Mappatura e performance delle aree italiane ad alta specializzazione agro-alimentare

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Mappatura e performance delle aree italiane ad alta specializzazione agro-alimentare

Introduzione

La rilevanza del sistema agro-alimentare nel panorama industriale italiano, la ricchezza di tradizioni, tecniche di produzione e risorse di cui si fa custode e le specificità dei modelli di sviluppo ci hanno spinto a cercare di identificare le principali aree di specializzazione, allo scopo di monitorarne l’evoluzione congiunturale.
L’agro-alimentare italiano è un sistema strettamente connesso alle realtà territoriali e al ricco tessuto di tradizioni, locali tecniche di produzione e risorse, in cui ogni territorio segue un proprio percorso di sviluppo, diversificato su base locale, animando quel fenomeno che la letteratura economica individua come “mosaic type of development1.
Il tentativo di mappare il sistema agro-alimentare italiano non vuole proporsi come una classificazione esaustiva del ricco e variegato tessuto industriale agro-alimentare italiano. La finalità della nostra attività di ricerca è l’individuazione di aree caratterizzate da una elevata specializzazione produttiva e con un buon grado di apertura ai mercati internazionali. La scelta di valorizzare le aree con una buona propensione all’estero ci offre la possibilità di monitorare congiunturalmente le dinamiche delle imprese distrettuali e dell’area di riferimento 2.Inoltre, nel contesto attuale, fotografare la competitività delle nostre imprese all’estero assume una valenza fondamentale, considerando il fatto che l’evoluzione del nostro tessuto produttivo sarà sempre più legata alla capacità di crescere sui mercati esteri (soprattutto extraeuropei a più alto potenziale di sviluppo).
Il presente articolo, estratto da un recente studio del Servizio Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo (2011), presenta la metodologia seguita per la definizione delle aree ad alta specializzazione dei distretti del settore agro-alimentare e fornisce le evidenze principali emerse dall’analisi delle performance delle imprese distrettuali, alla luce dei principali indicatori di bilancio.

La definizione delle aree ad alta specializzazione del settore agro alimentare: metodologia

Identificare e selezionare nella realtà i distretti industriali e agroalimentari a partire dalla definizione teorica non è un compito facile. Ne è una prova la proliferazione delle classificazioni e delle mappature che si sono susseguite negli ultimi decenni, da quelle realizzate dall’Istat a quelle di altri istituti di ricerca, associazioni, fino a quelle risultanti dalle definizioni ex-lege realizzate dalle regioni. Le differenze nelle varie classificazioni sono legate sia alla diversa definizione teorica a cui si fa riferimento (ad esempio ammettendo o escludendo il ruolo delle grandi imprese) sia allo scopo dell’esercizio di classificazione: statistico, di analisi qualitativa, per l’erogazione di finanziamenti e agevolazioni. In generale “è bene avere piena coscienza dei limiti intrinseci di qualsiasi classificazione territoriale, e di come essa possa avere un potere analitico, e ancor più, normativo, non esaustivo (Viesti, 2003) 3.
La nostra definizione dei distretti agro-alimentari si basa su criteri oggettivi a partire dai dati sulle unità locali, numero di addetti, indice di specializzazione, sulla presenza di un tessuto produttivo ricco di Pmi e di relazioni reticolari fra imprese, nonché sulla letteratura, sulle leggi regionali e sul “senso di appartenenza” e sulle informazioni fornite dalle diverse associazioni di categoria.
La mappatura, considerati i vincoli di disaggregazione territoriale dei dati, è stata definita in base alla specializzazione produttiva nei settori agroalimentari: agricoltura, industria alimentare e industria delle bevande.
La specificità dei settori e la differente disponibilità dei dati ci hanno condotto a seguire metodologie non univoche nell’individuazione dei distretti nel comparto dell’agricoltura e dell’industria alimentare e delle bevande.
Dopo aver individuato le province specializzate per addetti 4 per i differenti gruppi economici (Ateco 3 digit), i distretti alimentari dovevano superare questi criteri:

  • numero di addetti > 400;
  • numero di unità locali > 50;
  • totale export del settore per singola provincia > 100 milioni di euro. In alcuni casi, supportati dalla documentazione fornita dalle associazioni di categoria e dagli uffici statistici locali, abbiamo incluso nel panel dei distretti monitorati anche realtà che non soddisfano pienamente tale criterio 5.

Anche nel caso dell’agricoltura la variabile export ha giocato un ruolo importante nella selezione dei distretti: sono state infatti selezionate solo le province specializzate in termini di export 6. Il livello soglia definito per il settore agricolo è stato fissato a 50 milioni di euro, considerata la dimensione relativamente più contenuta dell’export di questo comparto. La scelta di questa variabile per il comparto agricolo ha comportato implicitamente la selezione di distretti fortemente export oriented penalizzando quelle realtà “forti” esclusivamente sul mercato interno: la volontà di monitorare l’andamento trimestrale dei flussi commerciali all’estero ci ha portato ad escludere aree ad alta specializzazione con una bassa vocazione all’export. Tuttavia le ricerche e le statistiche fornite da associazioni di categoria locali e da diversi enti di ricerca presenti sul territorio, in attesa dei dati definitivi del 6° Censimento generale dell’agricoltura, hanno fornito un ulteriore supporto alla nostra scelta: la selezione dei distretti agricoli da noi effettuata trova un riscontro nei dati legati alla superficie agricola utilizzata, produzioni prevalenti, occupati e riconoscimenti di qualità 7.
Inoltre l’analisi del tessuto industriale locale ha offerto un ulteriore supporto nella definizione dei confini dei distretti agricoli: utilizzando la base dati dei bilanci a disposizione del Servizio Studi e Ricerche abbiamo analizzato le imprese e i settori economici di appartenenza delle diverse imprese censite all’interno del territorio di riferimento, verificando la presenza di un numero significativo di imprese attive nel segmento di specializzazione produttiva individuato 8.
A questi criteri “oggettivi”, sia per l’industria dell’alimentare e delle bevande sia per l’agricoltura, si sono affiancate valutazioni di carattere più ampio. Il tentativo è stato quello di far confluire nell’analisi tutti gli elementi ritenuti rilevanti ai fini dell’individuazione di realtà produttive particolarmente significative per il sistema Italia.
Sulla scia di questo tipo di valutazioni, si è ritenuto opportuno considerare l’intensità dei marchi e delle certificazioni di qualità nazionali e comunitarie associate ad alcuni prodotti e territori (Dop, Igp, Stg per i prodotti dell’agricoltura e dell’industria alimentare e Doc, Docg e Icgt per i vini), nel tentativo di sostenere con maggiore evidenza empirica l’individuazione di alcune realtà distrettuali. Ricerche sul tema hanno infatti evidenziato lo stretto legame della attività distrettuale nel settore alimentare con la produzione di prodotti di alta qualità legati alla tradizione delle singole aree di riferimento.
Abbiamo poi cercato di valutare la distribuzione del numero di addetti per classe dimensionale di impresa e il peso delle singole classi sull’intero settore per provincia, al fine di identificare realtà in cui fosse predominante e rilevante sull’aggregato settoriale l’apporto delle piccole e medie imprese, consapevoli del fatto che in alcune realtà distrettuali il peso e la performance del settore siano fortemente influenzati dalla presenza di grandi player (è il caso della Barilla nel distretto di Parma e della Ferrero nel polo dolciario di Alba e Cuneo). Tuttavia, anche in questi contesti, la numerosità delle imprese di dimensioni minori presenti attorno a questi grandi attori e la rilevanza in termini di peso del numero di addetti occupati in queste realtà imprenditoriali, supportano la natura distrettuale di queste aree.
Un ulteriore accorgimento adottato nella nostra analisi è stato, in alcuni casi, l’ampliamento dei confini geografici oltre l’aggregato provinciale. Rispettando la prossimità geografica, abbiamo, in alcuni contesti, esteso la definizione di distretto a realtà che comprendono differenti province, supportati dalla letteratura economica sul tema, che ha evidenziato l’estrema variabilità della dimensione geografica dei distretti agro-alimentari italiani 9.
La mappatura dei distretti agro-alimentari di seguito presentata, tenuto conto della complessità dell’attività di identificazione delle realtà distrettuali operanti nel settore agro-alimentare, rappresenta un primo passo per successive valutazioni della realtà italiana.
L’analisi ha condotto all’identificazione di 40 distretti, di cui 30 nell’industria manifatturiera alimentare e delle bevande e 10 nell’agricoltura. L’analisi della distribuzione geografica ha evidenziato una presenza pressoché omogenea delle realtà distrettuali sull’intero suolo nazionale, a riprova della qualità e della forte caratterizzazione del patrimonio agricolo ed enogastronomico italiano.
Nel comparto agricolo la maggioranza dei distretti monitorati (Tabella 1) si colloca a monte della catena alimentare, dando luogo a lavorazioni successive che possono essere svolte nello stesso territorio o in altri territori.

Tabella 1 - I distretti agricoli


Nota: Le quote sono calcolate sul totale esportato complessivamente dai distretti agricoli e dell’industria alimentare e delle bevande.
Fonte: elaborazione Intesa Sanpaolo su dati Istat

Nell’industria dell’alimentare e delle bevande, la selezione dei distretti offre l’immagine di un panorama particolarmente ricco e variegato, coerente con l’ampiezza del patrimonio di tradizioni e qualità del settore alimentare italiano (Tabella 2).

Tabella 2 - I distretti dell’industria alimentare e delle bevande


Nota: * peso calcolato sul totale del settore manifatturiero; **Le quote sono calcolate sul totale dell’esportazioni italiane per i codici Ateco di specializzazione dei distretti.
Fonte: elaborazione Intesa Sanpaolo su dati Istat

Ciò che caratterizza l’industria alimentare e delle bevande nei distretti monitorati è la presenza di un numero significativo di imprese di piccola e media dimensione. Sul totale dell’industria alimentare e delle bevande le imprese di piccole e piccolissime dimensioni pesano per il 98% sul totale delle unità locali e occupano il 54% del totale degli addetti.
L’analisi per singoli settori evidenzia come la dominanza delle imprese di piccola dimensione sia una caratteristica trasversale ai diversi comparti dell’agro-alimentare. Guardando ai singoli settori si osserva che nel comparto degli oli dominano le micro-imprese (92% del totale) e sono completamente assenti le imprese di grandi dimensioni; più omogenea è invece la distribuzione per classi dimensionali delle imprese attive nel distretto delle conserve di Nocera, mentre si osserva che è assai ridotto il numero delle grandi imprese nel settore dei vini (2 su un totale di 1.204).
Con riferimento al numero di addetti, i settori che assorbono il maggior numero di occupati sono quello della pasta e dei dolci con una quota pari a circa il 45% del totale a cui seguono i distretti dei vini e delle carni con una percentuale di addetti rispettivamente del 17% e 19%. La distribuzione del numero di addetti per le diverse classi dimensionali evidenzia un peso maggiore in termini di occupati delle imprese di dimensione medio-grande. In tutte le filiere, ad eccezione di quella dell’olio, le imprese con un numero di dipendenti superiore a 50 occupano tra il 40 e il 50% degli addetti totali del settore. Solo per la filiera dell’olio il numero maggiore di addetti (l’82%) è assorbito dalle imprese di piccola dimensione.

Tabella 3 - Numero di imprese per classi di addetti nei distretti dell’industria dell’alimentare e delle bevande per filiera, 2007


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat- Asia

Tabella 4 - Numero di addetti per classi di addetti nei distretti dell’industria dell’alimentare e delle bevande per filiera, 2007


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Istat- Asia

Le performance aziendali

L’analisi delle performance aziendali è stata condotta sui bilanci di esercizio non consolidati delle imprese agro-alimentari che operano nei distretti da noi identificati appartenenti alla banca dati dei bilanci aziendali del Servizio Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo. Sono stati utilizzati campioni chiusi, formati cioè da imprese presenti in tutto il triennio 2008-2010, e con un fatturato superiore al milione di euro nel 2008. Il campione risulta composto da 1.726 imprese.
Nell’individuare le realtà imprenditoriali operanti in questi settori economici abbiamo seguito i criteri illustrati per la definizione dei distretti agro-alimentari. Tuttavia, per meglio rappresentare la realtà imprenditoriale del comparto agricolo, abbiamo considerato anche le imprese che operano nella parte a valle della filiera produttiva (attività commerciali) che in molti casi si sono integrate completamente all’interno della filiera, gestendo anche in maniera diretta le fasi di produzione, e in altri casi operano esclusivamente nella distribuzione attingendo alla produzione di realtà produttive di dimensione più modesta (è il caso dei consorzi o delle organizzazioni di produttori).
Un adattamento analogo è stato necessario nel comparto dei vini, dove abbiamo incluso anche le imprese distrettuali che operano a monte della filiera (comparto agricolo-produzione di uve), ma che gestiscono anche la fase di produzione e in alcuni casi di distribuzione del prodotto finito 10.
La prima cosa da evidenziare è il peso significativo delle imprese dell’industria alimentare in termini di numerosità (il 46% delle imprese distrettuali analizzate) ma soprattutto in termini di fatturato, con un peso sul totale del 73,7%. Segue il segmento delle imprese agricole con un peso maggiore rispetto ai vini sia in termini di numerosità (32% vs. il 22% dei vini), sia in termini di fatturato (14% vs. il 12%).

Tabella 5 - Caratteristiche del campione delle imprese distrettuali agro-alimentari per settore economico, 2010


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

L’analisi della dimensione delle imprese del campione, definita sulla base della grandezza del fatturato 11 mostra un tessuto imprenditoriale caratterizzato dall’elevata presenza di imprese di piccola dimensione in termini di numerosità: complessivamente le piccole imprese rappresentano il 48,8% del totale, con una concentrazione maggiore nel segmento dell’agricoltura (52,3%) rispetto all’industria alimentare (46,5%) e a quella dei vini (48,7%). Assai ridotto risulta invece il peso delle imprese di grandi dimensioni (6,1% sul totale agro-alimentare), presenti in misura maggiore nel segmento dell’industria alimentare (9,7%) e quasi assenti nel mondo agricolo (2,7%). Il dettaglio per settori all’interno dell’industria alimentare mostra come questa caratterizzazione sia trasversale rispetto ai differenti comparti economici.
Al contrario l’analisi del fatturato evidenzia come siano invece le grandi imprese a rappresentare una parte significativa sul totale del campione (le medie e grandi imprese rappresentano più del 50% del totale del fatturato in tutte le filiere considerate) 12. Nel comparto delle carni, dell’olio, della pasta e dei dolci il fatturato delle grandi imprese rappresenta più dell’80% sul totale dei singoli settori. Più omogenea invece la distribuzione del fatturato nelle differenti classi dimensionali nel segmento del lattiero-caseario, dove le piccole, medie e grandi imprese hanno un peso prossimo al 30% per ogni singola classe, e dei vini, dove sono le medie imprese ad avere un peso più significativo (il 45% sul totale).
Nel 2010, il dato sul fatturato 13 delle imprese distrettuali del settore agro-alimentare ha evidenziato una dinamica positiva con una variazione del valore mediano del 3,8%, speculare al calo del 2009. Le imprese del campione avevano subito solo in parte gli effetti della crisi mostrando un calo contenuto del fatturato nel 2009, determinato dalla natura anticiclica della domanda del settore. La crescita del fatturato per l’industria agro-alimentare nel 2010 è stata più contenuta rispetto alla variazione mediana delle imprese dei distretti tradizionali 14 (+8,3%), che avevano subito maggiormente gli effetti della contrazione della domanda mondiale nel corso del 2009, perdendo il 17,8% di fatturato in valori mediani.

Figura 1 - Evoluzione del fatturato a prezzi correnti (mediana)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

Figura 2 - Roi, Roe e costo del debito (in % dei debiti finanziari- mediana)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

Il miglioramento del fatturato non ha avuto effetti significativi sulla redditività del settore, che si attesta nel corso del 2010 sui livelli prossimi a quelli raggiunti nel 2009 (3,9%), confermando un Roi (Return on Investment) inferiore rispetto ai livelli del 2008 e alla media dei distretti tradizionali. Dietro la stabilità del Roi, si cela una lieve compressione del margine operativo netto determinata dalla maggiore difficoltà riscontrata dalle imprese nel ripartire i maggiori costi fissi relativi al lavoro, ai servizi, non compensati dalla lieve riduzione degli acquisti netti: solo parte di questo aumento dei costi esterni è stato scaricato a valle, nel tentativo di mantenere stabile la marginalità delle vendite.
A fronte di un indice di redditività operativa stabile, è cresciuta invece la redditività complessiva. Il Roe (Return on Equity), dopo la flessione del 2009, al termine del 2010 ha raggiunto livelli superiori al 2008 (6,6 vs. 6,3 del 2008). Il rialzo di questo indice è stato influenzato da un effetto leva positivo sulla redditività netta determinato dal calo del costo del debito, che si è portato su livelli inferiori rispetto alla redditività del capitale investito (Roi).
Il dettaglio per classi dimensionali mostra come l’incremento del fatturato nel corso del 2010 abbia riguardato tutte le imprese, indipendentemente dalla classe dimensionale di appartenenza. Tutti i gruppi nel corso del 2010 hanno recuperato completamente le perdite del 2009, ad eccezione delle micro imprese che faticano maggiormente in questa fase di recupero. Anche l’analisi per classi dimensionali mostra una sostanziale stabilità nei livelli di redditività operativa tra il 2009 e il 2010, evidenziando però una redditività operativa superiore per le imprese di dimensione medio-grande, grazie a una maggiore efficienza nell’utilizzo del capitale investito.

Figura 3 - Evoluzione del fatturato a prezzi correnti (valori mediani)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

Figura 4 - Roi (valori mediani)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

Quello che si osserva soprattutto nel caso delle imprese di medie dimensioni, è la scelta di privilegiare la marginalità delle vendite, con Ros (Return on Sales) più elevati, a scapito della rotazione del capitale investito. Anche le imprese di micro e piccola dimensione non hanno evidenziato grosse variazioni in termini di redditività operativa: il lieve peggioramento del tasso di rotazione del capitale investito non è stato controbilanciato infatti da miglioramenti dei margini che sono rimasti prossimi ai livelli del 2009 per le piccole imprese e in calo per le micro imprese. Questo potrebbe trovare una spiegazione nella ridotta capacità delle imprese di piccola taglia nella gestione di alcune leve strategiche (prezzo) con controparti di grande dimensione (gli attori della Gdo ad esempio). Ad influire sulla marginalità delle vendite contribuisce anche una elevata incidenza del costo del lavoro, più pronunciata nelle imprese di minori dimensioni. Infine la dimensione penalizza le imprese micro e piccole anche nei rapporti con gli attori esterni della filiera agro-alimentare: se si considera l’elevata incidenza dei costi sostenuti per reperire i beni e servizi offerti da attori esterni alla filiera 15, si intuisce come il minore potere contrattuale determinato dalla loro ridotta dimensione possa ulteriormente penalizzarle nella componente legata ai costi.

Figura 5 - Tasso di rotazione del capitale investito (valori mediani)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

Figura 6 - Margine operativo netto in % del fatturato (valori mediani)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

L’analisi per singoli settori mostra come il miglioramento del fatturato abbia riguardato tutti i comparti ad eccezione delle conserve (Conserve di Nocera), dove si registra un calo del 3,3% in termini di fatturato, determinato dall’andamento al ribasso dei prezzi di vendita che ha neutralizzato l’aumento dei volumi venduti. Tuttavia, a fronte di un calo del fatturato accentuato, rimane buona la marginalità delle vendite che migliora rispetto al 2009.
Nel segmento del vino invece il rialzo del fatturato, dopo la più accentuata contrazione nel 2009 non ha avuto effetti molto positivi sulla redditività del settore, penalizzata da un ridimensionamento della marginalità delle vendite. Nel 2010, due tra i principali distretti del comparto, il Distretto dei vini del Chianti e quello dei Vini di Langhe Roero e Monferrato, hanno registrato un significativo incremento delle vendite positivamente influenzato anche dalla buona performance sui mercati esteri registrata da questi due distretti. Coerentemente con la performance del comparto le imprese del distretto del Chianti hanno visto ridursi la marginalità delle vendite in maniera progressiva nel triennio 2008-2010. Al contrario le imprese del distretto dei Vini di Langhe, Roero e Monferrato, dopo la contrazione dell’Ebitda nel 2009, hanno mostrato una sostanziale tenuta nel corso del 2010.
Peggiorano anche i margini per le imprese che operano nel comparto dell’olio e del lattiero- caseario, comparti che mostrano una maggiore incidenza degli acquisti netti e quindi una maggiore esposizione agli effetti della dinamica dei prezzi delle materie prime. All’interno del distretto dell’olio e della pasta barese e della mozzarella di bufala si osserva come, nonostante l’incremento in termini di fatturato, l’incidenza della componente legata agli acquisti netti abbia penalizzato la marginalità delle imprese distrettuali. I distretti delle carni, i meno penalizzati in termini di variazione del fatturato durante il 2009,registrano una buona performance nel 2010, trainati principalmente dalle performance delle imprese dei distretti dei salumi del modenese e di Parma. All’interno di questi due distretti, così come osservato per l’intero segmento delle carni, le imprese registrano nel corso del 2010 un recupero della marginalità sulle vendite, dopo il calo del 2009 (molto più accentuato per le imprese di Parma).

Figura 7 - Evoluzione del fatturato a prezzi correnti (valori mediani)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

Figura 8 - Margine operativo netto in % del fatturato (valori mediani)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

L’analisi della gestione del circolante 16 evidenzia un progressivo ampliamento delle dilazioni di pagamento (sia a debito che a credito) nel corso del triennio 2008-2010. Il maggiore allungamento dei tempi medi di pagamento (giorni fornitori) rispetto ai tempi medi di incasso (giorni clienti) ha tuttavia garantito l’equilibrio finanziario di breve periodo delle imprese dei distretti agro-alimentari.
L’analisi per classi dimensionali mostra come le imprese più piccole, considerato il minor potere contrattuale di cui godono sul mercato, siano state costrette ad azionare, tra le altre leve del marketing mix, anche quella inerente alle maggiori dilazioni nei crediti verso la clientela per non compromettere la dinamica del fatturato, in misura maggiore rispetto a quanto fatto dalle medie e grandi imprese. Ad assicurare l’equilibrio nella gestione del circolante per le micro e piccole imprese hanno tuttavia contribuito le maggiori dilazioni ottenute dai fornitori.

Figura 9 - Dilazione di pagamenti nelle diverse filiere produttive: giorni clienti (valori mediani)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

Figura 10 - Dilazione di pagamenti nelle diverse filiere produttive: giorni fornitori (valori mediani)


Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su bilanci aziendali

Dall’analisi per comparti emerge invece un significativo grado di differenziazione nella gestione del circolante, legato al segmento di operatività delle imprese. Quello che si osserva nella dinamica dell’ultimo anno è anche in questo caso un progressivo allungamento dei giorni clienti, in parte “scaricato” sui fornitori con dilazioni sui debiti, con l’eccezione della filiera dell’olio e delle conserve. Nel settore degli oli la maggiore dimensione degli attori (nei distretti analizzati è rilevante il ruolo di grandi gruppi internazionali) e la conseguente minore concorrenza spiega in parte la riduzione dei giorni clienti e in generale il contenuto livello di questo indicatore per il comparto. Al contrario invece, si noti come siano elevate le dilazioni di pagamento (sia verso clienti che verso fornitori) nel comparto dei vini. In questa filiera, in cui l’elevata propensione all’export dovrebbe in parte comprimere i ritardi nei pagamenti, la rilevanza del segmento Ho.re.ca tra i canali distributivi utilizzati dagli operatori ne innalza i livelli. Le analisi Prometeia 17 evidenziano come i tempi di pagamento degli operatori dell’Ho.re.ca nei confronti dei fornitori siano più elevati rispetto agli altri principali operatori della distribuzione (123 i giorni fornitori a fronte degli 81 della Gdo e dei 74 degli altri grossisti) e rispetto alla media dell’economia italiana (116 giorni).

Conclusioni

L’analisi condotta sui principali indicatori economico-finanziari delle imprese distrettuali agro-alimentari mostra come nel 2010 ci sia stato un tentativo di ripresa del settore, soprattutto in termini di fatturato. Nonostante il ritmo di crescita contenuto, il sistema agro-alimentare è l’unico ad aver superato i livelli del 2008, evidenziando una buona capacità di ripresa e una grande reattività delle imprese.
Tuttavia la dinamica positiva di questo dato non ha avuto gli effetti sperati sul fronte della redditività della gestione industriale. Le imprese agro-alimentari, principalmente di piccola e media dimensione, se da un lato sono state meno influenzate dagli shock della domanda che hanno coinvolto gli altri settori negli anni precedenti e più acuti della crisi, dall’altro hanno visto comprimersi la redditività e i margini. L’aumento dei costi di produzione (costo del lavoro e servizi in primis) e l’impossibilità di scaricare totalmente a valle questi incrementi, in un contesto di domanda debole e per il crescente peso degli attori della Gdo, hanno penalizzato la redditività delle vendite.
Un elemento di criticità del settore agro-alimentare è ancora l’elevata polverizzazione che impedisce di fatto il raggiungimento di economie di scala e l’introduzione di nuove tecniche produttive e tecnologie in grado di ridurre i costi unitari. Come evidenziato dall’analisi delle performance delle imprese per classi dimensionali, sono proprio le micro imprese a faticare maggiormente in questa fase di recupero, sia in termini di fatturato che di margini, questi ultimi compressi dall’elevata incidenza del costo del lavoro e dei servizi e dalla maggiore difficoltà nella gestione di alcune leve strategiche. L’analisi del circolante conferma le maggiori fragilità delle piccole imprese.
L’aspetto dimensionale, inoltre, rappresenta un fattore critico anche nel nuovo contesto competitivo internazionale. In uno scenario caratterizzato da una domanda interna debole e influenzato da una maggiore vulnerabilità delle imprese agro-alimentari, il canale estero rappresenta un impulso fondamentale 18. In altre parole, se la natura anti-ciclica della domanda del settore ha finora “protetto” le imprese distrettuali agro-alimentari nei periodi più profondi della crisi, oggi che le famiglie hanno avviato un processo di ridimensionamento della spesa, la debolezza della domanda interna potrà essere controbilanciata solo da un andamento positivo delle esportazioni. La maggiore dimensione delle imprese rappresenterà un pre-requisito fondamentale per il potenziamento della presenza delle imprese del comparto sui mercati esteri, a cui dovranno accompagnarsi anche strategie coordinate per il potenziamento delle nostre catene distributive all’estero.
Un ulteriore elemento a supporto di un processo di rafforzamento delle imprese agro-alimentari è offerto dall’analisi delle persistenza delle performance reddituali 19. In questo settore è più elevata rispetto al totale delle imprese distrettuali la probabilità di confermare i buoni risultati reddituali raggiunti dalle best performer (il 66,9% a fronte del 52,1% del totale dei distretti). Il possesso di certificazioni di qualità, l’efficienza produttiva e una buona gestione industriale (raggiungibili anche attraverso varie forme di collaborazione tra le imprese) sono strumenti indispensabili nel settore per il raggiungimento di buone performance, indipendente dalla dimensione dell’impresa. Puntare su tali fattori è una scelta strategica vincente che permette a tutte le imprese (piccole, medie e grandi) di raggiungere risultati positivi e duraturi nel tempo, più di quanto accada nelle altre realtà distrettuali.

Riferimenti bibliografici

  • Bono P., Zaghi A., (2011), La distribuzione del valore nella filiera agroalimentare italiana, Agriregioni Europa

  • Brasili C., Fanfani R., (2006a), A mosaic type of development: the Agri-food Districts experience in Italy, Bononia University Press

  • Brasili C., Fanfani R., (2006b), Agri- Food Districts: Theory and Evidence, in Teresa de Noronha Vaz, E.J. Morgan e Nijkamp, Ed. Ashgate, (a cura), The New European Rurality Strategies for Small Firms

  • Foresti G., Guelpa F., Trenti S., (2010), “I distretti industriali verso l’uscita dalla crisi”, Economia e Politica Industriale, vol. 37 (2), pp. 109-126

  • Intesa Sanpaolo, (2011), Economia e Finanza dei distretti industriali, n° 4, Studi sui distretti industriali, dicembre

  • Intesa Sanpaolo, (2012), Monitor dei distretti, Trimestrale n°37, Studi sui distretti industriali, aprile

  • Unioncamere, (2009), I distretti rurali ed agroalimentari di qualità in Italia

  • Viesti G., (2003), Distretti industriali e agglomerazioni territoriali in Italia. Lo stato delle conoscenze e i problemi della ricerca, atti della conferenza Internazionalizzazione dei distretti industriali, Roma, Istituto nazionale per il commercio estero, 20-21 marzo 2003

  • 1. Brasili e Fanfani, (2006a).
  • 2. I dati sulle esportazioni provinciali, a differenza dei dati sulla struttura delle imprese (Asia), sono gli unici forniti con una cadenza trimestrale dall’Istat.
  • 3. Viesti (2003).
  • 4. L’indice di specializzazione in termini di addetti è stato calcolato secondo la formula: indice di specializzazione per provincia = (Ap/ATp):(A/AT), dove Ap e ATp corrispondono agli addetti in una determinata provincia p, mentre A e AT si riferiscono agli addetti a livello nazionale; A indica inoltre il numero di addetti impiegati nei settori agro-alimentari, mentre AT corrisponde ai valori totali del numero di addetti nel manifatturiero. Per definire specializzata una provincia, l’indice di specializzazione > 1.
  • 5. E’ il caso del polo del prosciutto San Daniele, il Lattiero caseario del sassarese e di 3 poli del vino, che raggiungono valori prossimi alla soglia da noi individuata (Vini della Sicilia Occidentale, Vini del Friuli ed il Montepulciano d’Abruzzo).
  • 6. Per l’analisi del settore agricolo, nella definizione dell’indice di specializzazione sono stati necessari degli accorgimenti per sopperire alla carenza di alcuni dati specifica di questo settore. L’indice utilizzato è stato un indice di specializzazione del commercio estero (indice di Balassa o indice di vantaggio comparato rilevato), calcolato secondo la formula (Ep/ETp):(E/ ET), dove Ep ed ETp corrispondono ai livelli di export in una determinata provincia p, mentre E ed ET si riferiscono ai livelli di export a livello nazionale.
  • 7. I distretti rurali e agroalimentari di qualità, Rapporto Unioncamere (2009).
  • 8. Questo ci ha permesso di operare una separazione tra l’analisi del comparto agricolo e l’industria alimentare, laddove i confini territoriali si sovrapponevano. E’ il caso della provincia di Cuneo, dove identifichiamo due distretti (Nocciola e frutta piemontese e Dolci di Alba e Cuneo), pur riconoscendo l’esistenza di relazioni di scambio tra i due comparti.
  • 9. Brasili, Fanfani, (2006b). L’analisi del tessuto alimentare italiano evidenzia come le realtà distrettuali all’interno del settore agro-alimentare possano coinvolgere dal singolo comune, alla singola provincia ad un aggregato di province, nonché evidenziare una sovrapposizione geografica con distretti con differente specializzazione produttiva.
  • 10. Per maggiori dettagli si rimanda a Intesa Sanpaolo, 2011.
  • 11. Sono state considerate quattro classi dimensionali:
    Micro imprese: fatturato nel 2008 compreso tra 1 e 2 milioni di euro;
    Piccole imprese: fatturato nel 2008 compreso tra 2 e 10 milioni di euro;
    Medie imprese: fatturato nel 2008 compreso tra 10 e 50 milioni di euro;
    Grandi imprese: almeno 50 milioni di euro di fatturato nel 2008.
  • 12. Il dato potrebbe sovrastimare la percentuale di imprese di grandi dimensioni, considerata la struttura del nostro campione: l’ampliamento della definizione dei codici Ateco per le imprese agricole implica l’inclusione di grandi player operanti nel segmento a valle della filiera (distribuzione). Nel campione inoltre sono escluse le società di persone e le società di capitali con meno di un milione di euro di fatturato nel 2008.
  • 13. In questo contributo l’analisi è realizzata utilizzando i valori mediani. Alla luce della diversa composizione dimensionale, è chiaro che la scelta di basare l’analisi sui risultati aggregati o su quelli per distribuzione può condizionare la fotografia della situazione economico-reddituale delle imprese distrettuali italiane. Privilegiare i dati aggregati porta a nascondere la distribuzione delle performance: ad esempio, risultati particolarmente positivi di una sola grande impresa possono oscurare le difficoltà di numerose imprese di subfornitura e/o terziste. Privilegiare l’analisi del grado di diffusione delle performance porta invece ad assegnare lo stesso peso ai risultati conseguiti dalle micro imprese e a quelli delle imprese di grandi dimensioni, trascurando il diverso impatto sull’economia locale dei diversi attori imprenditoriali. (Foresti, Guelpa, Trenti, 2010).
  • 14. Per distretti tradizionali si intende l’insieme dei distretti monitorati dal Servizio Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo all’interno del settore manifatturiero italiano, esclusi i poli tecnologici (settore farmaceutico, aereonautico, biomedicale, Itc).
  • 15. Bono e Zaghi (2008).
  • 16. Nell’analisi della gestione del circolante sono state escluse le imprese che possono redigere il bilancio nella forma abbreviata secondo quanto disposto dall’articolo 2435 del codice civile e che nel passivo dello stato patrimoniale non sono tenute a distinguere tra debiti finanziari e debiti commerciali. Il campione analizzato in questa parte del contributo conta 1.020 imprese agro-alimentari (706 in meno rispetto alle 1.726 considerate nel resto dell’analisi). Si rileva in questo campione un peso minore delle piccole imprese.
  • 17. Analisi dei microsettori (Prometeia): “Dettaglio specializzato di alimentari, bevande e tabacco”; “Dettaglio despecializzato con prevalenza di alimentare”, “Ristoranti, mense, catering, bar”.
  • 18. Per l’analisi delle performance all’export delle imprese distrettuali si rimanda al Monitor dei Distretti di aprile (Intesa Sanpaolo 2012) che segnala la continua crescita delle esportazioni distrettuali agro-alimentari nel 2011, sebbene ad un ritmo più lento rispetto all’anno precedente.
  • 19. Intesa Sanpaolo (2011).