La simbiosi industriale come applicazione dell’economia circolare in agricoltura

La simbiosi industriale come applicazione dell’economia circolare in agricoltura
a Università degli Studi della Tuscia, Dipartimento di Economia e Impresa (DEIM)
b ENEA
c Università degli Studi della Tuscia, Dipartimento Economia e Impresa

Introduzione

Il perseguimento dell’obiettivo dell’efficienza nell’uso delle risorse passa dalla transizione dall’attuale modello lineare di produzione a un modello alternativo di tipo circolare. L’UE ha tracciato, nel luglio di quest’anno, alcuni fondamentali indirizzi strategici in cui la simbiosi industriale è individuata come uno strumento di policy particolarmente utile per il raggiungimento di tale innovazione (European Commission, 2014b). In particolare, questo nuovo campo di ricerca interdisciplinare, puntando alla condivisione di risorse tra imprese di settori tradizionalmente separati, vuole evitare che i sottoprodotti di un’azienda, potenzialmente utilizzabili per scopi produttivi da altre imprese, possano diventare rifiuti.
La transizione verso un modello di economia circolare è una questione che si pone, in maniera rilevante, anche per il settore agricolo. Infatti, anche se l’agricoltura tradizionale incorporava già il riutilizzo ciclico dei suoi sottoprodotti, l'agricoltura industriale che si è sviluppata negli ultimi decenni è diventata molto più lineare, consumando materiali e smaltendo rifiuti (Chertow, 2000).
In questa nota, anche attraverso la descrizione di alcuni casi di successo di simbiosi industriale che interessano il settore agricolo, si vuole evidenziare in che modo questo nuovo approccio possa contribuire a un utilizzo più efficiente delle risorse naturali e, nello stesso tempo, a favorire un incremento della competitività delle imprese agricole.

Verso un’economia circolare nella UE: la simbiosi industriale

Nell'ambito della strategia Europa 2020, l’UE ritiene che la transizione verso un’economia circolare sia di fondamentale importanza per il raggiungimento di una maggiore efficienza complessiva delle risorse (European Commission 2010; 2011). Ciò rappresenta uno dei principali volani della competitività delle imprese europee, tenuto conto dell’alta incidenza che le materie prime hanno sui costi complessivi dell'industria manifatturiera; al riguardo si ritiene che, nel vecchio continente, tale incidenza si aggiri mediamente attorno al 40% e che possa raggiungere il 50% se si sommano anche i costi per l’energia e l’acqua (Europe Innova, 2012). E’ stato valutato, infatti, che se le industrie europee riuscissero a implementare un sistema produttivo di tipo circolare si potrebbe realizzare un risparmio complessivo di quasi 500 miliardi di euro l’anno, cui si ricollegherebbe una minore necessità di input materiali (riduzione del 17%-24% entro il 2030) e un incremento del Pil della UE prossimo al 4% (Europe Innova, 2012; Meyer et al., 2011).
Per la Ellen MacArthur Foundation, con il termine economia circolare si intende un’economia che possa rigenerarsi da sola attraverso due diversi tipi di flussi di materiali: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati a essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera (Ellen Macarthur Foundation, 2012). Mentre in un’economia lineare si configura un sistema economico in cui le risorse naturali sono utilizzate come input nei processi di produzione e di consumo, per poi essere reimmesse, in parte, nell’ambiente come rifiuti, in un’economia circolare i processi di produzione e di consumo devono essere in grado di riutilizzare, riparare, riciclare e rimettere a nuovo i materiali e i prodotti esistenti, al fine di limitare al minimo l’utilizzo di nuove risorse naturali (Figura 1).

Figura 1 - Sistema economico circolare

A conferma dell’importanza strategica che questo tema sta assumendo a livello internazionale, nel luglio del 2014 l’allora commissario europeo per l'ambiente Janez Potočnik, ha evidenziato come “nel XXI secolo, caratterizzato da economie emergenti, milioni di consumatori appartenenti alla nuova classe media e mercati interconnessi, si utilizzino ancora sistemi economici lineari ereditati dal XIX secolo. Se vogliamo essere competitivi dobbiamo trarre il massimo dalle nostre risorse, reimmettendole nel ciclo produttivo invece di collocarle in discarica come rifiuti. Il passaggio a un’economia circolare, oltre ad essere possibile, è redditizio, ma non avverrà senza le politiche giuste. Per realizzare gli obiettivi proposti per il 2030 bisogna agire da subito per accelerare la transizione verso un’economia circolare e sfruttare le opportunità commerciali e occupazionali che offre” (European Commission, 2014a, p. 1).
Nell’ultimo periodo, l’UE ha presentato numerose iniziative per la transizione verso questo nuovo paradigma e, nella sua strategia per passare a un’economia circolare a rifiuti zero, ha individuato diversi strumenti fra i quali vi è quello di favorire l’implementazione di percorsi di simbiosi industriale (European Commission, 2014b).
La simbiosi industriale è una branca di un nuovo campo di studi interdisciplinare, denominato, ecologia industriale (Chertow, 2004). Considerata come la scienza della sostenibilità (Allenby et al., 1999; Ehrenfeld, 2004), l’ecologia industriale trova le sue origini nel 1989, anno in cui Frosh e Gallopoulos con l’articolo Strategies for Manufacturing, affermano che “il modello tradizionale di attività industriale - in cui i singoli processi produttivi prelevano materie prime e generano prodotti da vendere più rifiuti da smaltire - deve essere trasformato in un modello più integrato: [cioè] un ecosistema industriale” (Frosh e Gallopoulos, 1989, p.144).
All’interno dell’ecologia industriale, la simbiosi industriale indaga le relazioni esistenti tra i sistemi industriali e il loro ambiente naturale (Chertow e Park, 2011). In particolare, con il termine simbiosi industriale si identificano gli scambi di risorse tra due o più industrie dissimili, intendendo con risorse non solo quelle materiali (sottoprodotti o rifiuti), ma anche energia termica di scarto, servizi, competenze. Si tratta cioè di una strategia per la chiusura dei cicli delle risorse e l´ottimizzazione del loro uso all’interno di uno specifico ambito economico territoriale (Cutaia e Morabito, 2012) attraverso la collaborazione tra le diverse imprese basata sulle possibilità sinergiche offerte dalla loro prossimità geografica/economica (Chertow, 2000; Lombardi e Laybourn, 2012)
I principali mezzi con cui si realizza la simbiosi tra imprese sono (Chertow et al., 2008):

  • la condivisione di utility e infrastrutture per l’utilizzo e la gestione di risorse, come il vapore, l’energia, l’acqua e i reflui;
  • la fornitura congiunta di servizi per soddisfare bisogni accessori comuni alle imprese connessi alla sicurezza, all’igiene, ai trasporti e alla gestione dei rifiuti;
  • l’utilizzo di materiali tradizionalmente intesi come scarti o sottoprodotti in sostituzione di prodotti commerciali o materie prime.

In analogia a quanto avviene negli ecosistemi, attraverso la riduzione dei rifiuti alla fonte e la creazione di legami di chiusura dei cicli, la simbiosi industriale cerca di disegnare un sistema industriale caratterizzato da rapporti di interdipendenza funzionale in cui i prodotti di scarto di una linea di lavoro diventano un prezioso input per le altre linee. In questo modo, si viene a configurare un sistema produttivo circolare, in cui scompare il tradizionale concetto di rifiuto, poiché “i materiali oggetto di scambio… non sono mai rifiuti in nessun momento della loro esistenza, ma sempre beni economici” (Di Fidio, 1995, p. 13).

Alcuni casi di simbiosi industriale nelle filiere agroalimentari

Per implementare azioni di simbiosi industriale volte a realizzare un’economia circolare, bisogna considerare il sistema economico nelle sue interconnessioni tra fase di produzione e di consumo. Si tratta di verificare se sussistano le condizioni per porre in relazione sinergica differenti processi industriali, individuando le modalità più opportune per trasformare gli scarti e i rifiuti di un’industria in materie prime secondarie per le altre (Franco, 2005).
La transizione verso un’economia di tipo circolare coinvolge, in misura significativa, anche il settore agricolo; infatti, come già detto, anche se l’agricoltura tradizionale incorporava il riutilizzo ciclico dei sottoprodotti, l'attuale modello di agricoltura industriale è diventato molto più lineare, consumando materiali e smaltendo rifiuti (Chertow 2000). Già nel 1927, l'economista agrario Rudolf Alexander Clemen metteva l’accento sulla redditività di numerosi sottoprodotti e rifiuti generati dalle colture agricole: in presenza di determinate condizioni essi, dal punto di vista della singola impresa, potevano diventare una fonte di reddito, anche più profittevole dei prodotti principali (Clemen, 1927).
A questo riguardo è possibile citare alcuni esempi di riutilizzo in agricoltura di residui di attività agroindustriali (si pensi, ad esempio, al siero di latte o ad alcune borlande) e, più, in generale, alla funzione rigenerativa che possono svolgere le risorse naturali, in questo caso il suolo agricolo, rispetto a scarti provenienti da processi industriali.
Tali progetti d’integrazione tra settore agricolo e attività industriali per sfruttare le potenzialità economiche dei sottoprodotti e ridurre, contemporaneamente, l’impatto ambientale dei processi produttivi, sono conosciuti con il nome di biosistemi integrati.
È di questo tipo il progetto Monfort Boys Town Integrated Biosystem realizzato a Suva nelle Fiji (Figura 2). L’obiettivo principale di questo progetto è di utilizzare in maniera eco-innovativa le trebbie da birra che, altrimenti, sarebbero state scaricate in mare, con grave danno per la barriera corallina. Attraverso l’applicazione di un percorso disegnato dall'Università delle Nazioni Unite, i rifiuti derivati dal processo di produzione della birra sono utilizzati come substrato per far crescere i funghi i quali vengono utilizzati per decomporre i rifiuti e trasformali in cibo ad alto valore per l’alimentazione dei maiali. I rifiuti generati dai suini o vengono trasformati attraverso un digestore anaerobico e convogliati in appositi stagni dove l'acqua ricca di nutrienti genera cibo per quattro livelli trofici di pesci oppure usati come fertilizzante per la coltivazione di ortaggi (Kane, 1997; Klee, 1999).

Figura 2 - Monfort Boys Town Integrated Biosystem nelle Fiji

Fonte: Robert Klee, Yale University

L’esperienza più conosciuta di simbiosi industriale che coinvolge il settore agricolo è molto probabilmente quella dell’area industriale di Kalundborg in Danimarca. In questa municipalità si sono realizzati, per la prima volta, in maniera sistemica, diversi percorsi di simbiosi industriale che hanno riguardato risorse come l’acqua, l’energia e una grande varietà di residui industriali che sono diventati materie prime secondarie per altri processi. È interessante evidenziare che questo ecosistema industriale non ha richiesto particolari strumenti di pianificazione, ma è stato realizzato mediante graduali, volontari ed economicamente redditizi accordi bilaterali che hanno coinvolto, dagli anni sessanta in poi, diverse imprese locali (una raffineria, una centrale elettrica, un impianto farmaceutico, un’attività di acquacoltura, l'amministrazione comunale, un produttore di pannelli di rivestimento e diversi produttori agricoli). È da rilevare che il divieto di smaltire flussi di rifiuti organici in discarica ha portato l'azienda farmaceutica Novo Nordisk, operante in quella località, a cercare accordi con le aziende agricole locali. Nello specifico, la produzione di enzimi a fini farmaceutici richiedeva la fermentazione di particolari componenti come la farina di patate o l’amido di grano, generando elevate quantità di fanghi ricchi di azoto, che sono state cedute come fertilizzanti agli agricoltori locali. Questa sinergia tra settore farmaceutico e agricolo ha evitato nel corso degli anni, che oltre un milione di metri cubi di fanghi da trattamento delle acque venissero smaltiti in discarica o a mare. Va comunque precisato che i rifiuti aventi natura prevalentemente organica (come l'effluente dalla fermentazione di prodotti farmaceutici o birra), così come i sottoprodotti agricoli o forestali, prima di essere utilizzati come mangimi o fertilizzanti devono essere opportunamente trattati (Ehrenfeld e Gertler, 1997; Franco, 2005).
Un’esperienza similare a quella danese è stata realizzata tra il 1978 e il 2006 a Barceloneta a Puerto Rico. In quegli anni, otto impianti chimici hanno costituito il Barceloneta Wastewater Advisory Council, che gestiva il Barceloneta Regional Wastewater Treatment Plant. Quest’accordo ha consentito un trattamento collettivo delle acque reflue provenienti da impianti industriali. I fanghi trattati sono stati utilizzati da un’azienda locale che produceva fieno. Attraverso questa sinergia si è evitato che 2/3.000 tonnellate di fanghi fossero annualmente smaltite in discarica (Ashton, 2009).
Sempre nell’isola di Puerto Rico, a Guayama, la Aes Corporation è coinvolta in diverse relazioni simbiotiche. L'impianto di 454 MW fornisce energia elettrica alla Puerto Rico Electric Power Authority e vapore a un impianto petrolchimico di proprietà della Phillips Petroleum Company. Poiché l’acqua dolce è una risorsa scarsa nell’isola e l'impianto richiede circa 5 milioni di litri di acqua al giorno, si è reso opportuno utilizzare tre differenti fonti di acqua reflua: acque reflue trattate, scarichi agricoli e acque industriali trattate da Phillips. Le strutture distano circa un miglio l'una dall'altra e le acque reflue hanno circa un decimo del costo delle riserve di acqua di pozzo. (Chertow, 2000).
È da rilevare che, nel settore della macellazione bovina, la simbiosi industriale offre diverse opportunità di valorizzazione delle elevate quantità e varietà di sottoprodotti e residui generati dai suoi processi (Raggi et al., 2009). Tra le esperienze più interessanti si può fare riferimento a una sinergia che ha visto coinvolte, in Gran Bretagna, la John Pointon & Sons Ltd (azienda che si occupa di trasformare una vasta gamma di sottoprodotti di origine animale) e un certo numero di produttori di cemento. È stato scoperto che la farina animale derivata dalle carni e dalle ossa rappresenta, grazie al suo elevato potere calorifico, un’ottima fonte di combustibile alternativo, adatto all’alimentazione dei forni dell'azienda di cemento. La combustione di questa farina, inoltre, genera significative quantità di sali di calcio, che possono essere utilizzati anche in sostituzione della materia prima. Questa nuova sinergia ha permesso di ridurre circa 280.000 tonnellate di CO2, di evitare lo smaltimento in discarica di 150.000 tonnellate di rifiuti e di creare nuovi posti di lavoro (Laybourn e Morrissey, 2009).
La valorizzazione energetica delle biomasse residuali di origine agricola, sia provenienti dalla raccolta di prodotti per uso alimentare, sia da processi produttivi agro-industriali, rappresenta un aspetto molto importante delle potenzialità che l’agricoltura ha nella produzione di energia verde. La rilevanza di tale pratica è dovuta ad almeno tre fattori (Chiodo e Nardella, 2011):

  • non entra in concorrenza nell’uso dei suoli con le produzioni alimentari;
  • risolve il problema di sottoprodotti che, se non sono disponibili per usi alternativi, rischiano comunque di dover essere smaltiti;
  • costituisce un’importate fonte di reddito, o attraverso un incremento dei ricavi (vendita dell’energia) o attraverso risparmio di costi (autoconsumo dell’energia prodotta).

In questo campo, in Italia, è possibile ricordare la virtuosa collaborazione che si è istaurata tra Herambiente (controllata del gruppo Hera) e l'azienda vinicola Caviro (produttrice del noto Tavernello). Queste società hanno siglato una partnership per la costituzione di una società di scopo, la Enomondo srl, finalizzata alla gestione di un impianto di combustione a biomasse situato presso il sito produttivo della Caviro di Faenza. L’impianto, alimentato a biomasse solide per complessive 140.000 tonnellate annue e con una potenza istallata di 13,7 MW, permette la termovalorizzazione di sfalci e potature del territorio e di altre componenti organiche, il cui ritiro e smaltimento sono garantiti dalla Herambiente. Questa sinergia ha generato benefici non indifferenti, in quanto permette la produzione di energia verde per oltre 29.000 famiglie ed un risparmio di circa 35.000 tonnellate annue di emissioni di CO2 (Catani et al., 2012).

Considerazioni conclusive

La riconversione in senso circolare dell’attuale sistema economico basato su processi di produzione lineare, sarà senza dubbio una delle sfide che l’UE dovrà affrontare nei prossimi decenni per accrescere la sua competitività a livello internazionale. Il settore agricolo, in quanto parte rilevante dell’economia europea, non potrà non essere uno dei protagonisti di questo cambiamento di paradigma. In tale direzione la simbiosi industriale, come emerge dai casi descritti in questa nota, può rappresentare una policy industriale di fondamentale importanza per raggiugere l’obiettivo di un impiego delle risorse più efficiente e sostenibile.
Il settore agricolo deve mostrarsi all’altezza di raccogliere questa sfida, riuscendo anche a cogliere le nuove opportunità di sviluppo che nei prossimi anni si apriranno nell’UE con riferimento a questi temi. La simbiosi industriale, ad esempio, sembra particolarmente capace di soddisfare contemporaneamente i tre orientamenti programmatici (competitività dell'agricoltura, gestione sostenibile delle risorse naturali e sviluppo territoriale equilibrato) su cui si baseranno le politiche di sviluppo rurale nel periodo 2014-2020.
È anche da rilevare che i Programmi di Sviluppo Rurale non sono l’unica opportunità che l’UE mette a disposizione del comparto agricolo per agevolare la transizione verso un’economia circolare. Le imprese e gli altri attori del settore primario potranno utilizzare anche altre risorse finanziarie destinate all’innovazione e all’occupazione; ci si riferisce, in particolare, alla dotazione dei fondi strutturali 2014-2020, alle opportunità offerte dai nuovi programmi comunitari (Horizon 2020, Cosme, Life, ecc.) e ai mezzi messi a disposizione dalla Banca Europea per gli Investimenti, dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, dai fondi pensionistici, dai fondi per il clima, dalle obbligazioni verdi e dai crowd-funding.
Si tratta, come appare evidente, di un ampio ventaglio di possibili interventi e di opportunità che possono consentire alla nostra agricoltura di puntare a un nuovo sviluppo capace di coniugare gli obiettivi di redditività con la preservazione e la valorizzazione delle risorse naturali.

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