rurale concepivano la comunicazione quasi esclusivamente secondo il modello tradizionale verticale E-M-R, principalmente come un mezzo per promuovere e migliorare le innovazioni dalla ricerca, che fu applicato senza riflettere molto né sulla sua origine, né sulle conseguenze della sua utilizzazione. I problemi si manifestarono quando il modello cominciò ad essere utilizzato.
Nei processi di formazione dei comunicatori si scoprì che ciò che interessava e preoccupava il DSCB non era ciò di cui i comunicatori avevano la necessità di apprendere per realizzare il proprio compito. La consapevolezza della necessità di definire un modello alternativo si formò negli anni sulla base dell’esperienza acquisita. Ci si rese conto che:

  • Il contenuto dei messaggi doveva essere la risposta a necessità reali dei futuri destinatari;
  • I codici utilizzati per costruirli dovevano essere spiegati in maniera chiara e quindi ben comprensibili per i destinatari;
  • Il livello dei contenuti doveva partire, inizialmente, da quello che possedevano i destinatari per poi incrementarlo passa a passo;
  • L’ordine con cui i messaggi venivano strutturati doveva corrispondere a quello che abitualmente utilizzavano i destinatari;
  • Il momento della presentazione del messaggio doveva essere concordato preventivamente con gli utilizzatori in base alla loro disponibilità di tempo.

Risultò fondamentale adeguarsi alle modalità con cui il destinatario del messaggio elaborava l’informazione e conoscere il suo livello di conoscenza, in modo da partire da esso nel processo destinato a svilupparlo. Il ricettore, che il modello indicava come passivo, allora si attivava iniziando a collaborare nelle numerose opzioni che apre il processo di comunicazione. Sulla base di queste esperienze Manuel Calvelo Rios propose il modello I-M-I (Interlocutore - Mezzo di trasmissione - Interlocutore2) secondo il quale esiste reale comunicazione, se e solo se, i messaggi che si intercambiano sono il prodotto di un lavoro congiunto. Come indica infatti l’etimologia del temine: comunicare significa “fare insieme”.

Un’esperienza personale

L'interesse espresso dall'Italia, all'inizio degli anni Novanta, per questo approccio innovativo dipese, anche dai risultati non soddisfacenti di alcuni progetti che aveva finanziato. Silvia Balit, direttore del DSCB, fu molto abile nello stabilire un dialogo costruttivo con il donatore Italia, illustrando il significato e l'importanza della comunicazione per lo sviluppo che consentì la formulazione di progetti di comunicazione che furono, infatti, finanziati dall'Italia.
Come componente del Panel FAO-Italia, ebbi tra i vari compiti, quello di seguire, dalla formulazione alla valutazione, i due seguenti progetti di comunicazione: il GCP/RAF/297/ITA: “Development Support Communication for Southern Africa” ed il GCP/RLA/114/ITA: “Comunicacion Para el Desarollo en America Latina”.
Nella prima fase, il GCP/RAF/297/ITA incluse: Botswana, Mozambico, Namibia, Swaziland, Zambia e Zimbabwe. La sede del progetto fu stabilita ad Harare e la controparte individuata nel Department of Adult Education dell'Università dello Zimbabwe.
Gli obiettivi di questo progetto, rinviando per chi fosse interessato ad una dettagliata analisi al lavoro di Mephalopulos (2003) erano i seguenti:

  • rafforzare la capacità di formazione dei professionisti intermedi a livello regionale migliorando gli strumenti del Development Support Communication (DSC) in modo da incrementare l'efficacia dei programmi rurali di sviluppo nei quali essi lavoravano;
  • iniziare la realizzazione di un servizio sostenibile di DSC per programmi e progetti nazionali;
  • progredire nella creazione di un gruppo di professionisti del DSC nella Regione, mediante la preparazione di un diploma specifico post-laurea;
  • consigliare, per una futura azione, i governi delle nazioni coinvolte sulle necessità di un effettivo DSC nel Sud dell’Africa.

Motivi di spazio non consentono qui una descrizione dettagliata del progetto GCP/RAF/297/ITA, per cui mi limiterò all’illustrazione dell'esperienza maturata seguendo il progetto GCP/RLA/114/ITA “Comunicacion Para el Desarollo en America Latina” per il quale fu utilizzata la metodologia che i suo creatore definì con il termine di pedagogia massiva audiovisiva.
Il progetto fu firmato alla fine del 1992 tra la FAO e i governi di Cile, Bolivia, Brasile e Nicaragua con un finanziamento di 6 milioni di dollari. L'orientamento dato all'inizio delle attività, di dare priorità alle attività di formazione, consentì l’elaborazione e la messa a punto della metodologia che nella sua piena applicazione permise una riduzione sensibile dei costi di formazione per campesino. A livello regionale furono coinvolti non solo i paesi che lo avevano firmato, ma anche altri paesi con l'obbligo che il personale appartenesse ad un’istituzione del governo, ad organismi non governativi o ad organizzazioni di produttori. Come risultato di questa strategia furono coinvolti nel progetto anche: Argentina, Costa Rica, Cuba, Guatemala, Honduras, Messico, Panama, Perú, Uruguay, Venezuela e Guinea Equatoriale.
A livello regionale l'obiettivo fu lo sviluppo delle capacità nazionali mediante la formazione di personale qualificato. Ciò permise, in ciascuno di essi, l'introduzione della proposta di pedagogia audiovisiva. L'unità regionale orientò il suo lavoro nell’elaborazione di tre tipi di materiali:

  • pacchetti pedagogici audiovisivi, strutturati mediamente in 6 classi di 20 minuti ciascuna3 riguardanti problemi di interesse di ampie comunità di campesinos;
  • un piccolo quaderno ad uso del campesino con la descrizione di ciascuna “classe” sotto forma, prevalentemente, di fumetto;
  • una guida per il formatore impegnato nella presentazione e spiegazione delle classi che parlasse la lingua locale quando il gruppo di campesinos non conosceva il castigliano come i Quechua e gli Aymara.

La produzione di ciascun pacchetto pedagogico derivava dalle seguenti fasi:

  • individuazione, mediante un'accurata indagine in stretto collegamento e interazione con la comunità dei campesinos, del problema o dei problemi che chiedevano di essere risolti prioritariamente4;
  • scrittura della sceneggiatura da parte di un regista, con la collaborazione di un antropologo e di un pedagogo, tenendo conto della cultura e del livello di alfabetizzazione della comunità coinvolta;
  • ripresa con telecamere portatili delle scene previste dalla sceneggiatura;
  • montaggio;
  • duplicazione.

Conclusa la produzione ed effettuato il collaudo, i pacchetti pedagogici venivano usati in incontri formativi concordati con le diverse comunità interessate al tema
trattato5.
A conclusione del corso, che richiedeva diversi giorni, la comunità tutta (donne, uomini e bambini) veniva coinvolta nella messa in opera dell'intervento applicando il detto campesino: si lo oigo lo olvido, si lo vedo me acuerdo y si lo hago lo aprendo, (se lo ascolto lo dimentico, se lo vedo me lo ricordo e se lo faccio lo imparo).
Nel dicembre del 1996 partecipai, assieme alla dottoressa Silvia Balit, ad una missione tecnica di valutazione del progetto. Nel rapporto finale (Angeli, Balit, 1996) venne sottolineato un risultato rilevante che il progetto aveva raggiunto. Considerando i costi fissi (produzione di materiali e formazione dei divulgatori) e i costi diretti dei corsi ai campesinos in due diversi paesi: il Brasile e la Bolivia, essi oscillavano tra un massimo di 11 dollari/campesino/classe del primo ai 2,5 del secondo. Costi estremamente più bassi di quelli del T&V extension system che anche per questo motivo, come già detto, fu abbandonato nel 1999.
Concludo questa narrazione con un ricordo per me particolarmente vivo e significativo e legato ad una delle missioni effettuate. Nel luglio del 1994 partecipai alla presentazione di un pacchetto pedagogico sulle montagne della Bolivia vicino a Samaipata, nel distretto di Santa Cruz de la Sierra, riguardante le tecniche di conservazione dei versanti, devastati dalla deforestazione effettuata da comunità Quechua scese dall'altopiano, per procurarsi terra coltivabile per il mais e le patate, loro cibo fondamentale. A conclusione della presentazione e di una esercitazione della comunità in una delle tecniche di conservazione descritte nel pacchetto, la comunità campesina di Bella Vista (così si chiamava la località a circa 2000 metri di altitudine) offrì ai partecipanti un semplice pranzo. Ebbi, così l'opportunità di parlare con un campesino di circa 50 anni il quale mi raccontò una esperienza che aveva vissuto da ragazzo. Quando aveva 14 anni, nell'ottobre del 1967, vide arrivare nel suo piccolo villaggio una colonna di uomini armati, barbuti, stanchi e vestiti miseramente (molto distanziati l'uno dall'altro per ragioni di sicurezza, come seppe in seguito). Uno di essi, che zoppicava molto, chiese a questo giovane di andare alla farmacia di Samaipata per acquistare una medicina per la sua gamba. Il gruppo di uomini armati chiese alla comunità del cibo che insistette per pagare. Qualche giorno dopo, da una foto pubblicata su un giornale boliviano, riconobbe l'uomo che aveva incontrato e che era stato ucciso dall'esercito boliviano con la stretta collaborazione della CIA. Quell'uomo era Ernesto Guevara de la Serna più noto come Che Guevara. Al termine del commosso racconto, questo campesino mi portò a visitare le povere case del villaggio dove sopra il caminetto della cucina, accanto al santino della Virgen, c'era la foto del Che e sotto un lumino acceso. Nell'immaginario di questa povera comunità il Che svolgeva ancora, assieme alla Virgen, una funzione protettiva.

Riferimenti bibliografici

  • Angeli L., Balit S., (1996), Informe de la Mission Tecnica Gobierno de Italia/FAO del Projecto: GCP/RLA/114/ITA, “Comunicacion para el Desarollo en America Latina”
  • Hayami Y., Ruttan V., (1971) Agricultural Development: An International Perspective, Baltimore, The John Hopkins Press
  • Mephalopulos P.  (2003), Theory and Practice of Participatory Communication: The Case of the FAO Project “Communication for Development in Southern Africa, The University of Texas at Austin
  • Anderson J.R., Feder G., Ganguly S. (2006), The Raise and Fall of Training and Visit Extension: An Asian Mini-drama with an African Epilogue, Agricultural and Rural Development Department, World Bank Policy Research, Working Paper 3928
  • 1. Per maggiori approfondimenti su questo tema si veda: Jock R. Anderson et al. (2006).
  • 2. Elaborato da José Manuel Calvelo Ríos che, su questa base teorica propose la metodologia di Pedagogia Massiva Audiovisiva per la formazione di settori rurali e urbani marginali. Nel 1983 Manuel Calvelo Rios fu insignito dalla FAO con il premio Sen come migliore esperto per il suo apporto alla Comunicazione per lo sviluppo rurale.
  • 3. Manuel Calvelo Rios, quando lo conobbi la prima volta nel 1985 a Lima, visitando il CESPAC (Centro de Servicios de Pedagogia Audiovisual para la Capacitacion) durante una missione della FAO, mi fece rilevare il ritmo lento e ripetitivo con cui i video erano stati realizzati. Ciò era stato fatto volutamente per adattarsi alla cultura del mondo campesino latino-americano, spesso analfabeta, usando in molti casi, la lingua locale anziché il castigliano (la lingua dei conquistadores) per la illustrazione del contenuto. Si riteneva, infatti, che la lingua locale avesse un maggior impatto nell'acquisizione del messaggio formativo contenuto nel video.
  • 4. A titolo di esempio: la disinfestazione delle mandrie di alpaca delle montagne del Cusco dall'acaro che ne attaccava il vello; la vaccinazione del bestiame allevato dalle comunità Quechua dell'altopiano boliviano discese nel Chaco per evitare che esso contaminasse la comunità da malattie degli animali o la costruzione di piccoli fienili nel sud-est del Brasile per poter mantenere le mandrie anche nel periodo della siccità.
  • 5. Trattandosi di comunità, spesso isolate, che vivevano in luoghi impervi (le montagne del Perù, della Colombia o della Bolivia), esse dovevano essere raggiunte con auto fuori strada che trasportavano l'attrezzatura necessaria (video, riproduttore di cassette). La proiezione delle classi in video veniva effettuata, utilizzando come fonte di energia, la batteria dell'auto.
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