Competitività dell'impresa agricola e legame con il territorio: il caso dell'agricoltura sociale

Competitività dell'impresa agricola e legame con il territorio: il caso dell'agricoltura sociale
a Università della Tuscia (Viterbo), Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali (DAFNE)

Diversificazione aziendale e mercati locali

Tra i mutamenti che hanno interessato l’agricoltura italiana nell’arco degli ultimi due decenni, un crescente interesse è dedicato a innovazioni produttive e organizzative realizzate da imprese agricole. Ciò è avvenuto sia a seguito di iniziative intraprese autonomamente dagli imprenditori agricoli, sia per effetto dell’azione pubblica sviluppatasi nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale (1), che hanno contribuito a promuovere la diversificazione economica delle aziende agricole, con il risultato di ampliare il ventaglio tipologico delle forme imprenditoriali presenti in agricoltura. Un fattore che contribuisce a spiegare queste tendenze può essere ricondotto alla riscoperta di quel legame con il territorio che, seppur parte del codice genetico dell’agricoltura, si era andato offuscando negli anni di maggiore pervasività della vecchia PAC. La vivacità del dibattito scientifico e professionale intorno ai prodotti cosiddetti “tipici” ne è un esempio indicativo.
Il tema del legame territoriale, inteso come una sorta di “ri-sintonizzazione” dell’impresa agricola sulla lunghezza d’onda della società e delle istituzioni locali, è stato oggetto di un interessante intervento di Maria Fonte e Maurizio Agostino (numero 5 di Agriregionieuropa [link]) .
Il contributo di Fonte e Agostino guardava prevalentemente ai prodotti alimentari delle imprese agricole e a come questi possano recuperare margini di competitività dal rafforzamento del legame territoriale. Il focus di quel contributo era, come indicato dal titolo di un paragrafo, sui “sistemi locali di produzione degli alimenti”.
La prospettiva dell’impresa agricola multifunzionale, nella quale la produzione di alimenti si coniuga con quella di servizi di altra natura, si intreccia strettamente con la questione delle relazioni locali dell’impresa agricola, dal momento che vari servizi, che affiancano e integrano la produzione di beni alimentari, vanno a soddisfare una domanda locale, di origine sia pubblica che privata. Basti pensare ai servizi erogati alle amministrazioni locali da parte di imprese agricole, sulla base delle convenzioni previste dall’art. 15 del decreto legislativo 228/01, noto anche come legge di orientamento, alle attività a carattere didattico educativo, rivolte quasi esclusivamente a scuole e famiglie del sistema locale, ai servizi di commercializzazione realizzati tramite filiere corte e ai servizi di carattere sociale nell’ambito dei sistemi di welfare a livello locale.
Proprio a quest’ultimo genere di attività si riferisce nella sua parte conclusiva il contributo di Fonte e Agostino, rilevando la scarsa conoscenza che si ha del funzionamento delle forme di impresa non profit e dei meccanismi di generazione di competitività in imprese agricole socialmente responsabili.
Questa nota si propone di tornare sulla tematica dell’agricoltura sociale, già presentata nel numero 2 di Agriregionieuropa (Senni, 2005) [link], vista ora come una declinazione della multifunzionalità e della diversificazione dell’impresa agricola per la quale il territorio diviene, da elemento di possibile vincolo all’esercizio di attività imprenditoriali nell’arena “globale”, ad opportunità di sviluppo e consolidamento dell’impresa nel tessuto socioeconomico locale.

Agricoltura sociale “competitiva”: esperienze in Europa

La possibilità da parte di imprese agricole di ri-acquisire spazi di competitività partecipando ai sistemi di welfare locale è testimoniata dalle numerose esperienze che si sono andate diffondendo e consolidando negli ultimi anni sia in Italia che all’estero.
Tra le varie esperienze europee in ambito di agricoltura sociale, per il tema qui affrontato, ovvero quella del legame territoriale come fattore di competitività, meritano in questa sede di essere segnalati due “casi”: il fenomeno delle Care Farms in Olanda e il progetto francese dei Jardins de Cocagne.
In Olanda, dalle prime esperienze pionieristiche della fine degli anni Novanta, sono oggi circa 600 le imprese agricole che hanno avviato attività sociali, integrando nei lavori aziendali soggetti a vario titolo svantaggiati o a rischio di esclusione sociale. Approfittando di un accordo quadro tra il Ministero dell’Agricoltura e quello degli Affari Sociali, questi imprenditori, collaborando con i servizi territoriali, hanno colto l’opportunità di partecipare a percorsi terapeutico-riabilitativi e di recupero sociale, ricavandone un compenso erogato dal settore pubblico che si configura come un’integrazione al reddito agricolo aziendale. La spinta ad intraprendere in azienda attività socialmente utili è derivata spesso da una crescente insoddisfazione che questi agricoltori manifestavano per l’integrazione dell’azienda in circuiti tecnologico-produttivi sempre più eterodiretti. A ciò si aggiunga che l’agricoltura olandese è da tempo sotto pressione da parte dell’opinione pubblica per le ricadute ambientali generate da attività produttive altamente intensive, per la competizione nell’utilizzo di risorse scarse, prime fra tutte la terra, per una sostanziale frattura tra il sistema tecnico-economico dell’agricoltura e il territorio (2).
È interessante evidenziare come nell’esperienza delle Care Farms olandesi, l’attività sociale svolta nell’azienda si innesta (è proprio il caso di dire) su una realtà imprenditoriale pre-esistente: in altri termini, non viene creata ad hoc una realtà agricola a finalità sociale, ma vengono avviati progetti di carattere sociale all’interno di un’azienda agricola che non per questo viene stravolta nelle sue forme organizzative e produttive.
Uno degli esiti che i care farmers olandesi hanno conseguito dall’aprirsi ad innovare l’impresa sul terreno sociale riguarda il recupero di margini di competitività, intesa in senso ampio, della loro azione imprenditoriale. Domanda e offerta di servizi sociali si sviluppano, infatti, in un ambito prettamente locale, nel quale i competitors sono quantitativamente di meno e più agevolmente identificabili. Con riferimento all’erogazione di servizi sociali, la questione della competitività si sposta semmai su un diverso terreno, ovvero quello tra aziende agricole e altri soggetti erogatori di servizi sociali. Lo sviluppo che sta avendo il movimento delle fattorie sociali olandesi si fonda in buona parte sulle specificità dei percorsi agricoli nella capacità di generare benessere psicosociale che consente a queste realtà di godere di una sorta di “vantaggio competitivo” rispetto a strutture non a carattere agricolo che erogano analoghi servizi.
Un secondo esempio che rivela come, attraverso il consolidamento di legami locali, l’agricoltura sociale possa essere un’agricoltura vitale ed economicamente sostenibile è quello francese di Reseau Cocagne (3). Si tratta di una rete di circa 80 realtà agricole, denominate Jardins de Cocagne, basate sulla replicabilità di un modello di riferimento messo a punto nel 1991: anno in cui, nei pressi di Besançon, si è avviata la prima esperienza sul campo. I Jardins de Cocagne sono progetti di agricoltura biologica, gestiti da organizzazioni non a fini di lucro aventi la primaria finalità di promuovere inclusione sociale e inserimento lavorativo di fasce marginali della popolazione: disoccupati di lunga durata, persone senza dimora, prive di reddito, beneficiari di aiuti pubblici riservati a fasce svantaggiate, persone in difficoltà sociale, anche temporanea.
La rete dei Jardins si sostiene in larga parte con un capillare sistema di vendita diretta ai consumatori (definiti “consumattori”). Tale modalità ha avuto un felice riscontro di mercato al punto che esiste una lista di attesa di cittadini interessati all’acquisto.
Le potenzialità di mercato di simili esperienze si intersecano dunque con altre dinamiche quale quella della crescita del movimento per il consumo responsabile e dei Gruppi di Acquisto che si vanno diffondendo in vari paesi europei.
Con un’interessante concomitanza temporale, studiosi e ricercatori di diversi paesi europei, e con differente bagaglio disciplinare, hanno avviato negli ultimi anni attività di ricerca intorno all’agricoltura sociale e alle sue diverse declinazioni, contribuendo a far emergere iniziative note, sovente, solo a livello locale. Dal loro incontro, avvenuto la prima volta in Olanda nel 2004, sono sorte due iniziative europee. La prima riguarda il progetto Farming for Health, una sorta di rete informale di studiosi e di altre figure professionali interessate, a vario titolo, a scambiare e ad approfondire le conoscenze sulle attività a carattere sociale dalla conduzione di attività agricole o similari. La seconda iniziativa europea riguarda l’avvio di un’Azione europea COST dal titolo Green Care in Agriculture (4). All’Azione europea aderiscono 15 paesi, che nel corso dei 4 anni di durata del progetto, promuoveranno scambi di conoscenze, di metodologie e di risultati inerenti la ricerca (i) sugli effetti in termini di salute dei soggetti coinvolti nei percorsi di agricoltura sociale, (ii) sugli aspetti economici di tali percorsi e (iii) sulle politiche più adeguate a promuovere le buone pratiche e ad accompagnarne lo sviluppo.

Esperienze di agricoltura sociale “competitiva” in Italia

Diversamente dal caso olandese, nel nostro paese l’agricoltura sociale si è sviluppata muovendo dal mondo del sociale e non da quello agricolo. Il soggetto imprenditoriale che maggiormente caratterizza le realtà di agricoltura sociale in Italia è la cooperativa sociale di tipo B, una tipologia di impresa sociale alla quale la legge 381 del 1991 affida il compito di promuovere l’integrazione lavorativa di fasce di popolazione in condizioni di svantaggio.
I risultati dell’indagine sulla cooperazione sociale condotta dall’ISTAT nel 2003, rivelano l’esistenza, sul territorio nazionale di 471 cooperative sociali di inserimento lavorativo con attività agricole in Italia (ISTAT, 2006). Aldilà della forma imprenditoriale anomala rispetto alla stragrande maggioranza delle imprese agricole a conduzione familiare, le cooperative sociali agricole hanno saputo, in molti casi, coniugare felicemente il binomio agricoltura-sociale, valorizzando con modalità, spesso anche originali e innovative, il robusto legame territoriale derivante dalla natura sociale dell’impresa.
Pur nella diversità, rispetto al caso olandese, della forma giuridica dell’impresa, anche nel nostro paese i servizi di natura sociosanitaria, come l’accompagnamento a percorsi terapeutico-riabilitativi, o di carattere sociale, come l’inserimento lavorativo e l’inclusione sociale, vengono erogati in stretta concertazione con i servizi socio-sanitari territoriali e compensati dal settore pubblico sia con erogazioni dirette che con esenzioni da alcuni oneri sociali (5).
Le imprese sociali agricole sono in genere realtà fortemente integrate nel territorio, inteso come insieme di istituzioni pubbliche e delle strutture sociali ed economiche. Da ciò l’impresa agri-sociale “virtuosa” ne trae evidenti vantaggi competitivi che riescono a compensare anche i costi di transazione non indifferenti, che in alcuni casi implica la dimensione multifunzionale dell’impresa agricola.

Alcune considerazioni per future linee di ricerca

La consapevolezza che i legami territoriali possano tradursi da generatori di vincoli ad opportunità di sviluppo sta progressivamente crescendo tra gli imprenditori agricoli.
Il caso dell’agricoltura sociale può rappresentare un efficace esempio, seppure ancora limitato rispetto alle sue potenzialità, di connessione con il sistema locale da parte di imprese agricole. Simili tendenze si possono sviluppare anche con altre attività che si vanno diffondendo nelle imprese agricole per le quali il rafforzamento dei rapporti con il territorio e con la comunità locale che lo abita è fonte di un vantaggio competitivo.
Queste tendenze e nuove prospettive della multifunzionalità agricola sollevano alcune questioni alle quali la ricerca ed il dibattito tra gli attori del sistema agricolo dovrebbero dedicare attenzione.
Una prima questione riguarda la dimensione economica del mercato a livello locale, al fine di valutare quali spazi sussistano e per quali tipologie imprenditoriali. Si tratta di un passaggio non banale, dal momento che sovente la domanda locale di beni e servizi per le imprese agricole del territorio è una domanda non completamente esplicitata. Inoltre, per tentare, anche se in prima approssimazione, di quantificare tale domanda, occorre chiarire in modo più circostanziato cosa si intenda per “locale”, questione spinosa che esula dalle finalità di questa nota. Appare ragionevole immaginare che per diversi beni e servizi la dimensione territoriale dell’orizzonte “locale” possa essere differente. Nel caso, ad esempio, dell’agricoltura sociale, la possibilità che l’impresa agricola sia luogo di accoglienza e inclusione di soggetti a vario titolo svantaggiati deve fare i conti con l’accessibilità dell’azienda e il suo grado di isolamento.
Un’altra questione concerne le modalità affinché si crei l’incontro tra la domanda locale di beni e servizi e l’offerta da parte del sistema imprenditoriale agricolo. L’esistenza di una domanda locale che può essere soddisfatta, in tutto o in parte, dalle imprese agricole è una condizione necessaria ma non sufficiente per generare l’incontro con un’offerta potenziale. Vincoli e vischiosità di varia natura incidono, com’è noto, sulla velocità dei processi di adeguamento del sistema delle imprese agricole. Quella che potremmo definire la “sfida locale” dell’impresa agricola sovente implica una capacità da parte dell’imprenditore di muoversi su ambiti assolutamente nuovi e di interagire con interlocutori che tradizionalmente non hanno una capacità di stabilire relazioni con le imprese agricole, com’è appunto il caso dei servizi di welfare locale. Questo aspetto richiama la questione del bagaglio di competenze e capacità professionali dell’imprenditore multifunzionale, un tema che non appare ancora adeguatamente considerato nell’azione delle organizzazioni e delle istituzioni del mondo agricolo e nel più generale dibattito sul futuro dell’impresa agricola.

Note

(1) Un’efficace rassegna di realtà produttive innovative in agricoltura è presentata nel volume “Novità in Campagna. Innovatori agricoli nel sud d’Italia” curato da Roberto Scettri (Roma, 2001).
(2) Su questi aspetti dell’agricoltura olandese si veda il recente volume di Jan Van Der Ploeg recensito da Ada Cavazzani nel numero 7 di Agriregionieuropa.
(3) Per maggiori informazioni: [link]
(4) Le COST Action sono azioni promosse dall’Unione Europea, ma estese anche a paesi non aderenti, con la finalità di promuovere cooperazione scientifica e tecnologica su temi particolarmente innovativi. Per maggiori informazioni sulla COST Action “Green Care in agriculture” si veda il sito: [link]
(5) Se e in che misura tali compensazioni siano congrue rispetto al valore sociale dei servizi prodotti è una questione ampiamente dibattuta nell’ambito della cosiddetta economia sociale e che esula dalle finalità di questa nota.

Riferimenti bibliografici

  • Carbone A., Gaito M., Senni S. (2007), “Consumers’ Buying Groups in the Short Food Chains: Alternative for Trust”, International European Forum on Innovation and Systems Dynamics in Food Networks, Innsbruck-IGLS (Austria), 15-17 febbraio.
  • Cavazzani A. (2005), “Lo sviluppo rurale come superamento della modernizzazione agricola”, Agriregionieuropa n. 7 [link]
  • Di Iacovo F. (a cura) (2003), Lo sviluppo rurale nelle aree rurali, Franco Angeli, Milano
  • Fonte M., Agostino M. (2006), “Il legame dell'impresa agricola con il territorio come fattore di competitività”, Agriregionieuropa, n. 5 [link]
  • ISTAT (2006), Le cooperative sociali in Italia. Anno 2003, collana Informazioni n. 30, Roma.
  • Senni S. (2005), “L’agricoltura sociale come fattore di sviluppo rurale”, Agriregionieuropa n. 2 [link]

 

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