Progetti REDD+: nuove frontiere e vecchie barriere nel mercato forestale del carbonio

Progetti REDD+: nuove frontiere e vecchie barriere nel mercato forestale del carbonio
a Università degli Studi di Padova
b Università di Padova, Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali (Tesaf)

Introduzione

I processi di deforestazione e degradazione delle foreste, in gran parte concentrati nei Paesi tropicali, sono responsabili di almeno il 15% delle emissioni di gas serra (Van der Werf et al., 2009). La Food and Agriculture Organization (FAO) delle Nazioni Unite stima infatti per il periodo 2000-2010 una perdita annuale di foreste pari a 13 milioni di ettari (una superficie pari alla Grecia) concentrata in Sud America, Africa e Sud Est Asiatico, compensata solo in parte da 7,8 milioni di ettari anno tra piantagioni estensive ed espansione naturale delle foreste rispettivamente concentrate in Cina ed Europa.
Uno degli strumenti principali sviluppati per mitigare i cambiamenti climatici è la creazione di mercati delle quote di emissione di gas di serra. I mercati interessano anche il settore forestale: in linea teorica è del tutto evidente e logico che l’espansione delle aree boscate, il miglioramento degli stock e la prevenzione dei fenomeni di degrado delle foreste sono dei processi analoghi ma di segno opposto rispetto alle emissioni di gas di serra e possono quindi creare “crediti” di emissione. In effetti nel mercato volontario del carbonio, creato su iniziativa delle imprese, del settore non-profit e supportato occasionalmente da amministrazioni pubbliche locali, i rimboschimenti, i miglioramenti dello stock e i progetti di controllo del degrado delle foreste sono da tempo pienamente riconosciuti. Nel mercato “istituzionale”, legato al Protocollo di Kyoto (PK) e agli accordi ufficiali dei Governi, solo le piantagioni sono inclusi nello scambio di quote, peraltro sotto forti condizioni restrittive.
I problemi generali e le potenzialità dell’inclusione del settore forestale nel quadro normativo internazionale del mercato del carbonio verranno discussi nella prima parte del presente contributo, mentre nella seconda parte si illustreranno i problemi particolari legati all’attivazione di progetti in grado di ridurre la deforestazione e la degradazione delle foreste tropicali (i progetti Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation - REDD). Nelle considerazioni finali verrà nello specifico analizzato il ruolo delle risorse forestali nella strategia italiana di riduzione delle emissioni di gas serra.

I problemi dell’inclusione delle foreste nei mercati internazionali del carbonio

Nonostante l’importanza del settore forestale nella lotta ai cambiamenti climatici, finora le foreste hanno di fatto svolto un ruolo marginale nel mercato del carbonio. Le ragioni sono insite nella peculiarità delle attività forestali, che possono allo stesso tempo caratterizzarsi come strumento di fissazione (carbon sink) e fonte (carbon source) di emissioni di gas di serra. I progetti forestali sono caratterizzati da seri problemi relativi alla permanenza degli investimenti, alla necessità di garantire il rispetto dei criteri di addizionalità, intenzionalità e assenza di fenomeni collaterali di effetto opposto (leakage), alla qualità delle misurazioni e agli effetti positivi sull’ambiente ed al tessuto sociale (Ciccarese e Piotto, 2009; Hamilton et al., 2009).
Nel mercato istituzionale, che fa capo al PK, questi elementi di criticità si sono tradotti in:

  • obbligo da parte dei 37 Paesi industrializzati (Paesi dell’Allegato I) a contabilizzare in toto i bilanci tra gli assorbimenti e le emissioni di gas derivanti dalle piantagioni forestali e dai processi di deforestazione (Art. 3.3) e in parte (15%) e senza obbligatorietà i bilanci tra assorbimenti ed emissioni dei gas-serra derivanti dagli interventi di gestione forestale (una delle attività ammesse dall’Art. 3.4). Questi ultimi, come le misure dell’Art. 3.3., devono inoltre essere realizzati dal 1990 in poi e devono essere human-induced, ossia intenzionali;
  • esclusione dai meccanismi flessibili del Clean Development Mechanism (CDM) e del Joint Implementation (JI) dei progetti tesi alla riduzione della deforestazione e degradazione delle foreste;
  • definizione di procedure complesse e regole stringenti che hanno finora limitato a 13 il numero dei progetti forestali CDM (e solo 1 nel caso dei JI), corrispondenti allo 0,09% dei crediti totali CDM, a fronte di 2194 progetti CDM registrati (Hamilton et al., 2009);
  • esclusione delle misure forestali dall’Emission Trading System dell’Unione Europea, il più grande mercato mondiale di scambio di quote di carbonio (Tabella 1) (Hamilton et al., 2009).

Tabella 1 - Volume e valore dei mercati del carbonio regolamentari e volontari nel mondo

Fonte: Ecosystem Marketplace New Carbon Finance

Oltre ai problemi dell’addizionalità, dell’intenzionalità, del leakage e della permanenza degli effetti, molte sono le ragioni che sono state alla base dell’esclusione dei progetti REDD dai CDM (Pettenella et al., 2009):

  • mancanza di metodologie in grado di assicurare un sufficiente livello di precisione delle stima degli assorbimenti e dei bilanci delle emissioni di gas-serra;
  • il rischio, visti gli alti costi amministrativi e gestionali degli investimenti, di privilegiare interventi su grande scala, creando effetti di spiazzamento sugli interventi micro, quelli che spesso hanno maggiori impatti positivi sulla popolazione locale;
  • il problema dell’ingerenza nella sovranità nazionale da parte dei Paesi industrializzati e della perdita di diritti delle popolazioni locali e indigene sulle foreste.

Nel mercato volontario il settore forestale riveste un ruolo maggiore. Da un’analisi storica risulta infatti che il 73% delle transazioni di crediti legati del settore forestale è avvenuto nel mercato volontario (Hamilton et al., 2010), grazie anche a regole meno stringenti e a tipologie progettuali che spaziano dalle piantagioni, al miglioramento della gestione forestale fino ai progetti REDD. Nonostante il forte tasso di crescita del mercato volontario, passato dai 4 milioni di tonnellate commercializzate nel 2004 a circa 123 milioni nel 2008 (Hamilton et al., 2009), si sta assistendo a una diminuzione relativa del volume dei crediti di carbonio generati dagli investimenti compensativi forestali a favore per esempio di investimenti nel campo della produzione di energie rinnovabili (eolico, solare, geotermico, etc.). I crediti forestali sono stati il 10% dei totali nel 2008 (15% nel 2007 e 37% nel 2006). Le ragioni di tale diminuzione sono ancora una volta legate alle criticità sopracitate di permanenza, leakage, addizionalità e misurabilità, alle quali si sono aggiunte le complessità organizzative legate ai progetti REDD. Lo sviluppo recente di standard, metodologie di carbon accounting e sistemi di verifica indipendente può contribuire a dare maggiori garanzie agli investimenti compensativi in campo forestale e a rendere il mercato più trasparente e dinamico. Ad ogni modo si possono segnalare numerose iniziative volte alla creazione di progetti REDD (per esempio: Colini Cenamo et al., 2009; si veda anche il sito www.un-redd.org) che fanno presagire un’inversione di tendenza nel mercato dei crediti forestali.

Figura 1 - Progetti forestali nel mercato volontario del carbonio nel 2006, 2007 e 2008, divisi per tipologia di progetto

Fonte: Hamilton et al., 2007-2008 e 2009.
Note: A/R mono = afforestazione e riforestazione monospecifica;
A/R mix = afforestazione e riforestazione multi specie;
REDD= riduzione della deforestazione e degradazione;
IFM = miglioramento della gestione forestale.

Scenari Post-Copenhagen: “is time to REDD

Con l’avvicinarsi del 2012, fine del primo periodo d’impegno del PK, in sede internazionale il dibattito si è accesso sulla possibilità di allargare l’ambito di influenza del settore forestale al meccanismo ufficialmente proposto per la prima volta alla undicesima sessione della Conferenza delle Parti (COP) della Convenzione per i cambiamenti climatici tenutasi a Montreal (COP-11) ed oggi conosciuto come REDD+ (Quadro 1). Il meccanismo dei REDD+ si basa sull’istituzione di un sistema di pagamenti per i Paesi in via di sviluppo che dimostrino la capacità di ridurre le emissioni derivanti dalla deforestazione e degradazione forestale.
Alla COP-15 tenutasi a Copenhagen nel dicembre 2009 l’inclusione nel mercato delle quote di progetti REDD+ è slittata, nonostante l’ampio consenso che tale ipotesi aveva riscosso tra i rappresentanti delle istituzioni e della società civile. Durante la COP-15, al di là del posticipo della firma di un trattato vincolante post-Kyoto, il meccanismo dei REDD+ è stato tuttavia riconosciuto come elemento portante di un futuro accordo obbligatorio sulla mitigazione dei cambiamenti climatici (UNFCCC, 2009).
Mentre nel mercato volontario molti progetti REDD+ sono una realtà di fatto, nel mercato istituzionale due iniziative, il Programma UN-REDD delle Nazioni Unite ed il Forest Carbon Partnership Facility della Banca Mondiale, stanno coordinando, a livello di singole nazioni, progetti-pilota con lo scopo di preparare i singoli stati ad un prossimo accordo internazionale e di sperimentare strategie efficaci di riduzione della deforestazione e degradazione delle foreste.

Quadro 1 - RED, REDD, REDD+ o REDD++? Una definizione in espansione
A un evento laterale della COP-9 di Milano, nel 2003, un gruppo di ricercatori, appoggiati dal governo brasiliano, presentò una proposta per includere i progetti di deforestation avoidance nei Paesi tropicali come meccanismo del Protocollo di Kyoto (Santilli et al., 2003). La proposta, denominata “compensated reduction” successivamente modificata da Schlamadinger et al. (2005) e da Santilli et al., 2005), aveva come principale elemento l’impegno volontario da parte dei Paesi in via di sviluppo (non-Annex I per il PK) di stabilizzare la deforestazione e di riddure il fenomeno.
Nel 2005 la proposta approdò alla COP-11 di Montreal. Fino ad allora la discussione si basava sulla necessità di ridurre le emissioni dovute alla deforestazione (RED). Con il crescente riconoscimento scientifico dell’importante ruolo delle emissioni dovute ai processi di degradazione, alla COP 13 di Bali nei testi ufficiali comparve una seconda “D”. Nel Bali Action Plan, il meccanismo REDD veniva definito come “policy approaches and positive incentives on issues relating to reducing emissions from deforestation and forest degradation in developing countries”. Nella realtà il testo andava ben oltre continuando “…and the role of conservation, sustainable management of forests and enhancement of forest carbon stocks in developing countries”. In questo senso le attività finanziabili in un meccanismo REDD non solo possono limitare le diminuzioni degli stock forestali (evitare la deforestazione e la degradazione forestale), ma altresì può aumentarne la quantità (per esempio attraverso una corretta gestione forestale). Quest’ultimo concetto fu accettato formalmente alla COP 14 di Poznań, dove l’acronimo ufficiale diventò REDD+.
Il processo di allargamento dello scopo degli investimenti REDD non è sempre stato ben accetto da tutti gli stakeholders. In particolare molte organizzazioni non governative si sono opposte all’inclusione nei REDD+ di attività come la gestione forestale responsabile e le piantagioni (Greenpeace, 2009). I timori nascono dal fatto che l’aumento dello stock di carbonio possa avvenire a discapito di foreste primarie sostituite con monoculture.
In aggiunta, la tendenza ad inglobare un numero sempre maggiore di attività nei progetti REDD+ ha portato all’uso occasionale del termine REDD++ (o REALU – Reducing Emissions from Any Land Use), sulla base dell’obiettivo di creare un sistema di contabilità delle emissioni dovute al cambio d’uso del suolo simile ai paesi dell’Allegato I. In altri casi il termine REDD++ si riferisce a progetti REDD capaci di generare benefici di particolare rilevanza in termini sociali ed ambientali, come per esempio il miglioramento della governance e dei sistemi di ripartizione dei diritti e della proprietà terriera.

Modello Italia: strategia od opportunismo nella gestione delle politiche climatiche?

Secondo il PK l’Italia deve ridurre entro il 2012 le proprie emissioni nella misura del 6,5% rispetto ai livelli del 1990. In base al National Inventory Report (NIR) del 2010, pubblicato dall’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (ISPRA), nel 2008 le emissioni italiane sono aumentate del 4,7% rispetto al 1990. Ciò significa che nonostante gli impegni presi, in Italia anziché una riduzione si è avuto un aumento delle emissioni, tale per cui fino al 2012 l’impegno sarà di ridurre le emissioni del 11,2%.
Come la maggior parte degli stati europei l’Italia rendiconta l’aumento dello stock di carbonio dovuto alla riforestazione/afforestazione (Art. 3.3) e alla gestione forestale (Art. 3.4). Quest’ultima, considerata opzionale dal Protocollo, è stata inclusa dal Governo italiano anche perché, grazie ad un’intensa pressione nell’attività negoziale, all’Italia è stato concesso un limite di rendicontabilità in termini relativi molto elevato: 10,2 MtCO2 equivalenti per anno, pari a 2,78 Mt di carbonio1 (Tabella 2) (Pilli et al., 2006; Federici et al., 2008). L’Italia, nel presentare i dati concernenti l’art. 3.4, ha considerato tutta la superficie forestale attuale come sottoposta a forme di gestione, includendo tra gli altri prati e pascoli soggetti a ricolonizzazione naturale come attività human induced. Si tratta di quantità elevate: il sink totale di 10,2 MtCO2 corrisponde al 30% dell’impegno nazionale di riduzione calcolato sul livello di emissioni del 1990 (1,95% rispetto al 6,5%). È un sink molto superiore anche in termini relativi a quelli dei nostri principali partner europei; in Italia si dovrebbe infatti concentrare il 24,1% del carbonio fissato nelle foreste dell’UE (15)2 ed il 21,3% dell’UE (27).

Tabella 2 - Utilizzo delle attività relative agli articoli 3.3 e 3.4 del Protocollo di Kyoto nella programmazone nazionale EU-15

Fonte: Commissione Europea, 2009. Sulla base degli inventari e proiezioni degli Stati membri dell’UE.

La propensione dell’Italia all’utilizzo di strategie alternative rispetto ad una effettiva riduzione interna delle emissioni è in effetti abbastanza macroscopica. L’Italia è lo stato che per primo ha finanziato un CDM forestale e ha in previsione di usufruire in maniera relativamente ampia dei meccanismi flessibili, che combinati comporterebbero una riduzione media annuale di 17,1 MtCO2eq, seconda per riduzione solo alla Spagna (31,8 MtCO2eq) (Commissione Europea, 2009). Da notare come, nonostante l’ampio utilizzo dell’Italia dei meccanismi flessibili, il budget monetario allocato per gli stessi a livello governativo sia il più basso di tutti i paesi europei. Infatti l’Italia prevede l’acquisto di 1 tonnellata CO2eq, ottenuto attraverso i meccanismi flessibili, con una spesa di soli 4,6 €, a fronte di una spesa media europea per singola tonnellata di CO2eq di 31,8 €. Peraltro l’Italia, a differenza di molti stati europei, non ha finora partecipato attivamente o finanziato alcuna attività volta a facilitare la creazione di un meccanismo REDD. Il Governo italiano sembra quindi privilegiare quei settori dove i costi marginali di abbattimento delle emissioni sono mediamente inferiori rispetto a quelli di altri settori, senza però ipotizzare alcuna forma di compensazione per i proprietari forestali nazionali. Si tratta di una contabilità “creativa” con, per ora, nessun impatto in termini di pagamenti per i servizi ambientali forniti dal settore.

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  • 1. Nella Decisione 8/CMP.2 del FCCC/KP/CMP/2006/10/Add.1, a seguito della richiesta del Governo italiano, si è stabilito che il cap assegnato all'Italia passasse da 0,18 MtC a 2,78 MtC.
  • 2. In passato, in base a stime ancora maggiori fatte dal Governo italiano, tali valori erano apparsi ben più alti, toccando il 44,5%.
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