Ricerca ed innovazione nell'industria alimentare: i rapporti con le istituzioni pubbliche di ricerca

Ricerca ed innovazione nell'industria alimentare: i rapporti con le istituzioni pubbliche di ricerca
a Università di Napoli "Federico II", Dipartimento di Economia e Politica Agraria

Introduzione (1)

L’importanza delle innovazioni per la performance competitiva di imprese e di nazioni e per la crescita economica di lungo periodo è riconosciuta da tutte le scuole di pensiero economico. Innovazioni possono essere originate attraverso varie forme di apprendimento tacito o non formalizzato (learning by using; learning by doing; learning by interacting), o formalizzato: le spese in Ricerca e Sviluppo (R&S o learning by searching). Sebbene le prime fonti di innovazioni possano risultare molto importanti per alcuni settori e sistemi territoriali (ad esempio, il learning by doing è tradizionalmente importante per l’agricoltura mentre il learning by interacting è ritenuto particolarmente importante per i distretti), è alle spese in R&S che si guarda per giudicare l’intensità degli investimenti nella generazione di innovazioni di un’impresa, un settore e/o un’economia sia perché sono informazioni relativamente facili da ottenere, che perché sono ancora poco noti i processi attraverso i quali si acquisisce e si applica conoscenza tacita (Ruttan, 2001). L’attività di investimento in R&S per un’impresa, settore e/o economia è, quindi, cruciale per introdurre innovazioni di frontiera; inoltre, essendo le nuove tecnologie sempre più complesse e intensive di conoscenza rispetto al passato, l’investimento in R&S è necessario anche per far sì che chi investe rimanga più vicino alla frontiera mantenendo un’adeguata capacità di assorbimento delle innovazioni sviluppate da altri (Cohen e Levinthal, 1988; Griffith et al., 2004).
Lo sviluppo di competenze innovative di un’impresa (o di associazioni di imprese) è influenzato dal grado di coinvolgimento dell’impresa nel sistema pubblico di ricerca, dall’impegno di collaborazione con altri imprenditori, dall’abilità a cambiare radicalmente le competenze collettive e dall’ investimento dell’impresa in competenze specialistiche dei suoi dipendenti (Whitley, 2002). La misura in cui un’impresa preferisce collaborare attivamente con altri soggetti per lo sviluppo di competenze innovative risulta fortemente condizionata dal contesto istituzionale e di mercato in cui l’impresa opera. L’offerta di nuove conoscenze e tecnologie da parte del sistema pubblico di ricerca non implica che la capacità di innovare delle imprese sia automaticamente migliorata: è altresì importante che la domanda di ricerca e tecnologia sia esplicitata attraverso lo sviluppo di efficaci sistemi di innovazioni (World Bank, 2007). Il funzionamento di tali sistemi è garantito dall’efficacia delle reti orizzontali e delle interazioni tra vari soggetti, al fine di far circolare informazioni, aggregare l’offerta e stabilire contatti tra imprenditori ed istituti pubblici di ricerca e/o preposti al trasferimento tecnologico.
Il concetto di sistema di innovazioni si ispira al modello integrativo (Kline e Rosenberg, 1986) che descrive il processo di innovazione come un processo parallelo che coinvolge scienza, tecnologia e mercato. In tale processo, ricerca, sviluppo, progettazione, produzione e vendita sono svolti in parallelo e legati da interazioni che collegano le fasi a monte con il mercato e i consumatori, i cui bisogni sono una spinta alla produzione di nuovi prodotti e servizi. Ciò significa che il consumatore può essere coinvolto già nelle proposte di qualificazione e innovazione delle produzioni, ad esempio, nello studio della qualità sensoriale dei nuovi prodotti da immettere sul mercato (Predieri et al., 2008). Inoltre, le istituzioni pubbliche di ricerca possono svolgere funzioni che interessano diversi stadi del processo innovativo, da un lato selezionando e adattando conoscenze scientifiche disponibili a livello globale, e dall’altro codificando e generalizzando conoscenze tacite accumulate localmente. Sono, quindi, fondamentali i processi di integrazione, di apprendimento e di produzione congiunta di nuova conoscenza attraverso la collaborazione tra ricercatori accademici e industriali, o l'esternalizzazione da parte delle imprese alle istituzioni pubbliche di ricerca di fasi di risoluzione di problemi aziendali, sulla base delle esigenze maturate per sviluppare nuovi mercati e rafforzare la propria competitività.
Quanto detto è valido anche per il settore agro-alimentare, considerato tecnologicamente maturo e quindi knowledge-extensive, convinzione che può, a tutt’oggi, considerarsi superata (2). Inoltre, in tale settore, l’innovazione di processo e di prodotto derivante dalla ricerca scientifica proviene, nella maggioranza dei casi, da un’attività multidisciplinare che impiega diverse competenze (biologiche, chimiche, ingegneristiche, nutrizionali, economiche e legislative) nello sviluppo del percorso che porta dalla formulazione dell’idea alla sua realizzazione industriale, competenze che una piccola o media impresa difficilmente possiede (Masi, 2006).
Di conseguenza, il ruolo delle università e degli istituti pubblici di ricerca risulta cruciale per l’industria alimentare italiana, in generale eccessivamente frammentata con un’elevata presenza di piccole e medie imprese, concentrate soprattutto al Sud e con maggiori difficoltà di accesso all’informazione e all’innovazione. Una proficua collaborazione tra imprese private e istituti pubblici di ricerca può risultare, quindi, particolarmente importante per la competitività dell’industria alimentare meridionale.

Incentivi alla collaborazione tra imprese e istituti pubblici di ricerca

Per incentivare gli investimenti privati in R&S attraverso le collaborazioni tra imprese private e istituti pubblici di ricerca, sono stati introdotti di recente due importanti strumenti: uno di carattere generale, ovvero le agevolazioni fiscali previste dalla Legge Finanziaria per il 2007, e uno specifico per il settore agro-alimentare: la misura 124 prevista nei Programmi di Sviluppo Rurale 2007-2013.
La Legge Finanziaria per il 2007 ha previsto un credito d'imposta che può essere concesso alle imprese che fanno ricerca e innovazione per tre anni, a decorrere dal periodo d'imposta 2007 e fino al periodo d'imposta 2009, nella misura del 10% dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e di sviluppo precompetitivo. La misura dell'agevolazione è elevabile al 15% qualora i costi di ricerca e sviluppo siano riferiti a contratti stipulati con università ed enti pubblici di ricerca.
Il vantaggio degli incentivi fiscali, rispetto ad altre forme di incentivo, è di lasciare alle imprese la possibilità di scegliere liberamente gli investimenti, non essendo questi vincolati al rispetto di determinati criteri per l’ottenimento dei contributi. Sono, quindi, considerati più efficaci, riducendo l’incertezza sull’ammontare della concessione e sul tempo di ottenimento dell’agevolazione (Bises e Laganà, 2007). Tuttavia, almeno secondo le stime dell’effetto sul volume delle spese private in R&S della riduzione del costo d’uso del capitale conseguente all’introduzione degli incentivi fiscali (Antonelli, 2006; Bises e Laganà, 2007), tale strumento non sembra poter assicurare il raggiungimento dell’obiettivo del 2% di spesa privata in R&S previsto per il 2010.
Per quanto riguarda i provvedimenti specifici per il settore agroalimentare, per stimolare l’innovazione e gli investimenti privati in R&S, nell’ambito dei Programmi di Sviluppo Rurale 2007-2013, in particolare nell’asse 1 (che prevede azioni volte all’aumento dell’efficienza aziendale), è prevista la misura 124, finalizzata all’introduzione di elementi di innovazione nelle aziende agricole, forestali e di trasformazione alimentare per favorire una maggiore dinamicità nelle filiere. La misura prevede iniziative a favore della cooperazione per lo sviluppo di nuovi prodotti, processi e tecnologie nel settore agricolo e alimentare.
Gli esiti delle consultazioni con il partenariato economico e sociale non sono stati sempre favorevoli alla misura in questione: in alcuni casi, le organizzazioni professionali agricole hanno chiesto l’eliminazione della stessa, come in Basilicata, oppure l’inserimento di azioni in favore di forme associate, come in Puglia, sostanzialmente temendo di essere escluse dalla gestione della misura.
Le regioni che hanno ripartito le risorse destinando una maggiore quota a tale misura sono Abruzzo (3.4%) e Umbria (2.5%). Seguono Basilicata (1.3%), Lazio e Toscana (1.2%), Piemonte, Sicilia e Veneto (1%); in tutti gli altri casi la percentuale di risorse destinata a tale misura è inferiore all’1%. Gli incentivi pubblici alle imprese per la ricerca applicata e l’innovazione tecnologica, svolta in collaborazione, sono importanti per la creazione di relazioni con gli istituti pubblici di ricerca, in particolare per il settore agricolo dove gran parte delle innovazioni introdotte sono state pilotate e fortemente incentivate dalla politica comunitaria, come l’adozione di pratiche agro-ambientali e la partecipazione agli schemi di conservazione del paesaggio rurale (Borsotto et al., 2008a e 2008b; Defrancesco et al., 2008) sebbene non manchino esempi di imprenditori innovatori che hanno anticipato l’adozione di tali pratiche, precorrendo la svolta comunitaria (Milone, 2004) e direttamente cercato un contatto con istituzioni pubbliche di ricerca (Ansaloni e Ballotta, 2000).

I determinanti delle innovazioni nell’industria alimentare italiana

Nelle tabelle 1 e 2, si riportano, in estrema sintesi, i risultati di una regressione probit (3), condotta per l’industria alimentare italiana (Tabella 1) e l’industria alimentare meridionale (Tabella 2). I dati sono tratti dall'Indagine sulle imprese manifatturiere svolta da Mediocredito Centrale, oggi Capitalia, per i periodi 1998-2000 (8a indagine) e 2001-2003 (9a indagine), su un campione rappresentativo di imprese manifatturiere italiane con più di dieci addetti e su tutte le imprese con più di 500 addetti. Dall’indagine sono state estratte le imprese alimentari, facendo ricorso alla classificazione ATECO. Il numero medio di addetti per le imprese nazionali estratte è pari rispettivamente a 40 e 87 nei due periodi considerati mentre le imprese meridionali impiegano in media rispettivamente 32 e 56 addetti nei due periodi; l’intensità di spesa in R&S, in percentuale del fatturato, è stata pari a 0.49 e 0.24 per le imprese nazionali e a 0.44 e 0.21 per le imprese meridionali nei due periodi considerati. Si osserva, quindi, nel secondo periodo, una caduta dell’investimento medio in R&S, probabilmente per effetto della recessione registrata in quegli anni.
Nelle tabelle sono riportate le variabili, utilizzate come determinanti per spiegare la probabilità che l’impresa introduca un’innovazione di prodotto. Più precisamente, la variabile dipendente delle regressioni effettuate è rappresentata dalla presenza di fatturato ottenuto da nuovi prodotti. Nelle tabelle sono riportati gli effetti marginali delle variabili (dF/dx) e i livelli di significatività (p-value), dove il grassetto sta ad indicare che la variabile è significativa almeno al 5%. Le variabili relative all’appartenenza dell’impresa a classi dimensionali sono diverse nel tempo perché sono state inserite nella specificazione finale solo le prime tre variabili in ordine decrescente di significatività secondo stime preliminari.
Dall’esame della tabella 1, si evince che i determinanti delle innovazioni di prodotto dell’industria alimentare italiana sono stati, nel periodo 1998-2000: gli accordi tecnologici con altre imprese italiane, i rapporti di collaborazione in R&S con le istituzioni pubbliche di ricerca, i rapporti commerciali con la grande distribuzione, l’intensità in R&S e la presenza di lavoratori laureati; debolmente significative risultano anche le variabili relative alla presenza di lavoro flessibile (ossia assunto con contratti part-time e/o a tempo determinato) e ai rapporti di collaborazione in R&S con imprese private. Il segno positivo della variabile relativa alla flessibilità del lavoro, contrario a quanto sottolineato in letteratura, ossia di un suo effetto di indebolimento della capacità di innovazione dell’impresa, può essere interpretato immaginando che abbia abbassato il costo di acquisizione di capitale umano necessario all’impresa per poi innovare.

Tabella 1 - Determinanti delle innovazioni di prodotto nell'industria alimentare italiana

Nel periodo 2001-03, la presenza di lavoratori flessibili è la variabile più significativa con segno atteso, ossia negativo; variabili quali accordi tecnologici con altre imprese, presenza di lavoratori laureati e intensità in R&S presentano una ridotta significatività rispetto al periodo precedente. Infine, si risconta un comportamento differenziato per classi dimensionali e comparti. In particolare, l’intensità in R&S perde di significatività ma vede accresciuto il suo impatto sulla probabilità di innovare dell’impresa.
Dall’esame della tabella 2, si evince che i determinanti delle innovazioni di prodotto dell’industria alimentare meridionale, nel periodo 1998-2000, comuni a quelli osservati per il resto del paese sono la presenza di lavoratori flessibili e l’intensità di spesa in R&S, entrambe con un maggiore effetto marginale rispetto a quello nazionale. Le variabili di rete, sia commerciale con la GDO che tecnologica con altre imprese (4), non risultano determinanti per le imprese meridionali; l’assenza di reti, che può spiegare la maggiore importanza dell’intensità in R&S in termini di maggiore indipendenza tecnologica delle imprese meridionali, è controbilanciata dagli incentivi che presentano un impatto sull’introduzione di innovazioni superiore a quello della presenza di lavoro flessibile. La variabile “rapporti di collaborazione in R&S con le istituzioni pubbliche di ricerca”, significativa al 6%, presenta un forte effetto marginale, mentre la presenza di lavoratori laureati è meno significativa (9%).
I determinanti delle innovazioni nel periodo 2001-03 sono: la presenza di lavoratori flessibili, variabile molto significativa con il segno negativo atteso, e i rapporti di collaborazione in R&S con le istituzioni pubbliche e private di ricerca (5).

Tabella 2 - Determinanti delle innovazioni di prodotto nell'industria alimentare meridionale

La variabile relativa agli incentivi non è più significativa. Dal confronto tra le stime dei due periodi, sembrerebbe possibile affermare che gli incentivi pubblici alle imprese per la ricerca applicata e l’innovazione tecnologica abbiano creato, negli anni più recenti, la consapevolezza dell’importanza delle collaborazioni in R&S al fine di introdurre innovazioni di successo. La spesa aziendale in R&S nel periodo 2001-03 non è più significativa, probabilmente per effetto dei tagli menzionati, conseguenti alla recessione, e del contracting out, a giudicare dall’importanza delle variabili di collaborazione in R&S, sia con le istituzioni pubbliche che con le imprese private. Questo risultato trova conferma nel fatto che le imprese agro-industriali meridionali si rivolgono più spesso di altre imprese meridionali agli enti pubblici di ricerca (Istituto Guglielmo Tagliacarne, 2004), così come nella crescita progressiva nel campione di Capitalia (a partire dalla 7a indagine) della percentuale di imprese alimentari meridionali che si rivolgono a istituti pubblici di ricerca, fino a rappresentare la totalità delle imprese alimentari del campione che hanno rapporti con istituti pubblici di ricerca.

Conclusioni

In letteratura è stata sottolineata quella che è stata definita la “terza missione” delle istituzioni universitarie: creare e diffondere conoscenza ed innovazione; promuovere benessere sociale e crescita economica locale e catalizzare risorse esterne, attraverso un rapporto più diretto tra sistema scientifico e mondo imprenditoriale e sociale, sia raccordando il sistema locale con quello globale che facilitando le relazioni tra i diversi attori del sistema locale, allo stesso tempo conciliando l’esigenza di estendere la conoscenza con quella di capitalizzarla (Etzkowits, 2004; Bencardino, 2008).
In questo lavoro, tale prescrizione teorica trova riscontro nell’analisi dei determinanti delle innovazioni di prodotto dell’industria alimentare italiana, condotta sui dati dell’8a e 9a indagine di Capitalia. Dalle regressioni probit effettuate, risulta che la collaborazione in R&S con istituti pubblici di ricerca è diventata una variabile importante per le imprese alimentari meridionali, sebbene abbia perso significatività per le imprese, di maggiori dimensioni, del resto del paese.
Le imprese di piccole e medie dimensioni, quali quelle meridionali, sono maggiormente limitate nel loro accesso all’informazione e alla conoscenza di quelle di grandi dimensioni e quindi più condizionate dalla rete di relazioni locali nell’individuare lo spettro di innovazioni per loro conveniente. La competitività di tali imprese, che hanno risorse limitate da investire in R&S, dipende, quindi, anche dall’imprenditorialità e dall’efficienza delle istituzioni universitarie e dei centri pubblici di ricerca più vicini.
Infine, gli incentivi pubblici alle imprese per la ricerca applicata e l’innovazione tecnologica hanno creato nelle imprese alimentari una tradizione di rapporti di collaborazione con gli istituti pubblici di ricerca, che sarà ulteriormente consolidata dagli incentivi fiscali e dalla misura 124. Si auspica che succeda altrettanto per le imprese agricole, sebbene le organizzazioni professionali agricole non sempre hanno accolto con grande entusiasmo l’introduzione della misura 124.

Note

(1) Si ringraziano vivamente Attilio Luigi Pasetto, UniCredit, per aver prontamente fornito i dati, e Francesco de Stefano Paolo Masi e Nunzio Romano , per gli interessanti commenti che hanno permesso di migliorare in modo apprezzabile una precedente versione di questo contributo. Lavoro realizzato nell’ambito del progetto PRIN “Spillovers sistemici sulla competitività dell'industria italiana: una valutazione quantitativa per le politiche di settore”.
(2) Come dimostrato dall’impiego di soluzioni tecnologiche molto avanzate quali: nano-tecnologie per la realizzazione di sensori di gas da inserire in nasi elettronici per il controllo di qualità delle conserve alimentari; radiazioni X per il rilevamento di noccioli in frutta denocciolata; spettroscopia laser per il controllo di qualità del vino imbottigliato o spettroscopia di riflettanza risolta nel tempo per verificare il grado di maturazione della frutta raccolta. Sono solo alcuni esempi di nuove tecnologie, talvolta frutto di collaborazione tra imprese private e istituti pubblici di ricerca, illustrate nel convegno “Science for Food: Le tecnologie fisiche al servizio del buon cibo”, promosso da INFM-CNR il 10/4/2008 a Napoli.
(3) In un modello probit, si assume che la differenza tra le due alternative, innovare e non innovare, possa essere espressa con una variabile latente y*, condizionata dal vettore di variabili x. Alla variabile latente si associa un indicatore binario osservabile che assume valore 1 quando la variabile latente è positiva e 0 altrimenti. Assumendo una distribuzione normale standardizzata per gli errori nel modello latente, si stima l’influenza delle variabili x sulla variabile dipendente, che assume valore 1 per imprese con fatturato derivante da nuovi prodotti e 0 diversamente.
(4) Questa variabile è assente perché non osservata per le imprese meridionali.
(5) Il rapporto di collaborazione in R&S con imprese private è stata eliminata automaticamente dalle stime in quanto predice perfettamente i valori unitari della variabile dipendente.

Rifermenti bibliografici

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