Biotecnologie e sviluppo rurale sostenibile

Biotecnologie e sviluppo rurale sostenibile

Introduzione

E' di questi giorni la notizia che Monsanto ha acquisito Seminis, la più grande impresa sementiera del comparto ortofrutticolo, per 1,4 miliardi di dollari in contanti, 400 milioni dei quali sono debiti da risanare (Il Sole-24 Ore, domenica 6 febbraio 2005). Con quest'acquisizione Monsanto sorpassa DuPont come prima impresa sementiera nel mondo.
Seminis vende circa 3.500 varietà di sementi, appartenenti a 60 specie vegetali, con i marchi Asgrow Vegetable Seeds, Petoseed, Royal Sluis e Seminis vegetable Seeds. Controlla, tra l'altro, il 23% del mercato mondiale delle sementi di pomodoro. Il 40% del suo mercato è in Europa, Medio Oriente e Africa. L'Italia è il suo più importante sbocco europeo: con quest'acquisizione Monsanto raddoppia il volume d'affari nel nostro Paese.
L'impresa, che ha la sua base in California, non è solida finanziariamente. Con un fatturato annuale di 526 milioni di dollari (circa il 20% del mercato globale di sementi per varietà orticole e frutticole), nel 2003 ha avuto una perdita di 31,7 milioni di dollari, scesi a 16,3 nel 2004. Sebbene abbia avuto l'effetto di indebolire la quotazione in borsa delle azioni Monsanto, l'acquisizione ha un valore strategico: posizionare saldamente la Monsanto in un segmento di mercato agricolo con buone prospettive di crescita, come ha dichiarato il presidente e amministratore delegato Hugh Grant "il trend verso diete più salubri è cresciuto stabilmente negli anni passati".
I dirigenti di Monsanto chiariscono che l'intenzione immediata non è quella di mettere in commercio frutta e verdura transgenica, ma che sperano di farlo quando le condizioni del mercato lo permetteranno. Una strategia perseguibile, anche se non necessariamente di successo, è quella di usare le competenze genetiche dell'impresa per introdurre nella frutta e nella verdura caratteristiche nutrizionali e funzionali, gradite al consumatore, vincendo finalmente la sua resistenza alla diffusione delle piante transgeniche.

Le strategie dell'industria agrobiotecnologica. Dalla chimica alle sementi

L'acquisizione della Monsanto è coerente con il riposizionamento dell'industria agrobiotecnologica nell'agroalimentare. Se alle sue origini l'industria biotecnologica aveva cercato di sfruttare le complementarità e le economie di scopo nelle attività connesse alle "scienze della vita" (in particolare, farmaceutica e agricoltura), dalla fine degli anni '90, farmaceutica e agrochimica hanno intrapreso traiettorie separate d sviluppo. Delle cinque grandi multinazionali agrobiotecnologiche (Syngenta, Monsanto, Bayer, Dow e DuPont), solo la Bayer (ultima arrivata nelle agrobiotecnologie) è presente in entrambi i campi di attività. Per quel che riguarda la Monsanto, nel 1999 Pharmacia aveva acquisito l'impresa e separato le attività farmaceutiche da quelle agrochimiche. Nel 2003 la Monsanto, specializzata ormai nell'attività agrochimica-sementiera, era stata collocata sul mercato azionario, mentre la Pfitzer acquisiva Pharmacia.
L'ultima mossa della Monsanto rappresenta una novità. Le grandi imprese agrobiotecnologiche sono, infatti, presenti soprattutto nei mercati delle commodities agricole; con quest'acquisizione la Monsanto si espande nel mercato delle specialities . Ancora una volta quest'impresa mostra di amare le sfide. La modificazione genetica delle caratteristiche nutrizionali o funzionali è, infatti, generalmente regolata da più geni e (se questo fosse veramente l'obiettivo) è molto più complessa delle trasformazioni monogeniche (come la resistenza agli erbicidi o agli insetti). La manipolazione, inoltre, è molto più visibile, essendo frutta e verdura destinate anche al mercato del fresco, e quindi ancora più soggetta allo scrutinio del pubblico. In questo comparto, inoltre, la Monsanto avrà un confronto molto più diretto con la grande distribuzione, che in Europa ha un ruolo leader nel coordinamento delle filiere dell'ortofrutta e che finora ha assunto una posizione contraria alla diffusione degli Ogm.

Sementi, brevetti e biodiversità

L'acquisizione è un grande balzo in avanti nella concentrazione della proprietà nell'industria delle sementi. Le sementi rappresentano la risorsa fisica complementare all'innovazione agrobiotecnologica. In parole semplici sono il veicolo tramite cui l'innovazione entra nel mercato. Il controllo del germoplasma (ossia delle sementi) e l'estensione dei diritti brevettuali sulla materia vivente sono essenziali in un'economia di mercato per garantire un regime di appropriabilità forte delle rendite da innovazione e, quindi, per stimolare gli investimenti privati nella ricerca.
L'estensione della brevettazione alla materia vivente porta tuttavia anche alla negazione di una pratica e di un diritto secolare degli agricoltori: riutilizzare il proprio raccolto come semente. Sempre più le specie e le varietà coltivate sono riprodotte dalle imprese che ne detengono la proprietà esclusiva, piuttosto che dagli agricoltori nelle loro aziende, nelle condizioni agroecologiche più diverse.
Sebbene in buona misura questo avvenga già per le specie e le varietà più industrializzate, la selezione delle sementi dal proprio raccolto è una pratica molto diffusa tra i piccoli agricoltori, soprattutto nei paesi poveri. Sono questi agricoltori e questi paesi che hanno garantito la conservazione in situ della biodiversità.
L'appropriazione privata ed esclusiva delle risorse genetiche porta con sé, quindi, una doppia minaccia: l'erosione della biodiversità e l'erosione del dominio pubblico e della proprietà collettiva del germoplasma e delle conoscenze tradizionali ad esso associate. La prima minaccia mette a rischio l'equilibrio della vita sul pianeta; la seconda la sopravvivenza di oltre un miliardo di agricoltori poveri, i quali attorno alle risorse genetiche hanno costruito un sistema complesso, non regolato dal mercato, di sussistenza e di relazioni sociali.

Biotecnologie, agricoltura sostenibile e sviluppo rurale in Europa

Il consolidarsi del monopolio delle multinazionali sulle sementi, e ancor più il loro ingresso nel mercato delle specialities , deve indurci a riflettere più apertamente anche sul futuro dell'agricoltura europea. Nel corso della lunga riforma della PAC, sin dagli anni ‘90 del secolo scorso, si è venuto costruendo il concetto di "modello agricolo europeo", diverso dal modello industriale di produzione di commodities indifferenziate (di prodotti cioè agricoli e alimentari omogenei e di massa). Il modello agricolo europeo si prefigura come basato sulla qualità ambientale dei processi e dei prodotti, sulla multifunzionalità dell'agricoltura e sullo sviluppo rurale integrato. Esso è alla base di un nuovo patto sociale, cui hanno aderito una buona parte di consumatori e agricoltori, ma anche molti operatori della catena alimentare, tra i quali la grande distribuzione.
La ristrutturazione del sistema agroalimentare europeo attorno al concetto di "qualità" assume due forme generali rilevanti. Gli operatori dell'agricoltura commerciale, in particolare le catene europee della grande distribuzione, riorganizzano le loro attività attorno all'adozione di codici di "buone pratiche agricole" basati su standard qualitativi di natura igienica e ambientale, che non prevedono l'uso di Ogm. Questi codici incidono profondamente sulle strutture e sulle tecniche agricole non solo in Europa, ma anche nei paesi esportatori, soprattutto nel comparto dell'ortofrutta (dall'Australia, alla Nuova Zelanda, al Sud Africa, al Brasile, al Cile).
Una seconda forma ha preso la via della valorizzazione delle differenze agricole territoriali, sociali culturali, che si esprimono nelle produzioni tipiche e tradizionali e nello sviluppo rurale integrato. Bisogna chiarire che non si parla in questo caso di un'agricoltura di nicchia, ma, ormai, di un segmento molto consolidato dell'economia agricola, soprattutto in Italia. Anche in questo contesto, molti operatori ritengono che la diffusione degli Ogm sia incompatibile con la valorizzazione delle produzioni.
Per conquistare il mercato europeo, alle grandi multinazionali agrobiotecnologiche non restano che due vie: far cambiare idea agli europei sul modello agricolo che stanno perseguendo da circa un ventennio o dimostrare che le loro tecnologie possono sostenerlo e rafforzarlo.
D'altra parte, coloro che s'interessano alle sorti dell'agricoltura e dello sviluppo rurale dovrebbero allargare il dibattito e articolare una proposta per una politica di innovazione coerente con le politiche produttive da loro promosse, al fine di evitare che l'opposizione agli Ogm passi per un'opposizione tout court all'innovazione e alla ricerca.

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