Orti urbani, rooftop e vertical farm, community garden: è agricoltura urbana?

Orti urbani, rooftop e vertical farm, community garden: è agricoltura urbana?
a Università del Molise, Dipartimento di Bioscienze e Territorio

Introduzione

Il titolo nasce dalla interessante domanda posta da un economista agrario ad un architetto progettista, dopo aver collaborato entrambi con un architetto regista, per la scrittura di un documentario dal titolo “Radici nel cemento - Agricoltura in città” (Rai Expo - Experia - [Link]) per Expo di Milano 2015. L’obiettivo è stato quello di recuperare una occasione sostanzialmente perduta da questa Esposizione Universale, lanciando un messaggio per il dopo Expo. È giunto il momento di riflettere su tendenze e mode che in questi ultimi anni, confusamente affollano le cronache, la letteratura, la rete e tutti i media, e che spesso vengono ascritte nella sempre più ampia categoria della “agricoltura urbana”. Se le città hanno sempre raggiunto le aree agricole, ora l’agricoltura sembra penetrare nelle aree urbane più interne, per fini speciali e quasi emergenziali, ma questa rappresentazione può essere anche ribaltata: la città stessa è concettualmente e storicamente una specializzazione dell’agricoltura, se è accettabile l’interpretazione che circa 10.000 anni fa, grazie all’agricoltura siano potute nascere le prime città. Questa origine ha risuonato simbolicamente anche in epoca moderna negli orti di guerra, più per propaganda che per reale necessità, ma forse anche oggi, non per la guerra né per le paludi, dobbiamo attingere ancora da quelle memorie ancestrali per rileggere nel verde urbano, non solo il disegno di un decoro recitato da una natura più o meno addomesticata, ma anche quella che chiamiamo e invochiamo come rete ecologica urbana.
Il cosiddetto rammendo delle periferie, invocato fin dagli anni ’80, può trovare nell’agricoltura urbana gli strumenti per dare sostanza biologica a corridoi e buffer delle reti ecologiche?
In un paese come il nostro, la demolizione è una chimera di costruttori e imprenditori ed uno spettro per i veri azionisti di maggioranza del patrimonio costruito esistente: i piccoli proprietari immobiliari. Solo un severo reverse engineering urbano (ingegnerizzazione inversa della città) può delineare strategie di intervento sistemiche utili anche all’agricoltura urbana in tutte le sue declinazioni per attuare alla scala edilizia, non interventi simbolici nei vuoti rimasti a terra, ma un processo di trasformazione e adeguamento sui corpi edilizi esistenti per la rinaturalizzazione della cosiddetta “crosta urbana”.
È necessario sviluppare metodiche capaci di visualizzare la città come sistema tra il pieno costruito ed il suo controcalco vuoto, un sistema di vuoti, trasformabili da una infrastruttura esoscheletrica: una “seconda pelle edilizia” che a macchia di leopardo faccia nascere una nuova rete urbana per la “connettività ecologica”.
 


1. United Roofs, eco cluster cooperation - Networking rooftop farms for autopietic and resilient glocalopolis
Stefano Panunzi, Roma 2010 [Link]
2. Exoskeletal Urbanism - Kurt Marsh, NY 2013 [Link]
3. Navy Yard Rooftop Farm - Brooklyn Grange, NY 2010 [Link]
4. 25 Verde - Luciano Pia, Torino 2012 [Link]

Disegno tanto complesso quanto globale, attuabile con le risorse di chi?

Ormai soprattutto con la convenienza dei proprietari stessi con soluzioni che provochino l’immediato innalzamento del valore immobiliare, della qualità della vita e dei servizi, soprattutto nelle periferie più dense, piuttosto che incentivi o imposizioni normative in nome della sicurezza. Il salvataggio ambientale e sanitario delle aree densamente urbanizzate è una situazione emergenziale che richiede sia nuove specializzazioni dell'agricoltura, sia una serie di modificazioni fisiche, infrastrutturali e sociali delle città. Se la più generica definizione di agricoltura è ancora “coltivazione di specie vegetali a scopo alimentare e non” da un punto di vista strettamente scientifico disciplinare possono essere considerate solo specializzazioni in ambito urbano con scopi molto diversi dalla semplice alimentazione. Ma se sono sentite come insostenibili invasioni di campo, si dovrebbe dire che non è agricoltura. Questo mio contributo non può che essere quello di un architetto che abbozza le modificazioni che l'architettura e la città devono sperimentare per accogliere queste nuove specializzazioni dell'agricoltura: orti urbani, rooftop e vertical farm, community garden. Forse sarebbe più corretto dire che in questo caso l’agricoltura è un mezzo per superare le difese di un sistema urbano depresso che non sa più reagire per rigenerare la vitalità del proprio tessuto, non solo edilizio ma anche sociale. Come accade per ogni innovazione bisogna scoprire qual è la strategia per superare le resistenze naturali al cambiamento, le crisi di rigetto. Per consumare meno suolo è necessario trasformare l’esistente secondo una visione sistemica che possa agire in modo capillare nel corpo denso e costruito del tessuto urbano. Solo lo sfruttamento intelligente delle reti infrastrutturali esistenti può consentire di agire in profondità. Il principale motore di traino per supportare questa azione è sicuramente l’urgenza degli aggiornamenti necessari al patrimonio edilizio esistente in termini di sicurezza e risparmio per la sostenibilità. Visti i margini operativi molto ristretti per la trasformabilità del patrimonio edilizio esistente è più che opportuno continuare a sviluppare metodiche di ingegnerizzazione inversa applicate agli assetti urbani esistenti (Urban Reverse Engineering).

Mode da consumare e occasioni da sfruttare

Torniamo alle parole chiave del titolo: orti urbani, rooftop e vertical farm, community garden, agricoltura urbana. Emerge in modo evidente quanto community garden e orti urbani siano fenomeni caratterizzati prima di tutto come fatto sociale, come nel secolo scorso lo furono i victory garden o gli “orti di guerra della I e II guerra mondiale, ma come lo è stato prima della rivoluzione industriale in qualunque conurbazione storica del passato. Se l’agricoltura ha storicamente preceduto e fondato la stanzialità urbana è chiaro che quest’ultima è sempre stata una sua aggettivazione, una sua specializzazione. Gli studi che inquadrano fenomeni come gli orti urbani ed i community garden sono spesso legati alla sociologia ed all’economia, mentre i temi delle rooftop e vertical farms costituiscono sicuramente una declinazione più tecnologica e architettonica di fenomeni analoghi. La definizione anglosassone le qualifica come “fattorie pensili” da installare con sviluppo orizzontale sui tetti e verticale su facciate o con appositi edifici multipiano. In questo caso parliamo necessariamente di veri e propri apparati tecnologici come serre e contenitori di nutrienti per lo sviluppo vegetale. La moda green aveva da tempo promosso tetti e facciate verdi, senz'altro scopo che quello della mitigazione termica e l’assorbimento degli inquinanti. Ma non si possono tenere sullo stesso piano tetti e facciate, perché mentre i green roofs hanno effettivamente trovato un sviluppo efficacie soprattutto in ambito nord europeo, al contrario la difficoltosa manutenzione delle facciate ha lasciato solo esempi da rivista patinata per lo status symbol di multinazionali e grandi società. È interessante notare che rispetto al semplice green la declinazione utilitaristica della piccola produzione alimentare, non solo quindi del semplice presidio ambientale, sembra aver trovato sempre maggior interesse presso un tessuto sociale molto più ampio anche geograficamente, innestandosi facilmente sulle più antiche culture urbane mediterranee.
 


1. Expo 2015 - Rai Experia, premiazione studenti Unimol del corso di progettazione architettonica - Stefano Panunzi Milano 2015 [Link]
2. Mediterranean Waterfront, eco cluster cooperation - Stefano Panunzi 2010 [Link]
3. Corviale Rooftop Lab, convenz. Ater Roma (Azienda Territoriale Edilizia Residenziale Roma) e Unimol - resp. scient. Stefano Panunzi 2013 [Link]
4. Riuso 01 - premio concorso internazionale di rigenerazione urbana sostenibile Consiglio Nazionale Architetti – Stefano Panunzi, coll. C.Carluccio e M.Tartaglia – Festarch Festival Internazionale di Architettura, Perugia 2012 [Link]

Reti ecologiche per la bonifica della “crosta urbana”

È azzardato ed eccessivo dire che oggi una delle missioni dell’agricoltura è la bonifica della “crosta urbana”? Vale la pena ricordare l’attenzione per l’agricoltura urbana da parte dell’Onu e della Fao, nonché gli sforzi di auto mappatura del fenomeno, per testimoniarne i recenti notevoli incrementi anno dopo anno.
Non direi che sia un azzardo definirla bonifica, se questo nome può chiarire in modo immediato e divulgabile la missione e gli ambiti operativi di queste nuove declinazioni dell’agricoltura per la città. In fondo il concetto ed il progetto stesso di bonifica è insito nel disegno delle infrastrutture del territorio agrario fin dalle origini e nella nostra penisola vanta una rilevantissima tradizione secolare, storicizzata e ben nota agli studiosi. Le reti infrastrutturali necessarie alla bonifica sono concettualmente e processualmente analoghe a quelle che sarebbero necessarie alla rigenerazione delle superfici impermeabili e sigillate delle aree urbane: infrastrutture primarie di supporto (strutturali e impiantistiche) ed infrastrutture secondarie per la produttività delle nuove superfici (supporti e contenitori). Il latifondo di cemento dei tessuti urbani ha ormai sigillato irrimediabilmente il suolo naturale, ma paradossalmente proprio l’edilizia intensiva dei quartieri ultradensi è costituita da organismi edilizi che moltiplicando suoli artificiali sovrapposti hanno consumato meno suolo naturale rispetto allo sprawl (sviluppo estensivo sparso) delle lottizzazioni estensive di palazzine e villini.
L’edilizia in Italia, rappresenta ancora un mercato fondamentale del lavoro e degli investimenti famigliari e non può certo essere bloccata, in quanto componente primaria di un modello economico dominante, ancora troppo poco resiliente per non generare dannosi rigetti. Lo stesso si può dire dell’innovazione tecnologica delle energie rinnovabili e del risparmio energetico. Si è potuto vedere come l’incentivazione di stato non consente l’attecchimento di un autentico tessuto imprenditoriale. Il convitato di pietra dei buoni propositi dell’ecosostenibilità rimane la galassia della piccola proprietà immobiliare che congela milioni di metri cubi in condomini di ogni caratura.
Gli innovatori di ogni epoca sono sempre riusciti ad evitare la crisi di rigetto innestando l’invenzione all’interno di un sotto-sistema preesistente, ammorbidendo di fatto l’obsolescenza procurata dall’innovazione, nascondendola nelle fattezze della miglioria di un semplice componente, che solo con il passare del tempo avrebbe manifestato tutta la latenza di un’autentica rivoluzione strutturale.
La rete ecologica deve essere concettualmente e tecnologicamente trattata come tutte le reti, quindi i suoi problemi principali deriveranno sempre dalla sua natura infra-strutturale ovvero il suo cablaggio fisico nel tessuto urbano esistente. Un vero esempio di scuola è la vicenda di Edison che dal 1878 al 1883 studia e brevetta l’inserimento dell’illuminazione elettrica nel sistema urbano di New York recuperando le condutture dell’esistente sistema di distribuzione dell’illuminazione a gas. Un altro aspetto delicato è l’essenza di ogni innovazione/invenzione di sistemi a rete: la concatenazione di invenzioni interagenti a grappolo condivise a diverse scale. Forse non è un caso che sia ancora Manhattan a guidare la sfida con il suo Green Infrastructure Plan [Link] municipale (2010), sovraordinato agli stessi strumenti urbanistici.

Esoscheletri edilizi come infrastruttura urbana ecosistemica


1. Tesi - Ing. Costantino Carluccio, Dottorato in Scienze dell’Ingegneria - Università Politecnica delle Marche e Università del Molise 2010/201 [Link]
2. Progettazione Architettonica II anno, progetto F.M.Dario - Corso di Laurea Triennale Ingegneria Edile - Università del Molise 2013 [Link]
3. Progettazione Architettonica II anno, progetto R.Cipriano - Corso di Laurea Triennale Ingegneria Edile - Università del Molise 2014 [Link]
4. Tesi Progettazione Architettonica di V.Zaccari e M.Quercio - Corso di Laurea Triennale Ingegneria Edile - Università del Molise 2014 [Link]

L’elemento chiave del mio contributo è l’esoscheletro autoportante multifunzionale. La sua funzione sistemica è analoga a quella di un ponte di collegamento indispensabile per il rammendo delle smagliature nelle reti ecologiche urbane, per intensificare la connettività ecologica per la biodiversità, ma anche una nuova interfaccia multifunzionale tra città, edificio, appartamenti, stanze, in condomini che non saranno mai l’utopica comunità arcadica sognata dagli ecologisti, ma sarebbe sufficiente che fossero azionisti consapevoli di un patrimonio immobiliare che potrebbe produrre, non solo tassazione e bollette, ma anche lavoro e salute per chi ci abita.
Immaginate un condominio giunto ad un livello di degrado tale da dover deliberare lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria: riunioni boicottate senza maggioranze legali, obblighi normativi di adeguamento, impossibili prestiti bancari, fantasiosi preventivi pilotati, slanci pindarici per innovazioni dagli incentivi improbabili, vecchi amministratori smaliziati e giovani amministratori rampanti … insomma l’inferno più indisponente che chiude il salvadanaio e stacca la spina anche ai cervelli più illuminati ed agli animi più volenterosi.
Su questo scenario pensate al ponteggio che comunque deve essere costruito attorno all’edificio, ma invece di un fastidio necessario trasformatelo in un regalo straordinario e permanente per ogni appartamento dell’edificio, anzi per ogni singola stanza … un ampliamento funzionale verso l’esterno, a qualunque piano si trovi. Ma non basta, ogni appartamento riceverà anche un lotto produttivo privato in copertura, per un giardino pensile, una serra ed un mini fablab.
Quanto, come e perché, lo spiegheranno ricerche dell’ultimo decennio, fin’ora isolate in molti gruppi universitari, formati sempre da team di architetti e ingegneri (Politecnici di Torino e delle Marche, le università del Molise, Brescia, Bergamo, Trento, Firenze) che presto convergeranno in un convegno internazionale che sarà promosso dall’ateneo molisano. Pur nei limiti di questo articolo ritengo interessante, offrire prima delle conclusioni, uno stringatissimo elenco di riferimenti per una soluzione tecnologica tanto interdisciplinare quanto emergente.
L’esoscheletro si presenta come una vera e propria infrastruttura al servizio dell’edificio esistente, costituita da un telaio autoportante e multifunzionale che avvolge completamente facciate e copertura, senza entrare in contatto strutturale con esso, si adatta come un guanto alla sua forma con uno spessore abitabile e attrezzabile. In questo modo l’edificio, continuando ad essere abitato, disporrà in modo permanente di una sorta di ponteggio che oltre ad essere immediatamente sfruttabile, sia come ampliamento funzionale in facciata per le stanze degli alloggi, sia come lottizzazione produttiva e riproduttiva in copertura, consente progressive trasformazioni dell’esistente per ogni tipo di adeguamento: impiantistico, antisismico, rigenerativo, antincendio, energetico, abitativo e produttivo.
I telai possono essere in diversi materiali (ferro, legno, cemento, bamboo) e possono ospitare, oltre ad ogni tipo di impiantistica, anche moduli prefabbricati e su misura per mini-stanze di ampliamento abitativo o in copertura per mini-laboratori artigianali (tradizionali e innovativi), serre fotovoltaiche, giardini e orti pensili.

  • Smart City & Community - Le attività che si possono sviluppare negli ambiti condominiali sono le più varie, tutte riconducibili a filiere dell’ecosostenibilità di grande interesse nel comparto della green-economy, ormai ampiamente supportate da interessi industriali, finanziari e comunitari.
  • Rooftop Farm - rigenerazione di superfici impermeabili di copertura con verde pensile per produzione alimentare in terra (orti) e senza terra (serra idroponica), per mitigazione termica (isola di calore e dispersione invernale), per assorbimento delle polveri sottili, per assorbimento e raccolta delle acque piovane (riciclo e bomba d’acqua).
  • Reuse - Riuso di acque (piovane e grigie) e rifiuti (organici e materiali riciclabili) a scala condominiale (alimentazione del ciclo del tetto produttivo).
  • FabLab Kmo - Mini laboratori per servizi artigianali a KM0, tradizionali e innovativi, di riparazione e modificazione (abiti, elettrodomestici, elettronica, cucina, manutenzione).
  • Telepresence - Assistenza a distanza (sanitaria e formazione).
  • Monitoring - Monitoraggio e rappresentazione dinamica di tutti i cicli di consumo e produzione nell’edificio, delle condizioni di sollecitazione strutturale e ambientale (sensoristica e reti di comunicazione).
  • Energy - produzione di energia rinnovabile (serre e pergole fotovoltaiche, microeolico, etc.).

1. Esoscheletri adattivi - Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e Matematica - Università di Brescia e Dipartimento di Ingegneria e Scienze Applicate - Università di Bergamo, 2014 [Link]
2. Rigenerazione Erap - Dipartimento di Costruzioni, Architettura e Strutture - Università Politecnica delle Marche, 2013 [Link]
3. Sopraelevazione SuRe-Fit - progetto di ricerca europeo - Comune di Firenze e Università degli Studi di Firenze, 2008 [Link]
4. Smart Building Torino - Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino, 2011 [Link]

Conclusioni

Tutti questi fenomeni sono declinazioni speciali dell’agricoltura, applicati al corpo sociale urbano ed alla struttura fisica della città. Insieme rappresentano oggi un vivacissimo recupero culturale dell’aspetto più autentico e vitale del rapporto con la natura, proprio nei luoghi artificiali per eccellenza ad ogni latitudine: le periferie metropolitane. Perché questo slancio non si spenga come semplice moda, ma possa invece marcare un’autentica integrazione durevole nelle diverse culture urbane, deve suscitare risposte tecnologiche adeguate e sostenibili soprattutto nella compagine urbana più consistente: i tessuti residenziali, in particolare quelli ultradensi delle periferie metropolitane. L’Italia può costituire un terreno di sperimentazione di grande interesse per la tendenza globale all’inurbamento, soprattutto per due motivi speciali e non banali: siamo al centro di una cultura mediterranea millenaria, abbiamo il problema di una convivenza con il fenomeno sismico. La cultura mediterranea ha sempre saputo coniugare l’agricoltura con la città, la soluzione del problema sismico deve portare in primo piano la rigenerazione e l’adeguamento del patrimonio residenziale esistente. Gli esempi realizzati con esoscheletri, soprattutto in Francia ed in Olanda, per le politiche di recupero e rigenerazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica, non possono essere importati nelle aree a rischio sismico come le nostre, ma sono un innesco concettuale per ripensare questa nuova infrastruttura sia da un punto di vista ingegneristico, ma anche come formidabile supporto a nuovi interessi dei residenti. Quindi la risposta qui suggerita alla domanda del titolo può essere: orti urbani, rooftop e vertical farm, community garden andrebbero incoraggiati nel loro insieme come motore sociale ed economico per il recupero e la rigenerazione urbana, ma devono essere raccolti da un lavoro capillare di infrastrutturazione progressiva del patrimonio immobiliare residenziale esistente. L’esoscheletro multifunzionale autoportante può diventare uno strumento chiave, una infrastruttura ecosistemica da sperimentare sia nell’ambito di ricerca universitaria, sia in quello delle start-up di tutta la filiera tecnologica legata al concetto di smart city & community. Alcune leggi ci sono già, dal Piano Casa a quella sul Verde Pensile (L.10 14/1/2013), che insieme a quella della riforma dell’istituto giuridico condominiale (L.220 11/12/12) possono offrirsi come un primo nucleo normativo per un piano strategico di attuazione.

Riferimenti bibliografici

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  • Panunzi S. (2005), Next Housing, su Quaderno di ricerca e progetto - Riflessioni sull’abitazione contemporanea, Gangemi, Roma

  • Panunzi S. (2011), Urban Reverse Engineering, Il progetto di architettura fra didattica e ricerca, in atti del I° Congresso Internazionale della Rete Vitruvio (Rete Interuniversitaria Italiana Icar 14-15-16), PolibaPress, Bari

  • Panunzi S. (2012), Architetture viventi, su La Nuova Ecologia, Aprile 2012 n.4, Roma

Siti di riferimento

  • Agricoltura Urbana e Smart City [Link]

  • Upgrading Public Housing [Link]

  • Urban Reverse Engineering [Link]

  • Next Housing [Link]

  • Micro chirurgia e trapianti per la cura vascolare del tessuto urbano [Link]

  • Il livello di consapevolezza sull’esistente [Link]

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